Non sarà un dirigente “manager” dal blog di Giorgio Israel, 10.7.2011 La dirigente di una scuola secondaria decide di punire in blocco gli studenti della sua scuola per il danneggiamento vandalico di un estintore imponendo un rimborso collettivo. Uno studente modello (9 di media) si rifiuta di pagare la sua quota in quanto non si ritiene colpevole di alcunché. La dirigente propone al consiglio di classe di assegnargli un 6 in condotta. Una insegnante vota contro e si vede punita dalla dirigente con 10 giorni di sospensione senza retribuzione. È un fatto – riportato ampiamente dalla stampa – che testimonia la cronica incapacità di trovare nella scuola il giusto equilibrio tra gestione democratica “dal basso” e gestione autoritaria. Si tratta forse del riflesso di una carenza italiana di cultura autenticamente democratica dopo che per qualche decennio sono prevalse culture totalitarie? Lasciamo pure aperta la domanda. Ma, di certo, le follie populistiche della scuola del successo formativo garantito in cui sono garantiti i diritti ma non i doveri – la scuola della “customer satisfaction”, in ginocchio davanti all’“utente” – non si correggono conferendo un potere consolare incontrollato ai dirigenti scolastici “manager” sul modello fallimentare delle ASL. Questa mancanza di senso dell’equilibrio si è espressa anche nella sperimentazione della valutazione del merito dei docenti in cui il potere di decidere chi siano gli insegnanti migliori di un istituto scolastico è stato conferito a una commissione composta dal dirigente e da due docenti “eletti” dai loro colleghi. Magari in questa particolare sperimentazione le cose saranno andate in modo corretto, ma è alla portata di chiunque capire che una scuola in cui un dirigente ha una mentalità autocratica e si è creato una propria consorteria – per i più svariati motivi, da quelli personali a quelli politici, ideologici, ecc. – la medesima consorteria può autopremiarsi penalizzando gli sgraditi, che magari sono i migliori. Ecco un altro episodio, tra i tanti che si potrebbero raccontare. Un insegnante si distingue per la sua incapacità di tenere l’ordine in classe e per la sua ignoranza. Le sue castronerie – del genere «oggi vi imparo» – si sprecano e sono anche documentate. Un gruppo di genitori stufi protesta per iscritto con il dirigente. Ma l’insegnante è molto amico del dirigente e anche di altri genitori – cui fa comodo che i loro cocchi facciano quel che più garba loro e che abbiano pochissimi compiti a casa – con cui intrattiene rapporti personali, per esempio andando a farsi ogni tanto una pizza con loro. Così parte un contrappello in difesa dell’insegnante e contro le famiglie che hanno protestato. Il dirigente si schiera con l’insegnante e i genitori suoi amici e, per gli altri, l’unica alternativa è tentare di cambiar scuola. L’esito è così riassumibile: «Ve lo imparo io che succede a protestare contro il mio insegnante». È chiaro che non esistono sistemi perfetti ma bisogna proprio andarsi a scegliere un sistema che presenta controindicazioni tanto plateali? Se poi si definisce un simile metodo come “oggettivo” si sconfina nell’incoscienza. È elementare capire che il minimo di garanzia di ottenere una valutazione seria è affidarla a un giudizio esterno e indipendente. Ora, la premiazione dei migliori scelti a quel modo – in una trentina di scuole faticosamente pescate dopo una raffica di rifiuti - viene sbandierata come un successo. Mi dispiace, ma non sono d’accordo. Non esistono ragioni al mondo, di alcun tipo, che possano indurre a condividere scelte che confliggono con il più elementare buon senso e che possono avere implicazioni pratiche distruttive. |