Compiti nelle vacanze?
No, grazie. Neppure durante l’anno.
Esame ragionato della loro inutilità

Giovanni Sicali, da AetnaNet 1.7.2011

Fantastici i motori di ricerca! Vuoi studiare una questione? Mister intenet ti offre la rassegna stampa. Anche l’archivio di aetnanet è diventato una miniera. Digito “compiti” e sfoglio tanti post già pubblicati. Ripercorro quelle tappe e mi chiarisco le idee. E’ mia abitudine, però, partire sempre dalla normativa ministeriale, che, anche se di vecchia data, non può esser cestinata. Dev’esser applicata, pùrché non abrogata. I vecchi professori usiamo ancora il Giannarelli “Nuovo Compendio della Legislazione sull'Istruzione Leggi, regolamenti, circolari, giurisprudenza e tutto quanto riguarda la scuola (pagg. XXIV + 1540)”. E ci imbattiamo in tre circolari: la C.M. 20 febbraio 1964, n. 62; la C. M. 30 ottobre 1965, n. 431; e la C. M. 14 maggio 1969, n. 177. Le riportiamo (in ampi stralci qui di seguito). Leggiamo e riflettiamo. Quanta sapienza c’è, negli antichi scrittori!

(1). C. M.20 febbraio 1964, n. 6: Compiti scolastici da svolgere a casa e in classe.

“Da più parti è stato segnalato al Ministero che in talune scuole secondarie gli alunni sarebbero sottoposti ad un carico eccessivo di lavoro per compiti scolastici da svolgere a casa. (…) Non occorre qui ricordare come alla formazione culturale dell'alunno debbano concorrere sia l'azione didattica, attuata nella più viva collaborazione tra docente e discenti, sia il ripensamento individuale realizzato con lavoro personale dell'alunno a casa. Ma di questi due momenti della preparazione culturale il primo è quello che più profondamente e durevolmente incide nello spirito dell'alunno; se esso difetta, difficilmente l'altro momento potrà consentirne un integrale recupero. Né, d'altra parte, è necessario insistere sulle ovvie considerazioni che il costringere i giovani ad aggiungere alle quattro o cinque ore di scuola altrettante, o anche più, ore di studio individuale a casa, oltre agli eventuali riflessi dannosi sotto il profilo igienico, contribuisce a determinare una preparazione lacunosa - per le scelte inevitabili che i giovani sono indotti di volta in volta a fare, quando non possono fronteggiare l'intero sovraccarico - e precaria, per l'impossibilità di una serena e approfondita maturazione delle conoscenze. Sarà, quindi, cura dei Capi d'istituto richiamare l'attenzione degli insegnanti su queste considerazioni e sulla opportunità che i docenti procedano preventivamente, anche con riunioni del Consiglio di classe, ad opportune intese e stabiliscano adeguate misure volte ad evitare che gli impegni di studio a casa siano inegualmente distribuiti e concentrati pesantemente in alcuni giorni della settimana. Quanto qui è stato detto si riferisce in modo speciale alle scuole secondarie superiori, poiché particolarmente nella nuova scuola media dell'obbligo (ndr. 1962), per la impostazione sua stessa, già illustrata nei documenti ufficiali, ogni sovraccarico di compiti per casa è naturalmente escluso. L'esigenza di dosare opportunamente il lavoro scolastico non concerne soltanto i compiti da eseguire a casa, ma anche quelli da eseguire in classe, allo svolgimento dei quali un malinteso rispetto degli orari prestabiliti induce talvolta il docente a non attribuire il tempo necessario. Tali compiti sono in effetti particolari forme di lavoro individuale indispensabili per la formulazione di quei giudizi, che la scuola deve pur esprimere. Se le norme e la logica stessa di una prova scritta indicano un certo tempo come necessario perché la meditazione individuale possa dare risultati capaci di orientare efficacemente un giudizio, il costringere quella prova in un tempo inferiore vale a renderla inidonea. Anche per la situazione qui prospettata molte difficoltà possono essere superate mediante opportune intese tra i docenti, solleciti non solo delle proprie discipline, ma più ancora della totalità dell'opera educativa, la quale non può non essere facilitata anche da un giusto coordinamento”.

(2). Circolare Ministeriale 30 ottobre 1965, n. 431: Interrogazioni parlamentari concernenti i compiti scolastici da svolgere a casa.

“Per opportuna conoscenza, si trascrive la risposta data dall'On.le Ministro (ndr. Luigi Gui) ad alcune interrogazioni parlamentari, relative all'oggetto: “L'attività di studio in ore extrascolastiche è, in una certa misura, ineliminabile, in proporzione naturalmente ben diversa a seconda dei vari ordini o gradi di scuola. Un ripensamento personale da parte del discente di ciò che a scuola è stato insegnato costituisce, infatti, una condizione insopprimibile per una vera assimilazione ed educazione al sapere. E' necessario, tuttavia, che l'attività didattica dei singoli docenti sia opportunamente coordinata ai fini di una proficua organizzazione dello studio extrascolastico. Un sovraccarico degli impegni di studio o la concentrazione di essi in alcuni giorni nuocerebbe, infatti, sia alla salute dei giovani, sia al processo di maturazione culturale, che non può essere costretto in schemi innaturali. Peraltro non si ritiene ora possibile fornire più particolari indicazioni o imporre drastici divieti, senza interferire indebitamente nella responsabilità che è deferita agli insegnanti di sviluppare i programmi e di formare convenientemente i loro alunni. Prescrizioni drastiche in materia sarebbero, d'altra parte, inopportune in rapporto alla varietà di condizioni in cui si compie l'insegnamento e alla necessità di contemperare le varie e non sempre concordi esigenze delle famiglie".

(3). C. M. 14 maggio 1969, n. 177: Riposo festivo degli alunni. Compiti scolastici da svolgere a casa.

“(…) La ricerca da parte dei giovani di nuove conquiste, di nuovi ideali, in uno sforzo continuo di superamento di sistemi e di schemi di vita non più aderenti alle esigenze sempre nuove e mutevoli della odierna società, una sempre più approfondita valutazione dell'importanza dei problemi del tempo libero, l'incidenza sempre più viva ed efficace sui giovani delle manifestazioni collaterali non proprie della scuola ma pur sempre riconducibili alle sue finalità e alla sua azione educativa, quali le attività sportive, ricreative e artistiche, inducono a considerare da un angolo visuale più ampio tutti i fattori e le componenti che concorrono, insieme e ad integrazione della tradizionale preparazione culturale dei giovani ai fini meramente scolastici, alla crescita e al completamento della personalità in vista dei successivi traguardi che la vita porrà dinanzi a ciascuno di essi. Anche la consapevolezza e la comprensione al di fuori dell'ambito dell'attività prettamente scolastica di alcuni aspetti della dinamica della vita del nostro paese, quali la sua affermazione nel contesto del mondo civile, il suo progresso economico, lo sviluppo delle istituzioni democratiche, la partecipazione attiva a tutte le manifestazioni volte ad esaltare nelle coscienze gli ideali della democrazia, della libertà, della patria, della famiglia, postulando in maniera non meno sentita l'esigenza di nuove aperture in tema di processo formativo dei giovani. In questa prospettiva acquista particolare rilievo l'interessamento e la partecipazione dei giovani alla pratica degli sport (nuoto, sci, tennis, calcio, ecc.), specie se promananti dalla scuola medesima o da istituzioni aventi fini educativi, alle manifestazioni artistiche (concerti, teatro, mostre dibattiti, ecc.), alla visita dei monumenti, dei musei, delle gallerie, attività tutte che quasi sempre si svolgono nelle giornate domenicali e in altri giorni festivi. Si risolverebbero, tuttavia, in una vuota affermazione di principio la individuazione e la valorizzazione di un tale interessamento dei giovani alle anzidette manifestazioni, se la scuola non si preoccupasse di porre gli alunni nella condizione di poterne effettivamente fruire. Nell'impegno di garantire agli alunni ogni possibilità e ogni componente di sviluppo della loro personalità, la scuola non può non preoccuparsi di rendere praticamente possibile questa più ampia e varia forma extrascolastica di arricchimento culturale e formativo. Inoltre, va considerato che nelle giornate festive e, in genere, anche nel pomeriggio del sabato, moltissime famiglie italiane, in cui entrambi i genitori svolgono un'attività lavorativa, trovano l'unica occasione di un incontro dei propri membri - innanzi tutto genitori e figli - più disteso nel tempo e, quando possibile, in ambiente diverso da quello dell'abituale dimora cittadina, più sereno nel riposo dal lavoro, di un incontro nel quale trovano alimento il rafforzarsi dei rapporti affettivi, lo scambio delle esperienze, il confronto dei comportamenti tra giovani e adulti; in una parola, si ricompone l'unità della famiglia, e questa attua la pienezza della sua essenza di primo e fondamentale nucleo sociale e della sua primaria funzione educativa. In considerazione del duplice ordine di esigenze finora prospettate, questo Ministero (ndr. Mario Ferrari Aggradi) è venuto nella determinazione di disporre che agli alunni delle scuole elementari e secondarie di ogni grado e tipo non vengano assegnati compiti scolastici da svolgere o preparare a casa per il giorno successivo a quello festivo, di guisa che nel predetto giorno non abbiano luogo, in linea di massima, interrogazioni degli alunni, almeno che non si tratti, ovviamente, di materia, il cui orario cada soltanto in detto giorno. (…)”.

P.S. Pare pensarla allo stesso modo l’ex Ministro della P.I. Giuseppe Fioroni (2006-2008). In un’intervista a La7 infatti dichiarava che i compiti dovrebbero essere svolti prevalentemente in classe, in modo che a casa i ragazzi possano interessarsi anche ad altro: sport, gioco, varia socialità, natura… E proponeva l’istituzione di una commissione di esperti per dare lumi e indicazioni al riguardo. Ancora stiamo ad aspettare quei risultati pedagogici e didattici. E poi, caro ministro, con le dichiarazioni in TV non si governa nulla, neppure la scuola. (Fine della prima parte)

Mi ritengo molto fortunato perché non ho mai fatto i compiti a casa, né durante gli anni scolastici né tantomeno durante le vacanze. Ai miei tempi (negli anni 50), alle elementari c’era il doposcuola pomeridiano dei salesiani. Alle medie ero già in collegio. All’università studiavo nelle biblioteche romane, a prescindere dalle stagioni. Posso dire che a casa mia non ho mai studiato, ma lì ho imparato tanto. La mia vera scuola è stata la mia famiglia (e la strada del mio quartiere di periferia), anche se il “preside”, mio padre, non aveva passato neppure un giorno sui banchi scolastici. Poi da docente, siccome nessuno mi aveva insegnato ad insegnare, mi sono ispirato a quei maestri che mi avevano “segnato” ed ho appreso (anche per contrasto) dai dirigenti scolastici e colleghi durante 4 decenni.

Fin da primo anno, ho rifiutato istintivamente la scuola della ripetizione disapprovando gli alunni che imparavano a memoria (allora si usava tanto!) parti dei libri di testo o addirittura i miei appunti ciclostilati di filosofia o le mappe concettuali di storia. Ho iniziato anche ad avere in antipatia l’assillo del programma da svolgere ed ho orientato la mia didattica al raggiungimento di un valido metodo di studio, possibilmente personalizzato per ogni alunno. “Non multa sed multum”, non studiare molte cose, ma molto bene (Quintiliano, Instit., X, I, 59). Uno degli obiettivi costanti cominciò ad essere quello di mirare ad ottenere l’interesse e la simpatia - non alla mia personale mediazione culturale – ma alla disciplina oggetto di studio.

Nel secondo decennio di docenza ebbi modo di capire il significato della inutilità dei compiti per casa. Non eravamo in tempi di PC (personal computer) ma nel liceo classico e scientifico dove mi trovavo regnava sovrano la PCI (premiata copisteria internazionale). A crocchi gli alunni si copiavano l’un l’altro i compiti assegnati sia nelle lingue antiche del Mediterraneo che quelli attinenti alle moderne matematiche e scienze. Molti, addirittura, per evitare oppressioni familiari andavano dicendo che tanti professori non assegnavamo più compiti per casa. La cosa era vera solo in parte perché, me compreso, volevamo l’autonomia e la responsabilità nell’affrontare lo studio pre-universitario da parte dei discenti. Il punto di partenza basilare in ciò era che l’alunno doveva farsi un pigidìo così durante le lezioni per apprendere il massimo e oltre. Oportet studuisse, metodo preventivo come voleva don Bosco. Conseguentemente, se a casa l’alunno voleva ancora continuare liberamente ad approfondire di sua iniziativa il lavoro culturale del mattino, ok. Vuol dire che voleva puntare molto in alto nella vita. Scattava cioè l’interesse allo studio, come una inquietudine agostiniana. E si sostituiva il luogo comune “Ho finito di studiare, ho fatto i compiti”, con quello più significativo: “Sono stanco di studiare. Per oggi, chiudo”.

L’anno scorso i compiti estivi per i miei alunni del biennio hanno avuto questo slogan: “Parlate con i vostri genitori!”. Per questa estate 2011 invece, alle prime classi del liceo artistico gelminiano, ho assegnato come compito unico l’antico motto latino del Vecchio Plinio “Nulla dies sine linea”, nessun giorno senza una linea (Storia Nat., 35). La frase veniva riferita al celebre pittore Apelle, che non lasciava passar giorno senza tratteggiare col pennello qualche linea. Oggi, queste parole valgono per tutti quelli che, con l’esercizio costante della propria arte, del proprio lavoro e della propria ragione, osservano il mondo e tentano di capirlo (persino oziando nel “meriggiare pallido e assorto” come ricordava bene il prof. Palumbo in questo sito). La necessità dell’esercizio quotidiano per raggiungere la perfezione e per progredire in qualcosa diventa un imperativo categorico kantiano. Che tristezza assegnare compiti per le vacanze e sapere dai ragazzi che li hanno fatti (copiati!) in settembre qualche giorno prima della ripresa delle lezione. In valigia perciò non si devono mettere libri perché, (questa volta è Fedro che sentenzia): “Homo doctus in se semper divitias habet...

Era il 1969, mi trovavo universitario a Roma, e il ministro della P.I. Aggradi (come ho documentato nella prima parte di questo post) emanava una importante circolare sui “compiti”. Le motivazioni che lo spingevano allora a “bacchettare” gli insegnanti troppo esigenti sono attuali ancora oggi: “Il tempo libero può avere una funzione estremamente educativa - spiega il ministero - rappresenta momenti in cui i giovani possono dedicarsi ad attività ricreative, artistiche, sportive che concorrono alla crescita e alla formazione dell’individuo. Non deve accadere che i libri di testo prevalgano sulla percezione del mondo esterno che ogni studente deve aver modo di cogliere e di elaborare, libero dell’ambito scolastico. Vanno inoltre preservati quegli spazi, che rappresentano spesso uno dei rari momenti di incontro senza impegni tra genitori e figli”.

Come fare con gli alunni figli della “rete”, quando la scuola è ancora quella del secolo scorso? L'ideale sarebbe poter restare in contatto sulla rete anche d'estate, rafforzando la "partnership informale". Io cerco di farlo utilizzando “Faccialibro” ma rimanendo sempre offline e mai in chat. Contatto gli alunni e chiedo loro a che punto di inquietudine sono rispetto al loro progetto di vita culturale. Durante l’anno ho chiesto ad ognuno di farmi la lista dei loro libri (non-scolastici) che hanno già a casa. Ora per ciascuno do un suggerimento per una libera e tranquilla lettura. Senza comprare nulla, ma utilizzando i libri di loro proprietà e ancora mai letti.

"I compiti non dovrebbero mai essere vissuti come una "punizione" - dice Giuseppe Bertagna, docente di pedagogia e interlocutore privilegiato di più di una riforma scolastica - mentre invece in Italia troppo spesso si privilegia il programma rispetto alla crescita educativa". Compito o computo è un participio passato dal verbo computare (non viene da compiere). E da computare viene anche computer. Allora assegnare compiti è invitare a tenere acceso il proprio PC, e possibilmente spenta certa TV. E buone vacanze anche a Professori e Genitori!

 

Giovanni Sicali
giovannisicali@gmail.com