scuola
Le due "malattie mortali" il Sussidiario, 31.1.2011 Lo scrutinio, si sa, è segreto. Difficile quindi pretendere di fare un’ analisi attendibile di ciò che è successo o che accadrà nelle aule delle scuole superiori dove i docenti hanno valutato i loro allievi (se hanno adottato il trimestre) o li valuteranno (se vige il quadrimestre).
Scrivo a caldo, sulla
scorta delle esperienze personali e di ciò che ho sentito raccontare
dai tanti docenti che conosco e incontro nelle scuole. L’Italia è
lunga, ed è inutile dire che le differenze non sono solo sfumature.
Ma esistono pesi e misure differenti nella valutazione persino in
sezioni diverse della stessa scuola. Vorrei invece soffermarmi su due convitati eccellenti al “banchetto” della valutazione: uno troppo ingombrante, l’altro pressoché inesistente. Il primo è così invadente che, ormai, lo spazio per la discussione sui ragazzi, sulle strategie per aiutarli e motivarli, insomma sul valore educativo del voto è così risicato da diventare spesso inconcludente o inefficace.
Non che non si discuta
durante gli scrutini, anzi. Ma il confronto, talvolta anche acceso,
è spesso legato ad aspetti formali: 6 o 7 in condotta? Se si mette
6, però, ci sono le note sul registro; e le assenze sono veramente
molte? E si seguono i criteri stilati in collegio? E così via. Ma lo spazio per discutere di ciò non c’è, tantomeno la volontà di farlo e non già per incuria dei professori, quanto per evidente sottovalutazione dell’azione formativa della valutazione da parte della scuola come struttura e istituzione, perlomeno di quella superiore. La scena è tutta presa dal convitato ingombrante che - si sarà capito - è la burocrazia di Stato, ingorda e onnivora, capace di assorbire tempo, energie, motivazione e passione dei docenti. Ho visto tanti (troppi) insegnanti rinunciare a intervenire soffocati dalle incombenze burocratiche: i voti sui cartelloni, le lettere da spedire, le assenze da conteggiare, la corrispondenza da verificare tra i voti e i giudizi, il verbale da vergare, le firme da apporre sui cartelloni, gli statini da consegnare (ma in epoca di scrutini elettronici, a che cosa servono gli statini?), i registri da compilare... e chi più ne ha, più ne metta. E lo scrutinio elettronico, che dovrebbe semplificare le operazioni, in realtà è ancora più svilente e impersonale: lettura veloce dei voti, sottolineatura delle insufficienze e delle assenze, e poi via con le lettere ai genitori, la definizione dei corsi di recupero, le firme, ecc. E quest’anno anche la compilazione dei piani personalizzati per gli studenti con disturbi nell’apprendimento. Ma dov’è finito lo studente? Non si stava valutando, cioè “dando valore” proprio a lui?
E il docente, anziché
essere spinto a fare e a brigare per i suoi alunni, si ritira. Si
vive sempre sotto l’incubo del ricorso, della telefonata dei
genitori che protestano, del padre o della madre che potrebbero far
esplodere il caso pubblicandolo sui giornali, dei ragazzi
(soprattutto se maggiorenni) che protestano vivacemente. Meglio il
quieto vivere. Occorre tutelarsi. E allora carta sopra carta.
Lettere sopra lettere. E corsi istituzionali per il recupero, uno
dopo l’altro. Come se il rapporto educativo - unica vera soluzione -
potesse essere sostituito dalla sequela fedele delle leggi (dello
Stato e della scuola stessa nella sua autonomia). A me pare che gli
interventi programmati e istituzionali (corso di recupero, help,
sportelli, recuperi in itinere e così via) nella loro lodevole
intenzione, tanto più così comicamente ridotti nelle ore e
nell’articolazione (solo italiano in prima, solo matematica in
seconda, solo per 10 alunni in terza... perché non ci sono i fondi)
non possano sostituire un’attenzione reale del docente nei confronti
dei propri studenti. Eppure quest’oggetto didattico, tanto è citato, nei testi del Riordino della scuola superiore appena varato; tanto è menzionato dai dirigenti nei collegi dei docenti; tanto è evocato nei documenti, quanto è assolutamente assente dalla pratica didattica. Un fantasma. E infatti, a parte qualche eccezione, negli scrutini della scuola secondaria non ha neanche fatto capolino.
Probabilmente, poi,
dovrà spuntare alla fine dell’anno, quando verranno rispolverati i
lunghi elenchi di competenze che le scuole (le più zelanti) avranno
redatto in fase di progettazione d’inizio d’anno.
Tra i mille problemi
che si attorcigliano attorno alla valutazione ne ho colti solo due,
e forse neppure i più significativi: ma sono due aspetti che si
presentano oggi come spunti per una possibile riflessione. Il primo,
perché la scuola potrebbe morire di bulimia burocratica, che sta già
paralizzando la libera - e fruttuosa - iniziativa di tanti docenti
attenti e attivi. Il secondo, perché l’istruzione potrebbe perdere,
per anoressia delle competenze, una possibile occasione per passare
ad una scuola dell’esperienza, per rendere più vere e significative
le conoscenze. |