SCUOLA
Aprea: ai docenti non serve
un vecchio concorso ma un nuovo reclutamento
il Sussidiario
5.5.2011
Scommettere sul successo formativo degli studenti e su una crescita
intelligente basata su un’economia della conoscenza e
dell’innovazione, come sollecita l’Europa, significa innanzitutto
puntare ad una nuova professionalità dei docenti. Chi opera nel
settore educativo sa bene infatti che qualsiasi riforma, anche la
più ambiziosa, può risultare inefficace se a realizzarla non ci sono
docenti capaci di operare i mutamenti che i cambi di paradigma
richiedono. Ed è per questo che ad ogni Legislatura ricorre, con
sempre maggiore urgenza, il tema della formazione iniziale ed in
servizio dei docenti e soprattutto quello del reclutamento.
Come è noto, nella Legislatura in corso si è legiferato sulla
formazione iniziale completando e rafforzando la formazione
universitaria dei docenti che fino a qualche anno fa è stata portata
avanti dalle Siss. Un intervento opportuno e di grande spessore che,
una volta a regime, rilancerà, sul piano professionale, la figura
del docente della scuola italiana.
Rimando al dibattito favorito da Ilsussidiario.net per gli
approfondimenti sulla nuova formazione iniziale. Mi interessa
sviluppare, al contrario, ciò che manca ancora alla costruzione
della nuova generazione di docenti: le modalità di un reclutamento
degli stessi coerente con la formazione iniziale prospettata dalle
nuove norme. Reclutamento che non può certamente avvenire attraverso
la modalità dei concorsi, così come, davvero inaspettatamente dal
mio punto di vista, ha auspicato il consigliere Max Bruschi proprio
da queste pagine.
Proporre una determinata modalità di reclutamento dei docenti
implica che si abbia, prima, un’idea del profilo professionale,
visto che reclutare vuol dire, in primo luogo, accertarsi che il
candidato all’insegnamento disponga delle competenze-chiave
necessarie per l’esercizio della sua professione. In giro per il
mondo sono stati compilati o dai governi o da associazioni
professionali di docenti molti cataloghi delle competenze-chiave,
che costituiscono, ad opinione degli estensori, le tessere
essenziali e necessarie del profilo professionale. Così il National
Board for Professional Teaching Standards, Nbpts (Associazione
professionale indipendente americana) ne elenca cinque, il ministero
francese dell’Educazione ben dieci, l’Unione europea più o meno lo
stesso numero, altri numeri forniscono gli Svizzeri, i Giapponesi, i
Finlandesi ecc. La Conferenza del febbraio 2005 dedicata dal
ministero dell’Istruzione italiano ai dati Ocse-Pisa ne elencava
tre. Si può sensatamente sostenere che questa oscillazione dipenda
più dalla decisione di entrare molto o poco nei dettagli che dalla
sostanza.
Il core della professione si può sintetizzare agevolmente nelle
cinque competenze-chiave del Nbpts: 1. possesso del sapere
disciplinare e neuro-psico-pedagogico; 2. capacità di mediazione
didattica; 3. doti e abilità di relazione con i ragazzi e con
l’ambiente; 4. capacità di far parte di una comunità
tecnico-professionale; 5. capacità di autoriflessione e
autocomprensione professionale e di autocollocazione nel mondo.
“Competenze-chiave” significa che se ne manca anche solo una, il
profilo professionale del candidato non è completo; in questo caso
il candidato perciò non è idoneo alla professione. L’acquisizione
delle competenze-chiave per insegnare avviene attraverso itinerari
diversi, e l’accertamento del possesso delle medesime da parte del
candidato si realizza con procedure e strumenti coerenti con
l’oggetto.
La prima competenza è quella della conoscenza della disciplina,
della didattica della disciplina e delle scienze necessarie per
comprendere natura e dinamiche evolutive delle persone sedute nei
banchi. È l’università che la fornisce, e pertanto è l’università
che ne certifica il possesso attraverso esami e laurea. Quanto alle
competenze numero 2, 3 e 4, si acquisiscono sul campo, cioè nelle
scuole, attraverso forme di tirocinio e di praticantato. È, del
resto, quanto prevede il nuovo Regolamento per la formazione del
personale docente. La n. 5 la forniscono processi di formazione, di
aggiornamento culturale, di autoformazione e, soprattutto,
l’esperienza concreta di uomo, di cittadino e di professionista.
Che poi la procedura di riconoscimento finale della laurea
magistrale abbia finito per consegnare alle università un ruolo
debordante nel giudizio finale è noto. Tuttavia, si spera che il
buon senso prevalga, al di là delle procedure formali, e che le
università tengano conto del giudizio che proviene dal campo di
esercizio e di acquisizione, quello appunto delle scuole. Il
possesso delle competenze 2-3-4 è accertato dal tutor o insegnante
esperto - che segue passo passo l’esperienza scolastica del
candidato - attraverso l’osservazione diretta, i colloqui, i giudizi
dei colleghi, dei genitori, dei ragazzi. La laurea magistrale è la
risultante dei giudizi delle università e delle scuole.
L’ipotesi di tornare al concorso come modalità di selezione del
personale docente, che fu a suo tempo caldeggiata dal ministro
Fioroni - che si fece affidare una delega - e mai realizzata,
presenta non poche controindicazioni, tutte peraltro, che
sconfessano le scelte fin qui operate dal ministro Gelmini.
La prima è che il concorso è in grado di accertare, attraverso prove
scritte e orali, eventualmente solo il possesso della prima
competenza. E lì si ferma. Chi ha fatto a suo tempo i concorsi di
abilitazione e di ruolo può testimoniarlo direttamente. Il concorso
conferma che si conoscono i contenuti disciplinari da insegnare, ma
nulla dice circa l’effettiva capacità didattica, relazionale, ecc.
posseduta dal candidato. Sostenere che il concorso garantirebbe il
reclutamento di qualità suona pertanto affermazione audace e
improvvida assai. A meno che...
A meno che si abbia in mente l’antico insegnante gentiliano, di cui
si ha una confessata nostalgia, e che è stato l’insegnante della
nostra adolescenza (donde, forse, la nostalgia!). Vi sono poi tutte
le altre controindicazioni, che riguardano i tempi biblici di
svolgimento di mega-concorsi, l’ingestibilità organizzativa, e
soprattutto il carattere di quasi-sanatorie, se vengono “riservati”.
È giunto, al contrario, il momento di puntare su una moderna e
riconosciuta professionalità dei docenti che deve essere costruita
attraverso la formazione iniziale universitaria e successivamente
valutata, ricondotta al merito, sostenuta e premiata dalle scuole
autonome che devono poter responsabilmente entrare nel circuito
della gestione delle risorse umane (oggi gestita burocraticamente e
centralmente attraverso punteggi e contenziosi) per garantire quel
valore aggiunto che solo docenti preparati e qualificati sanno dare
ad ogni singola scuola.
Ovviamente, sappiamo bene che le nuove norme non potranno ignorare i
diritti acquisiti dei docenti precari o dei docenti non abilitati in
servizio nelle scuole, ma proprio per questo, accanto alle
assunzioni programmate o da autorizzare, è opportuno prevedere altri
e più professionali canali di reclutamento per i docenti che si
formeranno secondo i nuovi percorsi universitari. Penso ad Albi
regionali per gli abilitati post-formazione universitaria e a
procedure di assunzione da parte di reti di scuole, in grado di
valutare per ogni scuola il docente migliore.
Sappiamo che non sarà facile, ma abbiamo il dovere di provare a
formulare ipotesi innovative e più internazionali, prima di ricadere
nella trappola delle formule già sperimentate e ampiamente
fallimentari, ma soprattutto non più coerenti con le selezioni già
previste nelle diverse fasi della prolungata preparazione
universitaria per l’accesso all’abilitazione.
he il ministro Gelmini sia attenta a nuove modalità di reclutamento
è noto, visto che in più occasioni pubbliche ha fatto riferimento
esplicito alla volontà di superare i vecchi schemi burocratici ed
introdurre sistemi basati sul merito che prevedano valutazione
continua e possibilità di carriera.
Credo, dunque, che il dibattito sul reclutamento debba abbandonare
la sbrigativa formula del concorso e concentrarsi su come introdurre
anche nel nostro Paese modalità maggiormente in sintonia con
l’autodeterminazione delle scuole autonome e che si coniughi con una
nuova e riconosciuta professionalità dei docenti, nel senso di
realizzare una comparazione bilaterale fra l’intero percorso di
studi, di ricerca e professionale del docente aspirante e la
proposta formativa di ciascuna scuola.
In questa direzione intendo spendermi sia come esponente della
maggioranza, ma soprattutto come Presidente della Commissione
Cultura della Camera.