Fugit irreparabile tempus! Giovanni Sicali, da AetnaNet 26.6.2011 C’era una volta in ogni paesello, un quartetto di persone rispettate e rispettabili: il sindaco, il prete, il carabiniere e il professore. Se oggi chiedete di loro al bar dello sport di tiro del fango, vi dicono che hanno tutti cambiato identità e funzione: il corrotto, il pedofilo, lo stupratore e il fannullone. Il nostro biglietto da visita è della quarta categoria. Apparteniamo a quelli che producono chiacchiere. Noi siamo i lavoratori della conoscenza, non creiamo reddito. Ci interessiamo solo di sciocchezze: la cultura e il sapere. Parassiti della società italiana. Siamo insegnanti, impiegati statali. Niente rinnovo del contratto nazionale. Niente progressione economica e giuridica per tre anni ed anche più. Il governo “ladro” ci sta lasciando in mutande buttandoci fango addosso, definendoci “voce passiva di bilancio”, fannulloni e zavorra. Siamo soltanto numeri da sottrarre, rami secchi da tagliare, macchine dello Stato da rottamare. Fino a qualche decennio fa eravamo i pilastri ai quattro canti dei paese. Leggo la parabola dei talenti, narrata in Matteo 25,14-30, e capisco che l’Italia ha un governo di pavidi. Sono loro i veri fannulloni, che per la paura di perdere la stabilità dei conti, nascondono e sotterrano i migliori talenti, lasciandoli marcire infruttuosi e senza futuro, completamente fuori dal tempo. Nell’arco di tempo di una notte di bunga bunga si guadagna ormai più di quanto mette in tasca un docente pluri-laureato e pluri-abilitato in due mesi. Oggi, giorno di san Giovanni (quello decollato), arriva una notizia ANSA: “Stipendi degli insegnanti sotto la media europea. Un attento studio di come lavorano e cosa producono (numeri alla mano) farebbe capire come uno Stato va in fallimento”. Ma subito gli opinion leaders e il grande fratello avvertono i paesani che si tratta della solita e falsa demagogia pro fannulloni. Finisco il mio caffè amaro e passeggio solitario tra i basalti del castello federiciano e le onde di bagnaculo. E mentre i gabbiani fanno la spola tra il maniero e la lava scura, seguo i miei inutili pensieri nel crepuscolo del mattino. Il tempo. I lavoratori a tempo: determinato o indeterminato. Il tempo che è denaro. C’è anche la banca del tempo, come un baratto delle competenze. Nella musica - poi - c’è il tempo rubato, un libero andamento nell’interpretazione e/o nell'esecuzione. Chi ha tempo non aspetti tempo. O tempora o mores… Nel 1927, Heidegger scrisse Sein und Zeit (Essere e tempo) influenzando notevolmente la filosofia del 900 soprattutto l’esistenzialismo e l’ermeneutica. Nel periodo giovanile mi segnò la sua teoria dell’ Essere-per-la-morte . L’essere esistenziale infatti porta con sé, fin che è, un "non-ancora", cioè una mancanza costante. E quando un ente giunge alla fine, esso è ancora un non-ancora-essente-alla-fine. Solo la morte implica, per ciascun essere, un non-esserci-più”. Il tempo è simultaneamente un valore assoluto, ed è senza valore. Perché il tempo non si possiede come un oggetto, si ha come una durata. Per il filosofo Bergson il tempo è una durata irreversibile, dotato di una temporalità anti-misura. Galileo era un genio impagabile, incompreso, incarcerato per il suo insegnamento controcorrente, costretto all’abiura, anticipava i tempi col suo metodo scientifico-induttivo. E’ sua la legge del pendolo e col suo cannocchiale portò la sua vista nei tempi futuri! Una nave da crociera, all’alba, copre i raggi di un Sole caldo e immobile. Devo andare a scuola. Arriverò puntuale, come sempre, ma non ho tempo per me. “Avere o essere?” La domanda quasi shakespeariana è il titolo di un famoso saggio di Erich Fromm, il quale indaga su due fondamentali modalità d’esistenza, due diverse maniere di atteggiarsi nei propri confronti e in quelli del mondo, due diversi tipi di struttura caratteriale. Nella prima, il rapporto dell’individuo con il mondo è di possesso o proprietà. Nella modalità dell’essere, invece, il singolo instaura un rapporto di autenticità e di vitalità con sé e il mondo. La modalità esistenziale dell’avere ha indotto l’uomo a possedere le cose, ma ha anche fatto sì che le cose possedessero l’uomo. Tale concezione, basata sul motto “Io sono ciò che ho”, trova il suo fondamento nella proprietà privata (dal latino “privare”, portare via ad altri). Ormai nella società contemporanea si paga il tempo non più la professione. Anche ai professori. C’è un atteggiamento consumistico che dilaga e che ci distrugge. L’”usa e getta” si basa ormai su un noto circolo vizioso: acquisizione-possesso, uso transitorio e nuova acquisizione. L’ipotesi della “città dell’essere” avanzata da Fromm appare come un mero segno utopistico. In questi giorni capisco perché il popolo dice. “Piove, governo ladro”. Della pioggia non sono responsabili i politici. Ma se piove e mi bagno, perché non ho come ripararmi, qualche colpa ce l’hanno anche i governanti. Allora cosa si può rubare agli statali? Il tempo. Non solo non si rispetta la scadenza dei contratti, si bloccano gli aumenti, si aziona lo standby della linea del tempo, si congelano gli scatti, si sposta il pensionamento seguendo la filosofia “nazista” dell’ Esserci-per-la-morte . Il governo ci prende per il pigìdio e ci fa perdere la faccia, al bar del paese. Dove è finito il “chi non ha tempo non aspetti tempo”? Cantava Ferrè, negli anni 70, Avec le temps, va, tout s'en va… Speravamo che sparissero i mali del secolo. E invece “anche la Speme, ultima dea fugge i mortali”. Siamo la peggiore Italia e al peggio non c’è mai fine. Posteggio a pagamento in una via del paese dei 100 campanili e mi ricordo del 7° comandamento. I docenti saremo anche inutili fannulloni, ma ladri mai. Lasciamo questo antico mestiere a chi ci ruba il tempo, la nostra vita, ciò che siamo. E tanto per consolarci con l’amaro in bocca mettiamo in conto che l’ente statistico assegna ad ogni italiano 2.000 € di evasione fiscale cada cranio! <>. (F. De Gregori, La Storia siamo noi).
Ho preso la mia nuova decisione. Non
voglio aumenti stipendiali. Io, professore, non comprerò più libri,
né riviste specializzate, né quaderni e neppure penne e matite
rossoblu. Mi riprendo la mia ricchezza e il mio tesoro, il mio tempo
libero, come Modugno, che nel 1972 invitava a dare <>: “Che hanno
fatto di me? Sono un semplice lacchè che da anni dice sì, sempre sì,
sì sono qui. Stamattina nei polmoni no, non voglio l'aria dei
termosifoni. Amore mio, vieni anche tu, il capufficio lasciamolo su.
(…) Ma che facciamo? ma dove andiamo tutti incolonnati in queste
nostre maledette macchinette? Oggi c'è il Sole. Non lo timbrate il
cartellino, non la firmate la presenza. Ma da quanti anni non vi
arrampicate su un albero. Libertà, libertá…” |