Una proposta per il futuro
dell'inclusione scolastica
Abolizione della figura del docente per il
sostegno, così come oggi è conosciuta, per creare nuove "figure di
tutoraggio e supervisione", coordinate da un Centro Territoriale per
l'Integrazione Scolastica. E anche formazione iniziale obbligatoria
per tutti i futuri docenti curricolari sulla didattica, non solo
degli alunni con disabilità, ma anche di tutti gli altri con bisogni
educativi speciali. Sono i passaggi principali che emergono da una
recente ricerca presentata a Roma, dal titolo "Gli alunni con
disabilità nella scuola italiana: bilancio e proposte", con la quale
si vorrebbe radicalmente riformare l’attuale sistema dell’inclusione
scolastica in Italia. «Ipotesi affascinanti - secondo Salvatore
Nocera - ma che dovrebbero fare i conti con alcuni grossi problemi».
Vediamo quali
a
cura di Salvatore Nocera*,
Superando
24.6.2011
Il 14 giugno scorso è
stato presentato e discusso in un convegno a Roma
il
rapporto denominato Gli alunni con disabilità nella scuola
italiana: bilancio e proposte - pubblicato da Erickson - a cura
dell'Associazione
TreeLLLe e della Caritas Italiana, con
il sostegno della Fondazione Giovanni Agnelli.
Si tratta di un testo che propone una rivoluzionaria riforma
dell'attuale sistema di inclusione scolastica in Italia,
prendendo le mosse dalle numerose carenze attuali in termini di
mancato coordinamento di tutti gli interventi, dell'eccessiva delega
ai docenti per il sostegno, della deriva giudiziaria per
l'assegnazione delle ore di sostegno e della mancata valutazione di
efficacia e di efficienza dell'intero processo.
Molto in sintesi, si propone sostanzialmente l'abolizione
della figura del docente per il sostegno, così come la
conosciamo, in quanto di tutti gli oltre 90.000 docenti per il
sostegno, il 10 o il 20% verrebbe selezionato e formato per
diventare "figura di tutoraggio e di supervisione" deambulante per
le scuole appartenenti a un determinato ambito territoriale, con il
coordinamento di un Centro Territoriale per l'Integrazione
Scolastica (d'ora in poi CTI), dotato di autonomia
amministrativa, organizzativa e personalità giuridica. Tutti gli
altri docenti per il sostegno rientrerebbero invece nelle scuole
come docenti curricolari, costituendo una sorta di
"organico di istituto", data la loro preparazione per consulenze ai
colleghi curricolari.
Ci sarebbe inoltre una formazione iniziale obbligatoria
per tutti i futuri docenti curricolari sulla didattica, non
solo degli alunni con disabilità, ma anche di tutti gli altri con
bisogni educativi speciali (disturbi specifici di
apprendimento - DSA, disagio personale, psicologico e
socioambientale, culturale ed etnico ecc.).
E ancora, scomparirebbe la certificazione di disabilità
e per la valutazione dei bisogni educativi speciali di
ciascuno si applicherebbe la diagnosi di funzionamento
di cui all'ICF
(la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della
Disabilità e della Salute, definita nel 2001 dall'Organizzazione
Mondiale della Sanità), alla quale dovrebbe seguire per ogni alunno
con bisogni educativi speciali il PEI (Piano
Educativo Individualizzato), entrambi predisposti in collaborazione
con gli ex docenti per il sostegno, divenuti "specialisti" presso i
CTI.
Per quanto poi riguarda le attuali risorse per l'inclusione
scolastica - i fondi per il sostegno a carico del Ministero,
quelli per l'assistenza all'autonomia e alla comunicazione a carico
degli Enti Locali e quelli per l'assistenza igienica a
carico delle singole scuole autonome -, essa non dovrebbe
essere ridotta, ma totalmente destinata a questo nuovo
progetto.
Le scuole, infine, dovrebbero coordinarsi in rete
nell'ambito del territorio governato dal CTI, presso cui sarebbero
incardinati i nuovi "specialisti di tutoraggio", che avrebbero come
"terminali" i Gruppi Lavoro Handicap (GLH) d'istituto i quali
verrebbero però integrati anche con una maggiore
rappresentanza dei docenti curricolari e dovrebbero
occuparsi di tutti i bisogni educativi speciali.
Ebbene, l'ipotesi è indubbiamente affascinante, ma dovrà fare i
conti con alcuni grossi problemi. Vediamo quali.
I CTI sembrerebbero dover sostituire - almeno in parte - i GLIP
(Gruppi di Lavoro Interistituzionali Provinciali) e forse anche gli
Uffici Scolastici Provinciali. Gli stessi CTI dovrebbero tuttavia
essere coordinati da un Centro Regionale - attualmente non previsto
nella proposta - che assegnasse loro le risorse,
una sorta di struttura intermedia fra i CTI stessi e un
Coordinamento Interministeriale, affiancato, quest'ultimo, da una
Consulta Nazionale sulla Disabilità (questi ultimi, invece, sono
previsti). Ma tutta questa organizzazione non è certo
semplice.
Interessante è poi l'esplicitazione della necessità di una
"valutazione triangolare", da parte degli utenti, degli
operatori delle singole scuole e dei CTI. Ciò però
presupporebbe l'individuazione analitica di alcuni
indicatori di qualità: strutturali, di processo e
di esito.
Sembra strano, invece, che non vi sia alcun cenno al ruolo
dei compagni come agenti di integrazione scolastica ed
extrascolastica. A tal proposito, per altro, si prevede nella
proposta l'intervento del volontariato,
sia a scuola che fuori. In tal senso è innanzitutto
indispensabile distinguere tra volontariato e altri soggetti
del Terzo Settore, come le cooperative
sociali e le associazioni di promozione sociale, comprendenti queste
ultime quasi tutte le associazioni delle persone con disabilità e
delle loro famiglie. Personalmente sono contrario al volontariato
nelle scuole in orario scolastico, mentre lo vedo bene in
attività para ed extrascolastiche; ciò perché rischierebbe
di portare a un aumento del numero di persone in classe, mentre
occorrerebbe stimolare sempre più la presa in carico del progetto
inclusivo da parte dei docenti curricolari e dei compagni.
Altro problema non da poco sarebbe quello della gestione del
passaggio dall'attuale sistema a quello proposto. Si
prevede infatti un periodo sperimentale che, penso, non possa essere
inferiore ai sei anni, tempo necessario alla conclusione dei primi
corsi di laurea con l'obbligo di formazione iniziale per tutti i
futuri docenti. In tale periodo occorrerebbe mantenere la
continuità didattica almeno degli attuali docenti per il
sostegno.
Le associazioni hanno da tempo proposto un aumento
dell'obbligo di permanenza su posto di sostegno per i
docenti di ruolo e un aumento della durata delle attuali supplenze
annuali per un periodo pari a un ciclo scolastico (ad esempio il
triennio della scuola dell’infanzia, il primo o il secondo ciclo
della scuola primaria, il triennio della scuola media ecc.), in modo
da poter seguire lo stesso alunno.
Fondamentale, poi, è il problema della formazione
obbligatoria in servizio degli attuali docenti curricolari,
sino a quando non arriveranno i nuovi docenti curricolari. Senza
questa formazione, infatti, qualunque sperimentazione
sarebbe destinata al fallimento.
Un'ulteriore questione strettamente collegata è quella della
composizione delle classi: infatti, malgrado l'obbligo di
venti alunni per classe, ancora si registrano classi con ventotto o
trenta alunni nelle quali, spesso, sono presenti più di due
o tre alunni con disabilità, talora anche
grave.
Ebbene, se non si risolve concretamente questo problema, qualunque
formazione iniziale o in servizio dei docenti curicolari
risulta inutile: nessun docente, anche se "superpreparato",
potrà seriamente farsi carico del progetto didattico degli alunni
con disabilità.
E così verrebbe vanificata l'ipotesi iniziale e
fondamentale della ricerca presentata a Roma: se infatti - come
attualmente troppo spesso avviene - gli alunni con disabilità
verranno abbandonati a se stessi, a causa dell'eccessivo
affollamento delle classi, i genitori pretenderanno sempre più
spesso di ottenere dai Tribunali Amministrativi Regionali (TAR)
il massimo delle ore di sostegno.
E la delega al solo sostegno, che la ricerca vorrebbe superare,
continuerà sempre più massiccia.
Occorrerebbe quindi impostare - con negoziazioni sindacali - un
piano nazionale di formazione obbligatoria in servizio
di tutti i docenti curricolari. D'altro lato, sarebbe
necessario che venissero rispettati dagli Uffici Scolastici
Regionali i parametri di venti (massimo ventidue) alunni per classe,
evitando in modo drastico la concentrazione di più alunni con
disabilità nella stessa classe.
E ancora, occorrerebbe evitare l'uscita dalle classi di
alunni con gravi disabilità, concentrandoli in una sola
classe, ciò che palesemente viola gli stessi princìpi fondativi
dell'inclusione scolastica.
Infine si dovrebbe evitare l'uso improprio dei docenti per
il sostegno in supplenze di colleghi curricolari assenti,
quando l'alunno con disabilità loro affidato sia presente a scuola
[su quest'ultimo problema suggeriamo la lettura, nel nostro
sito, del recente testo disponibile cliccando
qui, N.d.R.].
Torno dunque a dire che la proposta è assai interessante e che non
si dovrebbe affossarla a priori. Ma anche che per attuarla sarebbe
necessario porre in essere tutte le condizioni
indispensabili a renderla operativa, per una vera presa in
carico del progetto di inclusione da parte di docenti
curricolari preparati, sostenuti dai docenti altamente
specializzati operanti presso i nuovi CTI.
Se le risorse attualmente esistenti non verranno ridotte - come
invece purtroppo sembra dai programmi di tagli alla spesa del
Ministero - l'ipotesi della ricerca sarebbe percorribile in
via sperimentale, anche se occorrerebbe precisare quale
ruolo dovrebbero svolgere i docenti per il sostegno che rientrano
nei normali posti disciplinari. Se dunque essi continueranno a
supplire alla presa in carico dei docenti curricolari, non si farà
alcun passo avanti rispetto all'attuale situazione
di delega ai soli docenti per il sostegno. Se invece diventeranno
una risorsa stabile nelle singole scuole, a
sostegno dei colleghi curricolari e - nei casi più gravi, specie nei
primi anni di scolarizzazione - anche a singoli alunni con
disabilità, allora l'ipotesi della ricerca potrebbe prendere corpo,
prefigurando il futuro di una nuova fase dell'inclusione in Italia
che vedrebbe protagonisti i docenti di classe e i compagni.
* Vicepresidente
nazionale della
FISH (Federazione Italiana per il
Superamento dell'Handicap).
Il presente testo costituisce la traccia di un intervento che
apparirà prossimamente nella rivista «L'integrazione scolastica e
sociale» di Erickson. Per gentile concessione.