SCUOLA & PRECARI

Aprea: diamo alle scuole la libertà
di assumere chi vogliono

Valentina Aprea il Sussidiario 10.6.2011

La discussione sul decreto-legge 70/2011 (“Semestre Europeo - Prime disposizioni urgenti per l’economia”) - il cosiddetto decreto-sviluppo” -, che sta per essere convertito in legge, ci dà l’occasione di considerare due aspetti strategici per lo sviluppo del nostro sistema educativo: il primo riguarda l’annoso fenomeno della precarizzazione della scuola, senza risolvere il quale non è possibile il decollo di nessuna vera riforma e, il secondo, la valorizzazione e il sostegno del merito, che alla riforma dovrebbe fornire le ali per volare più in alto.

1. Una risposta convincente al problema dei precari viene dal piano triennale per l’assunzione a tempo indeterminato di personale docente, educativo e ATA per gli anni 2011-2013, sulla base dei posti vacanti e disponibili già dal 2010-2011. Va sottolineato che l’approvazione del piano delle assunzioni determinerebbe, in concreto, la copertura quasi totale dei posti per il primo anno.

La precarietà degli organici ha responsabilità e radici ormai lontane nel tempo che affondano in scelte politiche e sindacali miopi; il disegno di legge è rivolto quindi ad un graduale superamento di questa difficile realtà, e consentirà alle scuole di lavorare in modo più certo in continuità didattica e progettuale e ad una parte dei docenti di iniziare un percorso di stabilizzazione.

Per troppo tempo, infatti, i docenti precari sono stati costretti ad inseguire cattedre e ore interrompendo di volta in volta percorsi già avviati e - per altro verso - il continuo avvicendarsi di personale ha compromesso il difficile rapporto costruito assieme ai ragazzi per rendere efficace l’apprendimento.

Giova ricordare, a questo proposito, che il dispositivo di legge dispone che i docenti possono chiedere il trasferimento, l’assegnazione provvisoria o l’utilizzazione in altra provincia solo dopo cinque anni di effettivo servizio dal momento in cui vengono immessi in ruolo. In più, l’aggiornamento delle graduatorie, oggi biennale, avverrà ogni tre anni. Ciò vale, se non ad eliminare, almeno a contenere la piaga della eccessiva mobilità docente, che si manifesta soprattutto nel Nord Italia.

Dobbiamo, tuttavia, rilevare che il decreto non affronta il tema, certamente delicato ma ormai improcrastinabile, del nuovo reclutamento dei docenti collegato al percorso di formazione iniziale, ormai prossimo all’avvio con i Tirocini Formativi Attivi (TFA).

Non si prefigura, infatti, alcun ruolo delle scuole nello scegliere i propri docenti: ruolo che viene ormai riconosciuto a tutte le latitudini, se è vero che non solo in molti paesi occidentali evoluti ma anche in Cina - Shanghai è prima assoluta nella classifica Pisa - le scuole hanno l’autonomia (potere) di assumere gli insegnanti. Il punto di forza di questa scelta, semplice e pure tanto difficile da riconoscere, è che non tutti i docenti sono adatti allo specifico progetto della scuola, né sono intercambiabili le storie professionali e i percorsi che portano alle competenze personali o, più precisamente, alle persone competenti. È qui che rischia di rompersi la catena tayloristica che vorrebbe ancora legare il vecchio modo di fare scuola agli incalzanti cambiamenti del mondo attuale, che non ammette fallimenti sulla formazione del capitale umano.

Rilanciamo, per questo, ancora una volta la nostra proposta di accesso ad albi regionali dei docenti abilitati a seguito della frequenza con profitto dei TFA e conseguente assunzione da parte delle reti di scuole, chiamate a valutare la corrispondenza tra le competenze riconosciute dei docenti e la congruità di queste con il progetto formativo delle scuole. Soltanto quando si avvierà questo processo sarà possibile richiedere alle scuole di rispondere della loro efficacia educativa secondo principi di accountability.

2. Una nota positiva viene, invece, da un’altra questione toccata dalla legge in cantiere: si tratta del Fondo per il merito, in primis rivolto agli universitari ma estensibile agli studenti delle scuole superiori. Nasce, appunto, in attuazione della legge 240/2010 sull’università e propone la creazione di una Fondazione costituita da attori pubblici e privati, uniti per la prima volta nel promuovere l’eccellenza, la cultura del merito e la qualità.

A quanti oppongono obiezioni a questa apertura ai privati, come testimoniano le posizioni assunte nel dibattito parlamentare dai gruppi d’opposizione, ritenendola inopportuna e foriera di disinvestimento da parte della Stato, potremmo citare l’esempio di molti altri paesi nei quali, al contrario, questo modello viene seguito e produce risultati di allargamento del diritto allo studio.

In Ungheria, ad esempio, dopo il crollo del regime, si è iniziato a realizzare un sistema di diritto allo studio del tutto affidato ai privati. Un meccanismo ormai collaudato da decenni, che vede la società civile farsi carico dei suoi alunni migliori. Li sostiene con un robusto circuito di prestiti d’onore che sono puntualmente restituiti dai giovani alla medesima fondazione con i guadagni delle prime attività professionali.

Vale la pena di ricordare che per l’attuazione del dispositivo in Italia già per l’anno 2011 saranno stanziati da parte dello Stato 10 milioni di euro, 1 dei quali per la costituzione del fondo di dotazione.

La Fondazione instaurerà rapporti con omologhi organismi in Italia e all’estero. Nel suo comitato consultivo confluiranno rappresentanti dei donatori e degli studenti ma, in considerazione della preziosa esperienza fin qui dimostrata dai collegi universitari, appare quanto mai opportuno che vi sia ammesso anche un loro rappresentante. La Fondazione avrà personalità giuridica di diritto privato, mentre le sue attività saranno assoggettate alla vigilanza del Miur, del ministero dell’Economia e del ministero della Gioventù che approveranno gli atti dell’organo deliberante interno.

Proprio sul tema degli studenti eccellenti siamo indietro in Europa, perdendo colpi rispetto ad altri competitors che ne fanno, invece, un mirato investimento per la propria economia. Solo a livello secondario, tra il 2000 e il 2009 rimangono invariate in Italia le percentuali Pisa di Top performers che, invece, crescono molto nei paesi dell’Estremo oriente.

Siamo, probabilmente, di fronte al primo importante passo di un percorso che ci farà transitare verso un’istruzione dotata di maggiore attenzione ai percorsi individuali di qualità su cui sono chiamati ad investire non solo i soggetti istituzionali, da sempre deputati a questa missione, ma anche la società civile e il mondo produttivo. Sappiamo che è ancora poco, ma ci piace pensare che la Fondazione per il merito con queste caratteristiche possa essere il viatico giusto per il passaggio dalla Big School alla Big Society.