SCUOLA
Gentili (Confindustria): intervista di Federico Ferraù a Claudio Gentili il Sussidiario 28.7.2011
Al
ministro Gelmini, che domenica sul Corriere aveva detto di
non voler alimentare false illusioni nei giovani studenti («nei
prossimi anni gli unici posti disponibili saranno quindi quelli
derivanti dai pensionamenti») hanno risposto ieri
su questo giornale Mario Mauro e Maurizio Lupi, difendendo la
separazione tra abilitazione alla professione docente e reclutamento
in organico tramite concorso. La presa di posizione dei due
esponenti del Pdl arriva dopo un lungo confronto, anche in sede
istituzionale, sui numeri del fabbisogno nazionale previsto per i
prossimi anni. Alla scelta del ministero di far coincidere, in sede
di calcolo, il numero di posti disponibili col numero di precari
collocati nelle graduatorie a esaurimento - anche se ora pare che
quei numeri stiano cambiando - aveva fatto seguito, il 30 giugno,
una lettera aperta del Clds al ministro Gelmini. Il commento di
Claudio Gentili, responsabile education di Confindustria.
La
risposta non può essere tranchant. Il primo rilievo da fare è che il
ministro si è trovato a gestire una questione particolarmente
complessa, quella della produzione del precariato, che ha ereditato
da chi l’ha preceduta e che rappresenta una piaga storica. Basti
pensare che nel ’51 l’allora ministro della Pubblica istruzione
disse di «vergognarsi» di fare una sanatoria, assicurando che
sarebbe stata la prima e ultima volta; ebbene, da allora di queste
sanatorie se ne sono succedute più di una ventina...
...sto dicendo che la preoccupazione della Gelmini è legittima e
fondata. D’altra parte - ed è il secondo rilievo che faccio - la
soluzione ideale è anche per me la stessa che il ministro ha
giustamente adottato per l’università: distinzione tra idoneità
nazionale e reclutamento. La soluzione più liberale, più europea,
quella che rispetta di più il merito, è quella di difendere il pieno
diritto di un giovane italiano, anche se sfortunatamente per lui ha
finito gli studi universitari nel 2008 (anno di chiusura delle Ssis,
ndr), nel 2009 o nel 2010, di poter sognare di diventare
insegnante. Questo è fondamentale.
Nei suoi recenti stati
generali di Bergamo, tra le tante proposte che Confindustria ha
fatto sull’education c’è quella «quote giovani». Noi diciamo: delle
67mila nuove assunzioni tra Ata e docenti ottenute dal ministro, il
20 percento dovrebbe avere meno di 30 anni. Sarebbe un modo per
salvare il diritto di accesso all’insegnamento. Ma se lei va a
guardare nelle graduatorie, scopre che di questi 67mila nessuno ha
meno di 30 anni. Occorre porre con forza il problema di un sistema
corporativo, oltre che burocratico, che si protrae da 50 anni e che
impedisce ai talenti giovani di entrare nella scuola.
Vede, per impedirlo davvero
bisognerebbe fare prima un’altra riforma: abolire i punteggi alle
supplenze temporanee. Se non la smettiamo di dare ai supplenti un
punteggio, non ci libereremo mai delle graduatorie. Da un lato
diciamo che le graduatorie sono a esaurimento, dall’altro però i
punteggi a cosa servono, se non a riformarle graduatorie? Occorre
poi aggiungere un altro elemento, legato alla furbizia italica. Per
evitare che un fine buono - dare spazio ai giovani e al merito - si
riveli uno strumento per gonfiare il precariato, occorre impedire
che possano accedere al TFA i già abilitati con lo scopo di scorrere
posti in graduatoria. Durante le SSIS capitava di trovare nelle aule
molti attempati supplenti che con la frequentazione a 45 anni
suonati volevano avere qualche punto in più...
È mancato un punto
rilevante: la differenza, ingiustificabile, tra i dipendenti
pubblici normali e i dipendenti pubblici della scuola. Il dipendente
di altri comparti della Pa italiana, quando fa un concorso sa che la
sua graduatoria, dopo un anno, un anno e mezzo non c’è più: non è «a
esaurimento», ma sparisce come tale e si ricomincia da capo. Mi
domando per quale motivo c’è questa ingiustizia e perché nessun Tar
ha mai emesso una sentenza al riguardo. Senza affrontare questo nodo
cruciale, torneremo a riprodurre i vecchi vizi.
Credo di immaginarlo: l’allargamento del TFA ad un pubblico molto
vasto potrebbe generare un movimento di opinione di fronte al quale
i politici sarebbero assai deboli, temo, nel dir di no; anche se
Mauro e Lupi respingono con forza questa ipotesi. Riattivare le
graduatorie sarebbe un fallimento clamoroso per l’intero sistema.
Il
punto delicato è che la scuola in Italia si regge su di un’alleanza,
quella tra il mammut e il dinosauro. Il mammut è la burocrazia, il
dinosauro è il corporativismo. Per rompere questa alleanza c’è
bisogno di un grande movimento di opinione pubblica che chieda più
merito e meno corporativismi e assistenzialismi nei confronti di un
lavoro così importante come quello educativo.
Anche questo è un problema fondamentale. La riduzione dei numeri del
TFA e con essi delle abilitazioni penalizzerebbe gravemente le
scuole paritarie, dove ci sono giovani bravissimi che non sarebbero
messi in condizione di acquisire l’abilitazione. Riesumare la proposta di legge Aprea. Dovrebbe essere questo l’ultimo tassello del disegno riformatore della Gelmini. Ricordo che quando fu presentata ci fu una lettera allarmata dei segretari generali di Cgil, Cisl e Uil al presidente della Camera Fini. Era una garanzia di qualità, e infatti quella proposta attentava gravemente al potere sindacale nella scuola. Apriamo i concorsi, che da troppo tempo non si fanno, e stabiliamo regole europee per cui le reti di scuole possono assumere direttamente gli insegnanti. Senza questo sistema decentrato che valorizza il principio di sussidiarietà, lo statalismo soffocherà ogni altro tentativo liberale. |