Descolarizzare la società:
edizione Tremonti/Gelmini
di Maurizio Tiriticco ScuolaOggi,
2.7.2011
Ho ricordato più volte in altri scritti quanto sia stato importante
il contributo dei descolarizzatori che negli anni Settanta, con una
visione certamente tutta utopica e ottimistica, dichiaravano che il
ruolo della scuola fosse ormai in dirittura di arrivo, stante il
fatto che la società democratica, civilmente cresciuta e ampiamente
acculturata, potesse da sola far fronte ai problemi dell’istruzione
senza più attivare luoghi da essa separati.
In effetti, la scuola è una istituzione recente per le nostre
società. Per migliaia di anni i nuovi nati apprendevano dal e nel
sociale che cosa fosse necessario per sopravvivere: alimentarsi,
difendersi, riprodursi. Ciò che il gruppo – maschi e femmine, padri
e madri, una volta incerti, poi, con le prime organizzazioni
famigliari, sempre più certi – faceva, i nuovi nati facevano. E il
progresso indotto dalle invenzioni era lento, quanto lente erano le
stesse invenzioni. L’aratro a chiodo e la zappa si sono riprodotte
per migliaia di anni, come l’arco e la freccia e la cerbottana:
agricoltura, allevamento, caccia hanno costituito per millenni la
garanzia della sopravvivenza; e i nuovi nati si integravano a quelle
tecniche senza particolari mediazioni. Si diventava adulti molto
presto, quando si era in grado di lavorare e di riprodursi. Non
c’era l’adolescenza, questa età di mezzo tipica, invece, delle
società successive, complesse, tecnologicamente avanzate,
caratterizzate anche da una rigida divisione del lavoro. Tutta colpa
della rivoluzione industriale? Non mi avventuro in discorsi
complessi, ma è certo che dalle botteghe artigiane e non dalle
facoltà di architettura sono usciti gli Alberti, i Brunelleschi, i
Michelangelo e… non erano affatto dottori con laura e con lode!
Insomma, la scuola è nata dopo, molto dopo, quando i gruppi
famigliari si sono dimostrati incapaci di condurre quei processi di
socializzazione e di acculturazione che si facevano via via sempre
più complicati. Basti pensare ai processi di alfabetizzazione che
gruppi famigliari di analfabeti sarebbero stati assolutamente
incapaci di attivare.
Le proposte di Illich, Reimer, Goodman non erano del tutto
cervellotiche. La loro tesi era più o meno questa: la società si è
arricchita di tante istituzioni, organizzazioni, servizi, apparati
produttivi a fronte dei quali la scuola è povera cosa! La scuola non
è più in grado di preparare alla società perché la società la
sopravanza e della lunga! La scuola, quindi, finisce con l’essere un
limite più che una risorsa per i nuovi nati! Tanto vale restituire
l’istruzione al sociale, come era una volta alle origini
dell’umanità. Teorie suggestive quelle dei descolarizzatori, ma di
difficilissima applicazione, tant’è vero che la loro stagione è
passata nel giro di un tempo assai breve. E chi si ricorda più di
loro? Comunque, eravamo tutti d’accordo che la scuola fosse molto
indietro rispetto alle esigenze del sociale, per cui la necessità di
avviare rapporti sempre più stretti e produttivi tra scuola, mondo
del lavoro e società era sempre perseguita. Quante battaglie per
questo obiettivo! Basta ricordare, per quanto riguarda il nostro
Paese, i decreti delegati del 74, tutti finalizzati alla costruzione
di un nuovo rapporto tra scuola e società; e tutta la stagione
dell’area di progetto nell’istruzione tecnica e del Progetto 92
nella professionale! E si andava avanti! Ma oggi? Ciò che sta
accadendo in questi giorni mi riporta indietro di mezzo secolo!
Forse i nostri ministri Tremonti e Gelmini sono caduti sulla via…
della descolarizzazione? Indubbiamente non sanno nella di Illich e
compagni, perché, se li avessero letti, avrebbero trovato uno
straccio di giustificazione al loro… folle volo! Quindi si tratta
non di una descolarizzazione in funzione di una tesi: faccia il
sociale ciò che la scuola non può! Ma di una descolarizzazione fine
a se stessa: la scuola ha un costo che non intendiamo più sostenere!
Ciò che la scuola produce lo si tocca con mano solo ad anni di
distanza! E per una società sempre più schiava dell’usa e getta le
prospettive a tempi lunghi sono micidiali! Insomma, la
globalizzazione vale solo per la coordinata spazio, non per la
coordinata tempo. Ed è proprio la scelta di non pensare secondo i
tempi lunghi che ha condotto a questa società sempre più liquida che
tanto affligge il nostro Bauman e… purtroppo tutti noi.
La cosa più naturale del mondo, i genitori che investono per
l’avvenire del figlio, sembra non esistere più almeno nelle scelte
dei nostri governanti. Investire per il futuro, investire in
istruzione, non si può e non si deve! Viene da chiedersi: ma che
cosa è avvenuto in questi ultimi decenni? Quando i nostri nonni
andavano nella pluriclasse facendo chilometri a piedi e portavano
ciascuno un pezzo di legna per la stufa, sapevano che quel
sacrificio sarebbe stato ripagato. In quello sperduto paesino poi è
nata la scuola elementare, poi la scuola media, poi l’istituto
comprensivo, ed è stato attivato il riscaldamento. Ciascuno di noi
accetta un sacrificio quando c’è la prospettiva di un domani
migliore!
Nel 1945 eravamo letteralmente morti di fame, ma poi, un po’ con il
piano Marshall, un po’ con il nostro lavoro, arricchito anche da una
polemica politica fortissima ma costruttiva tra la Diccì e il Piccì,
in un decennio abbiamo dato vita al miracolo economico!!!
Che cosa ci danno in cambio, oggi, Tremonti e Gelmini in termini di
prospettiva? Assolutamente nulla! Saranno lacrime e sangue anche per
gli anni futuri! Mi chiedo, da ignorante dei processi economici:
dov’è che il motore si è inceppato? Perché stiamo tornando indietro,
invece di andare avanti? E’ tutta colpa della globalizzazione? Tutta
colpa della Cina? O dell’India? O del Brasile? O degli immigrati che
giorno dopo giorno affollano l’Europa? Ma è in grado la nostra
classe dirigente di rispondere a questi interrogativi? Perché la
Polonia sta conoscendo un nuovo giorno? Perché da noi è solo notte
fonda?
E chi paga sono i nostri bambini, che pagheranno anche da grandi
perché il loro avvenire è stato cancellato! E poi non ci vengano a
raccontare che occorre premiare il merito, quando questa
descolarizzazione strisciante produrrà solo demerito! Uno su mille
ce la fa, dice Gianni Morandi… e gli altri novecentonovantanove? Al
macero! Ma non a Napoli, perché… rimarrebbero… in mezzo a una
strada!