SCUOLA

Ora "usiamo" Invalsi e Pisa
per certificare le competenze

Tiziana Pedrizzi il Sussidiario 12.5.2011

Numerosi ordini di scuola si apprestano quest’anno alla certificazione. Si tratta della scuola media, in sede di esame finale, dei corsi di Istruzione e Formazione Professionale nelle diverse regioni e per la prima volta di tutta l’istruzione superiore al termine del primo biennio.

Una guida preziosa è stata offerta in proposito dalle considerazioni di Dario Nicoli, in particolare nel merito di come e perché si possa predisporre una sensata certificazione, che tenga conto in modo adeguato delle parallele esigenze di valutazione.

Veniamo infatti da periodi nei quali si è posto molto l’accento sul percorso e poco sull’arrivo. Per gli insegnanti sulla programmazione didattica, per gli allievi sui progressi anche comportamentali fatti, pure attraverso una forte e giusta attenzione dedicata, almeno a parole, al portfolio formativo.

Certificazione degli apprendimenti e valutazione - standardizzata esterna - sono due facce della stessa medaglia, coniata dalla forte e crescente esigenza dei sistemi sociali ed economici di dotarsi di certezze sui livelli effettivamente raggiunti dagli allievi, al di là delle certificazioni formali delle pagelle e degli esami, in Italia in particolare sempre meno credibili. Questo darsi le spalle a volte è peraltro divenuto diffidenza ed incomprensione reciproca. I supporter della valutazione - figlia di Iea ed Ocse e di una cultura essenzialmente anglosassone - hanno infatti visto talvolta la certificazione come una fumisteria macchinosa, ed i fautori della certificazione - nata e cresciuta in sede europea - viceversa talvolta considerano la valutazione come un letto di Procuste che mortifica le individualità e spegne la creatività. Cognitivismo contro costruttivismo sociale, per gli addetti ai lavori.

In Italia, in particolare, in questa primavera una coincidenza temporale mette sotto la lente di ingrandimento questa convergenza parallela: alla fine del secondo anno prove Invalsi alla loro prima uscita nella superiore e obbligo di certificazione del biennio dell’obbligo vengono a scadenza tutti insieme.

In realtà vi sono buone ragioni per argomentare una complementarietà fra le due facce della medaglia che potrebbe chiamarsi “Attendibilità dei titoli”.

Le valutazioni standardizzate esterne coprono essenzialmente il core curriculum strumentale della lingua madre e della matematica e probabilmente si estenderanno nei paesi europei alla seconda lingua. Rimane aperto, per modalità più libere ed articolate di valutazione tutto il vasto campo delle altre attività formative, che però certo non possono prescindere da quei fondamentali, a rischio di costruire castelli di sabbia sulla riva del mare.

Inoltre, se si conoscono un po’ le prove utilizzate dalle valutazioni standardizzate esterne, si capisce facilmente che lo sforzo è quello di mettere sotto osservazione abilità tutt’altro che meccaniche, ma al contrario capacità di ragionamento e competenze critiche ed argomentative che fra l’altro sono la vera causa della loro difficoltà. Chi si è cimentato con questi problemi sa poi che gli apprendimenti relativi alle competenze di base debbono sì sempre ed il più possibile essere ricondotti ad attività del ragazzo che consentano di motivarlo e di fargliele ben sedimentare, ma che non sempre ciò è del tutto possibile. Esiste probabilmente una parte di saperi che vanno sedimentati per un utilizzo nella costruzione del proprio Io in senso personale e professionale più diluito nel tempo e legato a circostanze non del tutto programmabili. Inoltre, soprattutto in alcuni campi, la logica interna dei saperi ha una sua rigidità per cui l’apprendimento random in funzione della costruzione di competenze organiche non sempre è possibile e fruttuoso.

In Italia si corre sempre il rischio del cavallo di Sant’Antonio che spesso è lo strumento del gattopardismo. Il meglio (o meglio in questo caso l’eccesso, l’assolutismo) è il nemico del bene.

È possibile dunque tenere insieme le due facce delle medaglia. Intanto, la certificazione delle competenze può assumere dall’altra faccia della medaglia un rigore metodologico che consenta la comparabilità effettiva delle certificazioni, che rischia di essere il suo tallone di Achille. Criteri di analisi delle prestazioni anche orali ed operative validate ed incrociate possono trarre spunto dalle pratiche delle valutazioni esterne.

Fra questi criteri giganteggia una definizione precisa dei livelli che consenta un ancoraggio certo. Letto di Procuste? Certo, c’è questo rischio, ma, se torniamo alle ragioni ultime della certificazione che non sono solo quelle di consentire lo sviluppo di una didattica per competenze, ma anche quelle di offrire la comparabilità e l’attendibilità degli esiti, comprendiamo che non se ne può prescindere.

Da ultimo, per la certificazione delle competenze di base, i framework delle valutazioni nazionali ed internazionali, offrono un riferimento ineludibile, magari con spunti critici e di differenziazione che indicherebbero una vera accettazione.

Sarebbe un passo avanti, in un paese come il nostro che passa con facilità dalla subordinazione acritica ad un ribellismo stucchevole, di cui abbiamo avuto in questi giorni un chiaro esempio.
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