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I test Invalsi, i normodotati
illuminati e le aule Taigeto

di Tiziano Marelli dal Forum Saperi PA, 17.5.2011

La settimana scorsa si sono tenute nelle scuole di tutta Italia le prove Invalsi, test che devono (dovrebbero) verificare il grado di apprendimento raggiunto dagli studenti di alcune classi della scuola primaria e secondaria.

Il “momento educativo” prende il nome dall’Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema di Istruzione e Formazione, che è l’ente incaricato di elaborare i dati - attraverso l’SNV, il Sistema Nazionale di valutazione - che ne scaturiscono. Si tratta di una disposizione ministeriale (il dicastero è quello della Pubblica istruzione) capace di scatenare una ridda di polemiche che non ha risparmiato nessuno dei soggetti coinvolti: insegnanti, alunni e famiglie. Le ragioni sono diverse. I docenti ritengono i test declassanti (se non umilianti), i ragazzi semplicemente inutili (molti dei quesiti sono stati definiti “più che elementari”), i genitori addirittura una palese violazione della privacy (visto che non sono mancate domande personali sul nucleo familiare). A dimostrazione della diffusa avversità alle prove possono valere i tantissimi casi di boicottaggio, non partecipazione o protesta vera e propria (capace di unire tutti sotto un’unica bandiera) che si sono potuti registrare un po’ indistintamente su tutto il territorio nazionale.

Ma rispetto all’evento la cosa ancor più significativa e - francamente - incredibile è data da una circolare che il ministro Mariastella Gelmini ha fatto diffondere proprio attraverso l’istituto incaricato dell’elaborazione poco prima delle prove di quest’anno, nella quale veniva affermato, testualmente, che “gli Alunni con disabilità intellettiva non possono né debbono partecipare” alle prove Invalsi.

A questa è seguita una nota dell'INVALSI in cui si precisa che le indicazioni si riferiscono solo ed esclusivamente alle prove del SNV (classe II e V scuola primaria, classe I scuola secondaria primo grado, classe II scuola secondaria secondo grado), specifica che “qualunque sia la tipologia di disabilità di un alunno, essa deve essere segnalata sulla Scheda-risposta dei singoli studenti”, aggiungendo quindi i diversi gradi di disabilità (intellettiva, visiva o altro) e specificando poi che la segnalazione “consentirà di considerare separatamente, solo se esplicitamente richiesto dal Dirigente scolastico, i risultati degli alunni con bisogni educativi speciali e di non farli rientrare nella elaborazione statistica dei risultati di tutti gli altri alunni”. In più, “la decisione di far partecipare o meno (e se sì con quali modalità) gli alunni con certificazione di disabilità intellettiva (o di altra disabilità grave), seguiti da un insegnante di sostegno alle prove Invalsi è rimessa al giudizio della singola scuola per il tramite del suo Dirigente. Solo la scuola può conoscere la specificità di ogni situazione e valutare, quindi, la scelta più opportuna”. E quali sono le scelte “opportune” fra le quali scegliere? Eccole, sempre testualmente: “Non far partecipare a una o a tutte le prove SNV gli alunni con disabilità intellettiva o altra disabilità grave, impegnandoli nei giorni delle prove in un’altra attività”, oppure “fare partecipare a una o a tutte le prove SNV gli allievi con disabilità intellettiva o altra disabilità grave insieme agli altri studenti della classe, purché sia possibile assicurare che ciò non modifichi in alcun modo le condizioni di somministrazione, in particolare se si tratta di classi campione. In generale, sono ammessi strumenti dispensativi e misure compensative, con la sola condizione che questi non modifichino le modalità di effettuazione delle prove per gli altri allievi della classe. Non è pertanto possibile la lettura ad alta voce della prova, né la presenza in aula dell’insegnante di sostegno”. Come se non bastasse, ecco infine la chicca: “Se ritenuto opportuno dal Dirigente scolastico, è consentito che gli allievi con disabilità intellettiva o altra disabilità grave svolgano una o a tutte le prove in un locale differente da quello utilizzato per gli altri allievi della classe. Solo in questo caso, è anche possibile la lettura ad alta voce della prova e la presenza dell’insegnate di sostegno”. Alla faccia di tutti i discorsi sull’integrazione e il sostegno che da anni, ormai, accompagnano in maniera positiva la presenza e il percorso dei tantissimi ragazzi diversamente abili nelle scuole italiane.

Prendendo spunto da quest’ultima, incredibile e surreale “opzione” ci permettiamo un consiglio, che se accolto in tempi accettabili può percorrere un iter burocratico celere e tornare magari utile per l’Invalsi del prossimo anno: perché non chiamare Taigeto le aule “differenziate” (il termine è assolutamente appropriato) in questione? Se casomai a qualcuno del Ministero preposto - sicuramente, come senz’altro dovrebbe, normodotato e intellettualmente evoluto - sfuggisse il nesso, aggiungerò che il Taigeto è una catena montuosa del Peloponneso, in Grecia, e domina (ieri come oggi) la città di Sparta, da dove la cima (quasi 2.500 metri) è ben visibile. Fin lassù gli spartani antichi si arrampicavano faticosamente per gettare poi nei dirupi sottostanti i bambini nati deformi oppure per lasciarveli abbandonati, si vede in un impeto tardivo di buonismo. Abbandonati a loro stessi, come la nota – che più chiara non si poteva scrivere – obbliga a fare nei confronti dei molti ragazzi sfortunati che popolano le nostre scuole, in verità da tempo immemore accolti e accettati ovunque come portatori di grande e diversificata ricchezza. È successo davvero in Italia, non nell’antica Grecia, nel mese di maggio dell’anno di grazia 2011.