SCUOLA

"Caro Ministro, ho un Phd,
vorrei insegnare ma lei me lo impedisce"

Lettera al presidente del Consiglio dei ministri Silvio Berlusconi, al ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini e al ministro dell’Economia Giulio Tremonti

Francesco Tanzilli il Sussidiario 13.7.2011

Signor Presidente, Signori Ministri,

vi scrivo in merito alle circostanze in cui si dibattono i giovani laureati che aspirano ad abilitarsi all’insegnamento in Italia. Io sono uno di questi, e sono un vostro sostenitore.

Non ritengo che la mia storia sia fuori del comune, ma sono fermamente convinto che possa offrire un valido contributo a percepire quanto sia drammatica la situazione attuale. Iscritto alla Facoltà di Lettere con lo scopo di poter un giorno insegnare, mi sono laureato nel febbraio 2005 summa cum laude e ho cominciato subito a svolgere attività di docente presso una scuola media inferiore parificata. Nell’autunno dello stesso anno, seguendo il consiglio di alcuni docenti universitari, ho partecipato al concorso per la scuola di dottorato, che ho superato ottenendo una borsa di studio. Ho dovuto quindi rinunciare a frequentare la Scuola di specializzazione per l’abilitazione all’insegnamento, come imposto dal regolamento.

Gli studi per il dottorato mi hanno condotto negli Stati Uniti; qui sono stato invitato da un’università di Boston a frequentare il PhD, ma ho rifiutato, preferendo tornare in Italia. Al termine del corso di dottorato, nel 2008, la scuola di specializzazione era stata abolita, pertanto ancora una volta non ho potuto ottenere l’abilitazione. Nel frattempo, ho continuato a collaborare con l’università e ho ripreso a svolgere attività di insegnamento presso un liceo paritario. Quando ho saputo dell’istituzione del Tirocinio formativo attivo, vi lascio immaginare quale spiraglio di speranza si sia aperto. A quanto pare invano, dato che i posti previsti dalle tabelle ministeriali per ottenere l’abilitazione ammontano in molti casi a zero fino al 2015, ma non c’è da farsi illusioni per gli anni successivi.

Mi auguro sia evidente che la mia condizione è paradossale, al punto da sfiorare il ridicolo. Ho titoli accademici e pubblicazioni all’attivo, ho un’esperienza di insegnamento nel corso della quale ho verificato una valida attitudine alla docenza e ho corroborato le mie capacità, ma non ho modo di ottenere l’abilitazione a svolgere questa professione. Potrei capire la restrizione dell’accesso per un’attività lucrosa, ma qui siamo notoriamente nel campo del Lumpenproletariat. Mi permetto di sottoporvi alcune questioni, che mi auguro vogliate affrontare con la vostra azione di governo.

1. Capisco la scelta di venire incontro alle esigenze espresse dai sindacati che organizzano i precari (anche se non ne vedo alcun tornaconto politico). Comprendo anche la necessità di contenere la spesa sul comparto scolastico, pur non condividendola. Qui però non si tratta di gonfiare stipendi o di regalare posti di lavoro, ma più semplicemente di riconoscere la possibilità di ottenere l’abilitazione a coloro che intendono svolgere una professione, quella dell’insegnante.

2. Per quale ragione la giusta preoccupazione di garantire un posto di lavoro stabile ai precari deve impedire ad altri giovani di ottenere non dico un’occupazione, ma almeno un’abilitazione? Non intendo mettere in discussione i diritti acquisiti, ma una sorta di sanatoria ope legis fatta sulle teste degli altri non è giustizia.

3. Del resto, le norme esistenti (Testo Unico D.L.vo 297/94 c. 1 art. 270) indicano con chiarezza che il reclutamento deve svolgersi secondo il cosiddetto “doppio canale”: 50% dai titoli acquisiti (cioè dalle graduatorie esistenti) e 50% dai concorsi. Basterebbe rispettarle. Perché non lo si fa?

4. Anche se per anni non vi fossero opportunità di spendere l’abilitazione presso una scuola pubblica, questa potrebbe però essere impiegata da subito per acquisire un posto di lavoro stabile presso istituti scolastici paritari. Per quanto marginale sia il numero, non capisco perché lo Stato italiano debba impedirlo. Sarebbe una decisione degna della Cuba di Castro o dell’Etiopia di Menghistu (non mi riferisco all’Urss, perché lì l’educazione era ideologizzata, ma ben curata).

5. Mi permetto infine di notare che una nazione che non investe sul suo futuro, che non concentra i propri sforzi sulla formazione e sull’istruzione (ma sarebbe bene tornare a parlare di educazione), è una nazione destinata a rimanere ai margini della storia. La crisi odierna, di dimensioni globali, non può essere affrontata mediante equazioni e algoritmi di bilancio. Occorre investire sulla formazione di capitale umano in grado di affrontare la crisi e di costruire laddove altri fuggono, come i benedettini, che ricostruirono l’Europa invasa dai barbari a partire dagli scriptoria dei monasteri. Anche il più geniale tra gli attuali ministri avrà un qualche debito di riconoscenza nei confronti dei suoi docenti: farebbe bene a rammentarlo.

Concludo ricordando ai destinatari di questa lettera il nome del partito cui appartenete, che uno di voi ha fondato: “Popolo della libertà”. Bene: lasciateci liberi di educare! Permetteteci di concorrere all’acquisizione di un titolo che ponga in grado chi ne ha le capacità (magari più di qualche precario...) di svolgere il suo lavoro e di dare il suo contributo all’edificazione del bene comune. Una politica veramente liberale dovrebbe porre fine a questi meccanismi stantii ed elefantiaci, in cui è lo Stato a dover dirigere e distribuire il lavoro.

Una politica veramente liberale dovrebbe essere ispirata al vecchio, caro principio dell’“uguaglianza dei punti di partenza”: un mercato del lavoro libero anche nel settore scolastico, senza assurde graduatorie regionali o provinciali, in cui i docenti possano scegliere l’istituto presso il quale insegnare e i dirigenti scolastici possano vagliare e selezionare i singoli docenti da impiegare presso il loro istituto. Un sistema in cui valgano le stesse regole e gli stessi diritti per tutti, con gli opportuni controlli per impedire distorsioni e ingiustizie, ma in cui ci sia davvero una reale libertà d’insegnamento.

Questo, però, vale per il futuro: nell’immediato, è urgente e indispensabile sbloccare l’accesso al TFA per una quota ragionevole di aspiranti docenti, molto più ampia degli zerovirgola comunicati finora dal ministero.

Mi sono rivolto direttamente a voi, fiducioso di trovare ascolto. Se ci siete, battete un colpo.

Francesco Tanzilli