Laurearsi serve sempre Nonostante il calo delle iscrizioni, per Almalaurea il titolo universitario resta il miglior investimento. Se un diplomato guadagna 100, il laureato arriva a 155. Ed è anche più facile trovare il lavoro giusto. Raffaello Masci La Stampa, 9.3.2011 Sia chiaro: studiare serve e laurearsi serve ancora di più. Ieri abbiamo pubblicato i dati del consorzio Almalaurea sul destino dei laureati italiani negli ultimi cinque anni, e abbiamo sottolineato come la laurea, il famoso pezzo di carta agognato dalle mamme e poi tenuto incorniciato nel tinello, avesse perso gran parte del suo potere di attrazione. Nelle patrie università, insomma, negli ultimi cinque anni si era assistito ad una diminuzione sistematica delle immatricolazioni, superiore al 9%: 26 mila studenti in meno. Almalaurea ribadisce oggi che, comunque, laurearsi è ancora oggi la via più certa per trovare un lavoro prima e meglio. «Il calo delle immatricolazioni non deve meravigliarci - dice Andrea Cammelli, direttore di Almalaurea - in quanto è il frutto di tre fattori concomitanti. Primo, negli ultimi 25 anni i diciannovenni sono diminuiti del 38%. C’è stato un oggettivo calo demografico. Secondo, il tasso di passaggio tra scuola superiore e università è crollato di 9 punti (dal 75 al 66 per cento) a motivo della controversa immagine che l'università italiana ha dato di sé: dalle parentopoli, agli sprechi, alla moltiplicazione dei corsi inutili. Terzo, la laurea triennale (mantenere un figlio agli studi 3 anni invece di 5) ha aperto gli atenei a fasce di popolazione prima escluse, ma poi queste stesse si sono trovate di fronte al problema dei costi aumentati e non ce l’hanno fatta più». Da qui il calo degli iscritti. Ma l’università paga. Tutti i dati statistici confermano - infatti- la diretta proporzionalità tra laurea, occupazione e reddito. Se prendiamo i diplomati e i laureati usciti dai rispettivi corsi di studio nel 2004 e li andiamo a rivedere nel 2009 (a cinque anni di distanza), scopriamo che esiste uno zoccolo duro di persone non ancora occupate, pari al 14,8% dei diplomati e al 12,1% dei laureati triennali. Ma mentre un lavoro continuativo (anche se non fisso) ce l’ha il 37% dei diplomati, questo dato sale al 67% tra i laureati. Un impiego a tempo indeterminato ce l’hanno il 18% dei diplomati, ma ben il 37% dei laureati. Complessivamente, quindi, i laureati lavorano molto di più e con maggiore stabilità rispetto a chi ha studiato di meno, come conferma il tasso di occupazione complessivo che, nel caso dei laureati, presenta un vantaggio di 11 punti sui diplomati (66 contro 77 per cento). Si ribatte che, però, i dottori guadagnano poco. «Se noi consideriamo le retribuzioni sull’arco dell’intera vita lavorativa, un diplomato oggi guadagna 100 quando un laureato arriva a 155: il divario è enorme - spiega Cammelli - e l’abbaglio che molti prendono quando osservano che un diplomato prende più di un laureato, dipende dal fatto che osservano le retribuzioni iniziali, e quando il laureato si mette sul mercato del lavoro il diplomato c’è già da almeno quattro anni. Sui tempi medi e lunghi la differenza appare invece evidente e tutta a vantaggio dei laureati». Ciò detto non tutte le lauree sono uguali e altrettanto spendibili. Uno studio di Confindustria ha rilevato il numero dei laureati di un anno accademico e quello richiesto dal sistema delle imprese nello stesso anno: alla luce di questi dati si nota come l’Italia abbia bisogno ancora oggi di 20 mila ingeneri in più, 15 mila economisti e statistici, 8 mila medici e sanitari. Per contro c’è un esubero annuo di 4 mila psicologi, quasi 17 mila laureati in lettere o lingue, 4 mila architetti, 3 mila geologi, eccetera. «Non c’è, dubbio - continua Cammelli - che le lauree scientifiche, tecnologiche ed economiche danno una possibilità di impiego più rapida delle altre. Tuttavia, valutati i laureati a distanza di 5 anni, anche quelli delle lauree generaliste hanno trovato un lavoro. Impiegando solo più tempo». |