SCUOLA
La «via» italiana all’integrazione:
un rapporto su che cosa non va
È di Associazione TreeLLLe, Caritas e Fondazione
Agnelli.
In 10 anni alunni disabili aumentati del 45%
Maria Giovanna Faiella Il
Corriere della Sera, 16.6.2011
MILANO - Siamo tra i primi Paesi al mondo ad aver abbandonato le
scuole speciali e attuato l’inserimento degli alunni con disabilità
in classi comuni. Ma si tratta di una reale integrazione? La«via»
italiana all’inclusione scolastica ha davvero funzionato? A
individuare luci e ombre del modello scolastico introdotto in Italia
più di 30 anni fa è il rapporto “Gli alunni con disabilità nella
scuola italiana: bilancio e proposte”, realizzato da Associazione
TreeLLLe, Caritas Italiana e Fondazione Giovanni Agnelli.
FOTOGRAFIA AGGIORNATA -
«Nell’ultimo decennio gli alunni con disabilità nella scuola
italiana sono aumentati di circa il 45% – riferisce Andrea Gavasco,
direttore della Fondazione Agnelli - . La domanda di sostegno è in
forte crescita: dai circa 140 mila alunni dell’anno scolastico
2001-02 si è passati ai 200 mila del 2009-10. Il numero di
insegnanti di sostegno è cresciuto fino al 2006, poi si è
stabilizzato: oggi sono circa 95 mila. In media sono due gli alunni
disabili per ogni docente di sostegno». Ma cosa segnalano i dati?
«Il modello di integrazione si basa su buoni principi ma è poco
intelligente – afferma Gavasco - . Per esempio, esiste un meccanismo
rigido: al certificato di disabilità, rilasciato dalla Asl,
corrisponde un determinato numero di ore di sostegno. Questo, però,
non permette di differenziare le risposte in base alle esigenze dei
ragazzi».
DIFFICOLTA’ DELLE FAMIGLIE - Tra
l’altro, le famiglie devono spesso districarsi da sole tra i meandri
della burocrazia per ottenere i certificati. In molti casi non sono
coinvolte nel progetto educativo dei propri bambini. E, soprattutto
le famiglie straniere con figli disabili, vivono un forte senso di
isolamento. Per molti genitori, poi, il numero di insegnanti di
sostegno rimane l'unico parametro di qualità e così lamentano
l'insufficienza di ore di sostegno e il forte turn-over del
personale.
TROPPA MOBILITA’ - È proprio
quest’ultimo uno dei nodi cruciali segnalato dal rapporto: quasi un
alunno su due cambia l’insegnante di sostegno una o più volte
durante lo stesso anno scolastico, con conseguenze negative per la
continuità didattica, la relazione di fiducia che si crea tra
docente e allievo e la stessa efficacia del processo d’integrazione.
Poco valorizzati e motivati, gli insegnanti spesso vedono il posto
di sostegno come uno dei canali privilegiati per entrare più
rapidamente in ruolo. E questo determina una cronica assenza di
personale specializzato. «È uno spreco di risorse perché gli
insegnanti vengono formati ad affrontare bisogni speciali, ma le
competenze poi vanno perdute», commenta Gavasco. Non sempre,
peraltro, i docenti hanno una formazione specifica. Secondo il
rapporto, una scuola del primo ciclo su tre non ha nessun insegnante
con la specializzazione per il sostegno. Il più delle volte, poi,
gli insegnanti curricolari sono privi di formazione pedagogica
speciale.
PROPOSTE - Per superare nodi
critici che rischiano di pregiudicare di fatto la qualità
dell’integrazione scolastica, i promotori del rapporto lanciano una
proposta di riforma del modello italiano. Innanzitutto occorre
«abbandonare le rigide procedure che riducono l'integrazione a una
meccanicistica attribuzione di insegnante o ore di sostegno - dice
Attilio Oliva, presidente di Treellle - . La qualità
dell’integrazione, poi, si fa con la didattica individualizzata
quotidiana da parte di tutti gli insegnanti, non con la delega al
collega del sostegno. Inoltre, gli insegnanti di sostegno andrebbero
assegnati sulla base dei bisogni delle scuole e il loro passaggio
all’organico normale dovrebbe essere graduale».
CENTRI RISORSE PER L’INTEGRAZIONE
- La proposta prevede l’introduzione a livello provinciale di
nuovi Centri risorse per l'integrazione (Cri) che dispongano di
insegnanti e personale ad alta specializzazione e, di concerto con
le scuole, definiscano e coordinino le risorse finanziarie,
professionali e tecnologiche per l’integrazione, svolgendo anche
formazione e consulenza alle scuole, come pure una funzione di
“sportello unico” per le famiglie. Nelle intenzioni dei promotori la
struttura dovrebbe «facilitare quella collaborazione fra scuola,
famiglia, servizi sociali e sanitari, volontariato e comunità locale
che oggi è carente e spesso impedisce la realizzazione di un
autentico progetto di vita per l’alunno, che inizia dalla scuola ma
guarda alla vita adulta».