DIRITTO di CRONACA

La guerra dei test Invalsi

Flavia Amabile La Stampa, 16.5.2011

Si parlerà ancora a lungo delle prove Invalsi. Il ministro dell'Istruzione Mariastella Gelmini vuole introdurla anche alla maturità, distribuendole lungo l'intero percorso scolastico. I Cobas hanno organizzato una campagna di boicottaggio che ha coinvolto il 20% degli istituti e hanno annunciato uno sciopero degli scrutini a metà giugno per protestare anche contro i test per la valutazione. Ma esistono molte perplessità anche fra coloro che non hanno preso parte alle forme di dissenso radicale dei Cobas e hanno aderito al test.

Ho intervistato sei docenti, scelti fra i boicottatori e i non boicottatori. Ascoltando le loro parole ci si rende conto di quanto sia complessa la realtà e variegato il panorama delle opinioni.

Teresa Vicedomini insegna italiano a Nocera Inferiore nella scuola primaria del III circolo didattico. Ha consegnato alla sua dirigente scolastica una dichiarazione di indisponibilità a somministrare, correggere e tabulare le prove Invalsi. «C’è molto malcontento anche fra chi ha deciso di prestarsi come volontario ma non volevano fare polemiche e hanno accettato. Io no, questi test non mi convincono. Ho studiato psicologia, so che esistono intelligenze multiple e che i ragazzi vanno valutati in modo diverso. Rivendico il diritto di noi insegnanti di valutare liberamente i progressi in base all’attenzione degli studenti e al loro contesto familiare. Rivendico il diritto di decidere se una classe deve completare il programma oppure no in base al livello generale delle conoscenze. Di certo non abbiamo bisogno dell’Invalsi per valutare gli studenti sulla base di verifiche e altri strumenti. E non intendo prestarmi a intrusioni nella privacy delle famiglie. A noi insegnanti si chiede di inviare all’Invalsi dati sull’età dei genitori, il titolo di studio, la professione, la nazionalità. Il tutto senza che i genitori ne sappiano nulla. Io ho strappato la scheda».

Candida Di Franco insegna francese nella scuola media Leonardo Da Vinci di Palermo. «Trovo questo tipo di statistica uno strumento di misurazione non valido perché non permette di verificare le reali competenze, si limita agli aspetti nozionistici delle conoscenze degli studenti. Sono pochissime le risposte aperte con la possibilità per i ragazzi di dare spazio alla loro creatività. La maggior parte sono risposte chiuse. E poi si concede poco tempo per completare la prova. Sono contraria e - anche se non in servizio in quei giorni - ho presentato comunque una dichiarazione di indisponibilità a somministrare, correggere e tabulare i test per evitare di essere coinvolta anche nei giorni seguenti. Non mi piace che si spendano tanti soldi, né che ci siano delle ricadute legate alla valutazione delle scuole, né che siano stati coinvolti in modo coercitivo gli insegnanti anche se non esiste alcun obbligo. I presidi hanno spinto gli insegnati a ritenere che non ci si potesse rifiutare di partecipare alla somministrazione o alle altre operazioni legate ai test. Anche questa è una delle tante falsità messe in giro a proposito delle prove Invalsi».

Franco Coppoli insegna italiano all’IISAG, l’Istituto superiore di Istruzione Artistica e per Geometri di Terni. «Durante le prove ho allontanato il somministratore dell’Invalsi per fare la mia normale attività didattica. Avevo diffidato la dirigente scolastica e avvertito il consiglio d’istituto del mio gesto. Insegnare ai ragazzi non significa giocare con le crocette, i miei studenti imparano a scrivere articoli, testi, temi, in modo che possano sviluppare la loro coscienza critica. Per quel che riguarda le scuole invece trovo estremamente scorretto pensar edi poter costruire una classifica sulla base di questi che per me non sono altro che dei banali quiz. I ragazzi di un liceo hanno una preparazione diversa da quelli di un professionale ed è ingiusto legare ai risultati di queste prove il finanziamento che ciascun istituto riceverà in futuro. Si vuole imitare il metodo anglosassone e costruire un ranking delle scuole a livello provinciale che creerà una gerarchizzazione: poche scuole di serie A di alta qualità lasciando le altre senza fondi per migliorare la loro offerta».

Margherita Ambrosione insegna matematica al liceo Gioberti di Torino. E’ fra le prof favorevoli alle prove Invalsi ma con una certa dose di spirito critico. «Alle superiori le prove Invalsi di quest’anno sono state somministrate alle seconde classi dando per scontato che provenissero da prime classi dove già aveva avuto applicazione la riforma. Le nuove regole invece hanno effetto solo dallo scorso settembre quindi, pur avendo svolto il nostro compito, non terremo conto del risultato delle prove. Per noi docenti è di sicuro un aggravio di lavoro che arriva in un momento dell’anno già piuttosto pieno, è il periodo dei recuperi, della conclusione dei programmi. E poi le prove di matematica mi sono sembrate poco attinenti al programma svolto. Sono però favorevole a tutto quello che permette di allargare gli orizzonti ai ragazzi, a tutto quello che permette di creare un approccio positivo di fronte ad un elemento nuovo come queste prove, e anche a quello che permette a noi insegnanti abituati ad un lavoro piuttosto solitario di fare almeno in questo caso qualcosa insieme».

Marcello Crippa insegna all’Istituto tecnico Marthin Luther King di Muggiò in provincia di Monza Brianza. «Penso che le prove Invalsi siano un’esperienza positiva per le scuole e per gli studenti. E’ un modo per arrivare ad una valutazione nazionale sulla base di parametri ufficiali e riconosciuti e uguali per tutto il territorio. Altri tipi di valutazioni utilizzate finora erano soggettive e quindi abbastanza prive di significato. Essere favorevoli non vuol dire cambiare il proprio metodo di insegnamento. Non ho preparato i miei studenti a queste prove se non con una simulazione per dare loro la possibilità di familiarizzare con questo nuovo approccio. E’ molto importante proprio non sacrificare tempo durante l’anno per concentrarsi sulla preparazione dei test, questo sarebbe un errore. Anche per noi insegnanti le prove possono diventare uno strumento di grande utilità perché ci permettono di capire dove ci sono problemi e quindi dove puntare nella nostra didattica. E’ un modo per migliorare il nostro lavoro e il primo passo verso una scuola più vicina alle esigenze del futuro».

Carlo di Michele è dirigente scolastico dell’Istituto D’Arte Bellisario di Pescara. «Le prove Invalsi non possono essere enfatizzate né scartate a priori. Siamo tutti d’accordo sulla necessità di elevare la qualità delle scuole e di valutarla. Ci dividiamo invece sull’uso delle prove Invalsi a questo fine. Purtroppo il principale nemico della scuola pubblica è l’autoreferenzialità, nessuno sa che cosa succede nelle classi. Quando siamo genitori protestiamo perché per i nostri figli dobbiamo scegliere al buio. Quando siamo professori invece abbiamo paura di far luce. Io penso che si tratti di un approccio nei confronti del quale è giusto avere una sana curiosità considerandolo uno degli strumenti a disposizione, non l’unico. Né bisogna piegare la didattica ai test, l’educazione dei ragazzi deve essere molto più ampia e proprio se un ragazzo ha una preparazione a tutto tondo può risolvere senza problemi i test pur non avendoli preparati durante l’anno. Le scuole non devono diventare testifici, le prove durano i tre giorni della somministrazione, poi per i ragazzi terminano lì».