I senza futuro

Chiara Saraceno la Repubblica 24.5.2011

Una società mobilitata per far fronte ai bisogni quotidiani e alle difficoltà provocate da una crisi economica da cui non è ancora uscita.

Ma anche una società con poco fiato per orizzonti un po´ più lunghi e larghi. È questa l´immagine dell´Italia che emerge dal Rapporto Annuale dell´ISTAT relativo al 2010. In questo quadro emerge, ancora una volta, il ruolo fondamentale giocato dalle famiglie come ammortizzatore sociale a tutto campo. Ma emergono anche le tensioni, i punti di rottura, di un sistema troppo sovraccarico ed anche troppo squilibrato.

Così, a fronte della insicurezza nel mercato del lavoro, alla riduzione delle occupazioni a tempo indeterminato e al prolungarsi dei periodi di disoccupazione, si è erosa anche la tradizionale capacità di risparmio delle famiglie. E se è vero che la solidarietà famigliare ha contenuto l´impatto della perdita di occupazione, ciò si è tradotto in un rafforzamento della dipendenza economica dei giovani dai propri genitori. La percentuale di giovani tra i 15 e i 24 anni che non sono né in formazione né occupati è ulteriormente aumentata, raggiungendo il 22,1 per cento: quasi un quarto di tutti i giovani di quella età, con prevedibili effetti di lungo periodo sulle loro opportunità e sui rischi di esclusione sociale. Un tragico paradosso in un contesto di rapido invecchiamento come quello italiano che richiederebbe di non sprecare una risorsa, i giovani, sempre più scarsa.

Un discorso a parte va fatto per le donne, sulle quali sembrano concentrarsi tutte le tensioni e contraddizioni di una società bloccata. Il già troppo lento aumento dei tassi di occupazione femminile si è fermato. In più, per la prima volta in decenni, l´istruzione non sembra più costituire una chance in più. A fronte di una diminuzione nelle occupazioni qualificate, le uniche occupazioni che sono aumentate un po´ sono infatti quelle poco qualificate nei servizi: pulizie, collaboratrici domestiche, badanti (per lo più straniere). E´ anche aumentato il part time involontario ed il numero di donne che sono occupate in mansioni molto al di sotto delle loro qualifiche (sono il 40% delle occupate, a fronte del già notevole 31% degli occupati). Questi fenomeni non costituiscono solo uno spreco sociale e umano. Come nel caso dei giovani, riducono le possibilità di autonomia economica delle donne, non solo rispetto ai genitori, ma anche ai mariti e partner, di fatto vincolandone la libertà.

Che siano occupate o meno, per altro, moltissime donne fanno gratis una enorme mole di lavoro necessario. Senza di loro, moltissimi bisogni rimarrebbero insoddisfatti in un welfare sempre più inadeguato rispetto alla situazione demografica e sociale. Non mi riferisco solo al lavoro famigliare, che le donne svolgono in misura molto superiore ai loro partner, anche quando sono occupate. Mi riferisco ai 2,1 miliardi di ore di aiuto prestate in un anno a componenti di altre famiglie - dei figli, genitori, amici, conoscenti - pari ai due terzi del totale di lavoro prestato in modo gratuito fuori dalla propria famiglia. Senza questo lavoro � di cura, domestico, di accompagnamento nella vita quotidiana � molte madri giovani non potrebbero neppure stare nel mercato del lavoro e molti anziani non del tutto autosufficienti non potrebbero far fronte ai loro bisogni quotidiani. Ma la catena di solidarietà femminile tra madri e figlie su cui è fondata questa rete di aiuto informale rischia di spezzarsi. Le donne occupate con figli sono, infatti, sovraccariche per il lavoro di cura all´interno della famiglia e le nonne sono sempre più schiacciate tra cura dei nipoti, dei genitori anziani non autosufficienti e dei figli adulti che continuano a vivere con loro. Alcune crepe sono già visibili. Quasi 2 milioni di persone con limitazioni della salute non sono state raggiunte da alcun tipo di sostegno, né della rete informale né da parte dei servizi pubblici, pur vivendo sole, o con altre persone con limitazioni, o in un contesto familiare parzialmente o del tutto incapace di rispondere ai loro bisogni. Inoltre, se il rischio di sovraccarico e non tenuta della solidarietà famigliare e in particolare quella femminile è in tensione è generalizzato, la situazione è più critica nel Mezzogiorno, dove alla maggiore carenza del welfare pubblico e alla maggiore carico di dipendenze economiche nella famiglia, si aggiunge una minore capacità delle famiglie di far fronte a tutti i bisogni. E´ nelle regioni meridionali che le domande di cura dei più piccoli e degli anziani fragili rischiano di più di rimane insoddisfatte. Anche questo è un indicatore del fatto che la questione meridionale non riguarda solo l´occupazione, ma la tenuta sociale complessiva, a livello formale e informale.