Nella mente dei figli di Internet, Non usano il cellulare per le tradizionali telefonate ma per giocare, parlare in chat, navigare su Internet. Non considerano le conversazioni su Facebook virtuali ma reali quanto quelle che intrattengono in carne e ossa.. Alessia Rastelli Il Corriere della Sera, 26.6.2011 Non usano il cellulare per le tradizionali telefonate ma per giocare, parlare in chat, navigare su Internet. Non considerano le conversazioni su Facebook virtuali ma reali quanto quelle che intrattengono in carne e ossa. Ai manuali e alle enciclopedie preferiscono la Rete e la condivisione delle informazioni. Alle attività da svolgere una dopo l’altra, la contemporaneità del multitasking. Sono i nati dalla seconda metà degli anni Novanta in poi, i figli di Internet piuttosto che di Gutenberg, circondati ogni giorno da pc e videogiochi, smartphone e iPad. Una «razza in via di apparizione», «versione 2.0 dell’homo sapiens», li chiama Paolo Ferri, professore associato di Teoria e tecniche dei nuovi media all’Università di Milano-Bicocca. Proprio a questa e-generazione di giovanissimi— e alle strategie per educarli e comunicare con loro — il docente dedica il suo ultimo saggio, Nativi digitali (Bruno Mondadori, pagine 211, € 18). Il titolo riprende una definizione coniata nel 2001 dallo studioso Marc Prensky e sottolinea da subito la peculiarità di chi oggi ha meno di 15-16 anni: essere nato e cresciuto tra le tecnologie elettroniche, a differenza di chi invece — L'«immigrante digitale» — le ha incontrate in una successiva fase della vita. «Un punto di discontinuità radicale e per così dire senza ritorno nella storia dell’evoluzione» scrive Ferri, tale da plasmare i nativi e dotarli di un modo diverso di vedere e costruire il mondo. Di una nuova «intelligenza digitale», di «competenze cognitive che non vengono spiegate attraverso le attuali categorie interpretative» . Dall’attitudine per i network al cosiddetto learning by doing (imparare facendo), alla naturalezza nel muoversi su più media, il libro di Ferri è un viaggio molto documentato all’interno delle nuove menti. Per conoscerle e, soprattutto, creare un ponte tra chi è nato prima e dopo la trasformazione. Infatti, riflette l’autore, una volta riconosciuto, il «nuovo stile cognitivo pone a noi figli del libro un problema cruciale: come stabilire un linguaggio comune? Come valorizzare le potenzialità dei nativi?». Per rispondere, Ferri si concentra sugli ambienti dove questi ultimi trascorrono la maggior parte del tempo: la famiglia e la scuola. «Le istituzioni formative— scrive— vanno adattate alle necessità di una generazione che ci interroga in maniera nuova». Poi, un ricco campionario di proposte. Nelle aule servirebbero lavagne interattive, videoproiettori e almeno un computer ogni cinque allievi, suggerisce ad esempio l’autore. Insieme con nuovi metodi di insegnamento: meno lezioni in cattedra, più partecipazione e contenuti personalizzati. Invece, constata, «l’uso delle tecnologie didattiche a scuola e nei contesti educativi vede coinvolto meno del 10%degli studenti italiani contro il 57%di quelli statunitensi (dato 2010)» . Il primo appello per superare questa arretratezza è alla classe politica, perché provveda a maggiori investimenti. Il secondo direttamente agli «immigrati» — genitori e insegnanti, innanzitutto— perché superino i pregiudizi e le paure che spesso li separano dall’alterità elettronica, facendosi mediatori tra le nuove tecnologie e i più piccoli. Non è vero, infatti, che il digitale rende stupidi e favorisce la solitudine, sostiene Ferri a colpi di studi e ricerche. Ma può accadere— ammette— che la modalità di conoscenza veloce e condivisa dei più giovani li esponga a rischi nuovi, come la superficialità, l’incapacità di tollerare le attese o di gestire la privacy. Limiti di fronte a cui il ruolo educativo degli adulti diventa fondamentale. «Dobbiamo trovare — ribadisce Ferri in conclusione — un modo di comunicare con i nativi. Perché il dono che possiamo portar loro in dote è grande quanto l’esperienza e la conoscenza del genere umano che ha vissuto prima di loro». |