SCUOLA
Bottani: le prove Invalsi non possono il Sussidiario 17.5.2011
La valutazione del sistema scolastico non è il letto di Procuste -
Nella mitologia greca classica Procuste è il soprannome di un
brigante che aggrediva sulla via sacra che conduceva a Atene i
viandanti, e li straziava battendoli con un martello su di
un’incudine a forma di letto scavata nella roccia. Stirava le sue
vittime a forza se erano troppo corte o le amputava se, essendo
troppo lunghe, sporgevano dal letto. La valutazione del sistema scolastico non ha nulla a che fare con questo mito. In nessuna parte del mondo i sistemi scolastici sono stati modellati secondo uno schema uniforme servendosi della valutazione, nonostante i timori, le critiche, le denunce che si levano ogniqualvolta si imposta una valutazione su vasta scala dei sistemi scolastici. Ci sono stati e sussistono ancora sistemi scolastici talmente strutturati e potenti che funzionano come un letto di Procuste: per esempio il sistema scolastico ginevrino fino agli anni cinquanta, oppure il sistema scolastico cubano odierno, o il sistema scolastico sovietico e della Repubblica Popolare di Germania prima della caduta del muro di Berlino. Moltissimi di questi sistemi non sono sopravvissuti. È infatti quasi impossibile unificare le pratiche didattiche ed educative di migliaia di presidi e insegnanti. Ma si può farlo con un apparato amministrativo poliziesco, pervasivo, pignolo, grottesco. In ogni modo la valutazione non è mai stata lo strumento principale per condurre queste politiche. Le ispezioni, lo spionaggio sistematico, la delazione, i premi più o meno legittimi, le ricompense in natura come la possibilità di svolgere carriere nei partiti al potere o di accedere a posti comando sono stati gli strumenti principali di queste politiche. Nemmeno il centralismo scolastico ha permesso di realizzare il sogno di un sistema scolastico che funzionasse a bacchetta, uguale ovunque. Il caso più eloquente in merito è quello francese, dove vige da un secolo e più un sistema scolastico centralizzato (ma occorre anche riconoscere che dal 1981 in poi si sono fatti passi avanti, ancorché non da gigante, per decentralizzarlo) e dove nonostante tutto ci sono molti insegnanti ribelli, che fanno di testa propria, che disobbediscono agli ordini di scuderia, degli ispettori o del ministero. Un sistema scolastico uniforme risponde essenzialmente a due criteri che rendono sospette tutte le iniziative dell’apparato che lo gestisce e lo controlla: - educare la popolazione (non si deve scordare che da sempre gli apparati scolastici nel mondo hanno avuto questa funzione e sono stati uno strumento di tecnica di potere, un modo di educare la società); - semplificare la gestione e l’amministrazione della scuola nonché, in via subordinata, ridurre i costi di gestione.
Oggigiorno ci sono prove a
iosa che queste due funzioni hanno fatto il loro tempo ancorché
siano ampiamente utilizzate per giustificare la valutazione della
scuola. I sistemi scolastici sono in crisi ed è questa forse una
delle autentiche ragioni per le quali si valutano in continuazione
(non è la sola ragione, va da sé).
Talora i pasticci sono
grossi, talora sono veniali. In ogni modo i protestatari non sono
mai una maggioranza. Il grosso degli insegnanti ubbidisce, esegue e
non si interroga sulla pertinenza degli strumenti, sull’opportunità
della valutazione, sull’uso dei risultati. Gli insegnanti sono
funzionari dello Stato che potrebbero trasgredire, ma che non lo
fanno. Il principio di autorità prevale su quello etico della
responsabilità. Le critiche, le denunce, le obiezioni sono una
seccatura per chi costruisce una valutazione e per le
amministrazioni scolastiche, ma occorre capirle, accettarle. Sono
una componente della valutazione che va gestita. Le reazioni devono
essere analizzate e ascoltate. Non è qui il caso di entrare in materia e di dettagliare le critiche. Basta soffermarsi su un punto molto controverso: la data della valutazione fissata dal ministero era metà gennaio. Una parte rilevante delle reazioni riguardava la pertinenza di questa data, in particolare per la quinta elementare. Due gli argomenti che qui meritano di essere segnalati: troppo presto nell’anno scolastico, soltanto dopo un trimestre di scuola, quando appena un terzo del programma scolastico sarebbe stato trattato e i risultati della valutazione non sarebbero stati di nessuna utilità per gli insegnanti. Più grave, il secondo argomento che si potrebbe catalogare come quello della diffidenza: metà gennaio, in quinta elementare, non è una data anodina. È infatti l’ultimo momento valido per valutare le competenze degli alunni prima che inizi l’operazione delle iscrizioni in prima media, ossia prima che le famiglie scelgano la scuola media preferita e gli insegnanti avallino o meno questa scelta. Una parte della contestazione denunciava l’opacità delle informazioni sull’uso dei risultati: chi li avrebbe visti? Sarebbero stati trasmessi alle scuole medie? Avrebbero servito per manipolare l’orientamento scolastico e la scelta delle famiglie? Per due anni di fila questo è stato un tema di battaglia feroce contro il ministero, il quale ben si è guardato dal dare risposte trasparenti, inequivocabili. Questo atteggiamento non ha fatto altro che accentuare la virulenza degli attacchi e la diffidenza delle cerchie pedagogiche. La situazione è diventata insostenibile per il ministero, anzi pericolosa per il governo e la maggioranza che lo sostiene. Improvvisamente, proprio in questi giorni, il 12 maggio, il ministro dell’Educazione Luc Chatel ha cambiato registro e ha annunciato che dal prossimo anno la data della valutazione in quinta elementare sarà spostata a più tardi, dopo che sarà stata fatta l’attribuzione della scuola media nella quale inscriversi ed ha annunciato che i risultati del test non saranno connessi in nessun modo alla promozione o alla bocciatura della quinta elementare.
Ciò facendo il ministro ha
dato ragione alla contestazione e ha convalidato i sospetti. Le
critiche sono state quindi efficaci e ragionevoli. Il ministro ha
avuto il coraggio di cambiare idea. Non succede tutti i giorni. Ci
sono ancora molte zone d’ombra nella valutazione francese, ma se si
fosse taciuto, nulla sarebbe cambiato. Nelle scuole si tollera
troppo quel che viene presentato come un prodotto scientifico
impeccabile. In Francia per esempio ciò è successo con la
valutazione nell’educazione prescolastica. Non sempre gli insegnanti
o i genitori hanno ragione, ma succede anche che spesso denunciano
errori, difetti, deviazioni impreviste dagli esperti, che si possono
e si devono correggere. Vale anche il contrario: non sempre gli
esperti hanno ragione, per quanto bravi siano. Spesso sono arroganti
e presuntuosi e vendono i loro prodotti, le loro teorie, come se
fosse oro colato. Non è in questo modo che deve funzionare la
valutazione in una scuola democratica. Il Naep è una valutazione che permette di osservare l’evoluzione del profitto scolastico negli Stati Uniti in diverse discipline nella popolazione di studenti di quarta elementare, terza media e ultimo anno dell’insegnamento secondario di secondo grado (il dodicesimo anno di scuola negli Stati Uniti). Siccome non esiste un unico programma di scuola comune a tutti i cinquanta stati americani e poiché ogni stato americano ha i suoi programmi e il suo proprio sistema di valutazione (il sistema scolastico americano è federalista), il Naep è la sola valutazione che permette di farsi un’idea dell’evoluzione del profitto scolastico del paese, di comparare gli apprendimenti nei vari sistemi scolastici dello Stato, tra provveditorati, tra scuole e tra gruppi etnici, di fornire indicazioni al governo federale per svolgere il suo compito di ente sussidiario e di coordinamento. Le recenti prove Invalsi possono in un certo senso essere comparate al Naep americano, con la differenza che negli Stati Uniti il Naep è censuario poiché le dimensioni del paese sono tali da rendere pressoché impossibile una valutazione universale. In secondo luogo è pilotato da un comitato scientifico-politico che sceglie i temi dei test (non sempre matematica e inglese) ed infine è svolto da un ente indipendente.
La decisione di realizzare questo tipo di valutazione fu presa nel
1964. Ci sono voluti cinque anni di preparazione prima di realizzare
la prima indagine che è stata effettuata nel 1969. Da allora in poi
si sono svolte circa 50 valutazioni nazionali, ossia valutazioni i
cui risultati pubblici erano solo quelli nazionali. La legge ha
proibito fino al 1990 di pubblicare i risultati delle valutazioni
Stato per Stato, in Italia si direbbe regione per regione, ossia di
comparare tra loro gli Stati. Si può quindi immaginare che quasi
cinquant’anni di esperienze abbiano permesso ai valutatori americani
di apprendere qualcosa, di calibrare gli strumenti, di sperimentare
nuove tecniche di valutazione. Infatti il Naep è stato ed è ancora
un laboratorio unico per la valutazione, che sforna una miniera di
dati fantastici sulla scuola americana.
Il Naep è diventato poco per volta uno strumento eccezionale per la
politica scolastica americana a livello federale. I risultati del
Naep sono oggigiorno ampiamente commentati e la politica federale
americana non ha esitato a modellare in questo ultimo decennio il
Naep per le proprie finalità, suscitando dibattiti virulenti in seno
alla comunità scientifica nel campo dell’educazione ed anche nei
partiti politici. Le valutazioni su larga scala sono anche operazioni tecniche-scientifiche molto complesse che esigono una grande competenza professionale e molta abilità organizzativa. L’organizzazione di una valutazione su larga scala richiede molti mezzi, parecchie risorse e una preparazione accurata. La costruzione degli strumenti, in generale dei test e dei questionari, non è una baggianata. Tra le migliaia di domande che si possono porre in un test occorre sceglierne all’incirca un centinaio e per farlo occorrono criteri di scelta che vengono estratti di solito da un quadro di riferimento teorico (il cosiddetto framework) nel quale si illustrano le finalità della valutazione, cosa si vuole valutare, perché e come.
Gli items dei test vanno poi messi alla prova per soppesarne la
validità e la chiarezza. Ci sono infatti diversi modi per rispondere
a una domanda. Occorre quindi anche prevedere le modalità di
risposta e selezionare le meno ambigue. Per sommi capi e in modo
quasi “caricaturale”, queste sono alcune tappe da considerare e
rispettare quando si costruiscono i test e gli strumenti di una
valutazione empirica scientifica. Si può a questo punto facilmente
capire che è facilissimo fallire una valutazione, soprattutto se si
mira a ottenere risultati comparabili da scuole diverse. Non ci si
improvvisa dunque valutatori. Valutare bene su larga scala è un
mestiere a sé stante. Un altro effetto positivo è stata la dimostrazione che si può coniugare benissimo equità di fronte all’istruzione e eccellenza. I due parametri non si escludono l’un l’altro. Per esempio in Finlandia, oppure in molti altri sistemi scolastici con punteggi medi in test di lettura davvero buoni, gli studenti quindicenni che sono lettori deboli alla fine dell’obbligo scolastico conseguono nel test punteggi pari o superiori a quelli dei migliori lettori dei sistemi scolastici con punteggi medi bassi. Anche questa dimostrazione è un punto di forza della valutazione, che non consente più alle politiche scolastiche di barare sugli obiettivi da conseguire e sulle modalità, i mezzi, le risorse per realizzarli. Adesso si possono misurare queste semplici manifestazioni. Spetta alla politica decidere cosa fare e agli elettori sanzionare o approvare le scelte politiche e la gestione della scuola messa in atto per realizzarla. Le valutazioni hanno anche grossi limiti. Non li elenchiamo in questa sede tranne uno: la qualità dei sistemi scolastici non migliora automaticamente soltanto perché si valuta il profitto degli studenti. La valutazione fornisce informazioni che dovrebbero permettere un dibattito pubblico sulla scuola, almeno nelle società democratiche, nonché l’adozione di politiche scolastiche adeguate o la correzione delle politiche scolastiche svolte fino ad ora. Tra la valutazione e il profitto scolastico si collocano molteplici interessi e centri di potere. La politica scolastica non si esaurisce con la valutazione, qualunque essa sia. La prova? In questi ultimi dieci anni la classifica (cosa in sé detestabile della valutazione) dei sistemi scolastici non è cambiata gran che. Le modifiche del rendimento scolastico misurato tra i quindicenni nel campo della lettura sono minime. L’ordine dei sistemi scolastici è rimasto quasi stabile. L’unica novità è la presenza di Shanghai tra i migliori sistemi scolastici, ma questa presenza solleva molti dubbi sul modo con il quale il test è stato fatto a Shanghai. Purtroppo circolano poche informazioni in merito, l’opacità è di regola e la si deve subire. Di fronte a questo stato di cose è indispensabile porre domande, non tacere, non lasciar perdere, esigere risposte dettagliate. Il rifiuto della valutazione non è in ogni modo la soluzione migliore. |