educazione
Lodolo D’Oria: 4 cose da fare intervista a Vittorio Lodolo D'Oria il Sussidiario, 19.1.2011 È stata presentata il 12 gennaio, e ora si attende di sapere se le istituzioni intendono rispondere finalmente all’interrogazione (4/04347) avanzata dal sen. Valditara, sulla base della documentazione e del lavoro di ricerca, di prevenzione e di cura svolto sul campo dal dottor Vittorio Lodolo D’Oria, medico, specialista in tema di burnout, ossia di Disagio mentale professionale (Dmp) degli insegnanti.
Esposti, chi più chi
meno, al rischio di usura psicofisica, secondo una recente ricerca
di Lodolo D’Oria il 59% di essi si definisce “in apprensione” e il
13% “in grave stato ansioso”. L’anticamera di vere e proprie
psicopatologie che possono rivelarsi disastrose, per sé e per gli
alunni. E che tante volte portano a quei fatti di cronaca che
sembrano appartenere al limbo di atti inconsulti, se non di vera e
propria, inspiegabile, follia.
«Le riporto una mia
esperienza personale e professionale. Nel 1992 un insegnante su tre
che arrivava per l’accertamento medico in Commissione medica di
verifica aveva una patologia psichiatrica. Ad oggi abbiamo un
raddoppio esatto dei valori e dell’incidenza: su tre insegnanti due
si presentano per causa psichiatrica».
«Le cause sono
molteplici e complesse. Secondo me il fenomeno si è ingigantito
negli anni sia per effetto della globalizzazione - pensiamo alla
presenza in classe di studenti di etnie diverse, e al conseguente
disorientamento dell’insegnante - sia per il drastico abbattimento
del ruolo familiare, legato ad una crisi profonda che ha interessato
tutta l’educazione. Fattori che hanno portato a concepire la scuola
un po’ come parcheggio e un po’ come cestino dei rifiuti. Dispiace
dirlo, ma è così. A questo ha fatto da pendant la scarsissima
considerazione sociale dell’insegnante in quanto tale: i docenti
guadagnano poco e dunque valgono poco».
«Al contrario: ci sono
e sono importanti. La sconfitta “morale” della scuola - e con essa
di chi vi lavora - è iniziata anche nel ’68, quando si è creduto di
livellare tutto. Questo è stato un disastro, perché i professori
hanno dovuto “scendere dalla pedana” e hanno perso agli occhi degli
allievi - e non solo dei loro - il minimo rispetto. La
scolarizzazione di massa è stata una grossa conquista sociale, ma
con essa il maestro è diventato un diritto per tutti. “Tu mi devi
insegnare, non sono più io a doverti riverire”».
«C’è un dato che viene
dalla Francia e serve a richiamare quell’amara realtà che noi in
Italia continuiamo a ignorare. Oltralpe nel 2007 gli insegnanti
erano, fra i dipendenti della pubblica amministrazione, quelli che
ricorrono più spesso al suicidio. So bene che può far fare un salto
sulla sedia al lettore profano, ma è la normale conseguenza dei dati
sullo Stress lavoro correlato (Slc) che ho raccolto nel corso dei
miei studi da quando mi occupo di Dmp. Un problema dunque non solo
italiano, ma internazionale: nel 2004 uno studio istituzionale
commissionato in Giappone ha rilevato che la percentuale di assenze
per malattia a causa psichiatrica è passata in un decennio dal 34 al
56%. Venti punti percentuali in dieci anni sono un fatto che non si
può sottovalutare. Eppure è esattamente quello che stiamo facendo.
Quando ce ne occupiamo è solo per motivi di cronaca, poi tutto torna
nel disinteresse generale».
«Dovrebbe, ma
chiediamoci: è preparato a farlo? La risposta è no. E lo dico con
sicurezza, perché nel maggio del 2008 abbiamo presentato in sala
stampa a Montecitorio uno studio dal quale risulta che su un
campione pari al 14% dei dirigenti scolastici italiani, vale a dire
1.452 dirigenti, solo lo 0,7% conosceva la gestione appropriata
dell’accertamento sanitario. Il punto è che l’istituzione dovrebbe
prevedere questa materia nella formazione dei dirigenti, invece
ancora non lo fa».
«I quattro punti
capitali di un’azione preventiva. Occorre: rilevare i dati, formare
i docenti, che non sanno il rischio che corrono con la loro
professione; formare i dirigenti, e preparare i medici, anch’essi
impreparati sul rischio professionale che corrono gli insegnanti.
L’indagine ha mostrato esiti sorprendenti sullo stato conoscitivo
attuale del Dmp. Su un campione di più di 5.200 insegnanti (della
scuola pubblica, di ogni ordine e grado, ndr) solo il 19% è
consapevole dei rischi della professione per la salute; i tre quarti
hanno ammesso che nella loro vita prevale lo stress di origine
professionale rispetto a quello extra-lavorativo; il 59% si
definisce “in apprensione” e il 13% “in grave stato ansioso”. La
situazione è allarmante, ma a distanza di un anno
dall’interrogazione presentata dall’on. Sbrollini i ministeri
destinatari - Istruzione, Salute e Pari opportunità - non hanno
risposto».
«Sì ed è fondamentale,
anche se ad oggi i dati raccolti riguardano solo tre città: Milano,
Torino e Verona. I collegi medici di verifica, che dipendono dal
ministero dell’Economia e sono diffusi su base provinciale, possono
farlo».
«Perché il 31 dicembre
è scattata l’applicazione del nuovo Testo Unico, decreto legislativo
81/ 2008 sulla tutela della salute dei lavoratori che all’articolo
28 dice che ciascun datore di lavoro deve provvedere a rilevare
quali sono i rischi e quindi attuare la prevenzione, anche dello
stress lavoro correlato».
«Questi sono i casi più
gravi e la prima cosa da fare è essere in grado di individuarli. Per
questo dico che la preparazione del dirigente deve essere condotta
su questi casi, perché queste persone non si presenteranno nemmeno
all’accertamento medico richiesto d’ufficio».
«È un inizio in questo
campo, anche se è una goccia nell’oceano. È un inizio soprattutto
per coloro che percepiscono il disagio e vogliono reagire. È la
prima volta a livello nazionale e per questo lascia ben sperare.
Allo sportello possono rivolgersi coloro che hanno una coscienza del
proprio disagio, non lo faranno invece quei casi più gravi per cui
sono chiamato normalmente dai dirigenti scolastici, cioè gli
insegnanti con problemi di psicosi. Questi non sono risolti e
purtroppo c’è un’incapacità totale dei dirigenti a gestirli».
«È sbagliato e su
questo c’è tanta confusione, perché in presenza di un problema di
tipo medico - ma si tratta, ripeto, si saperlo individuare come
tale: questo è il punto - non possiamo trattarlo con le sanzioni. È
il collegio medico di verifica che se ne deve occupare e prendere i
provvedimenti del caso. Se anche per i professionisti della scuola è
così forte il rischio di scivolare dal piano medico a quello
disciplinare, che diventa inevitabilmente legale e penale, pensiamo
quanto è facile per l’opinione pubblica... Ho visto curricula pieni
di trasferimenti per incompatibilità ambientale; questi
trasferimenti andrebbero aboliti, perché non si può trasferire una
persona che sta male. Di solito “sotto” un trasferimento c’è sempre
una diagnosi medica».
«Un’auto-rappresentazione indotta di cui restano facilmente vittime.
Chi è l’insegnante nell’immaginario comune? Uno che lavora mezza
giornata e fa più vacanze degli altri. Non è tanto il numero di
insegnanti folli che ho visto ad avermi impressionato, ma il numero
degli insegnanti psichiatrici a fronte degli stereotipi. Ad oggi
posso dire con certezza: di questi stereotipi è vittima lo stesso
insegnante: lui stesso ne è imbevuto anche perché spesso a casa
marito (o moglie) e figli pensano secondo questo stereotipo. Una
paziente mi diceva: io ormai non combatto più quando mi dicono che
faccio tre mesi di vacanze l’anno... No guardi, le ho risposto, non
è vacanza ma convalescenza...».
«Tra i sintomi che
riguardano la patologia depressiva ci sono stanchezza cronica,
insonnia, irritabilità, nervosismo, incapacità a gestire la routine,
a vigilare e gestire la classe, soprattutto nell’elementare e nella
materna; sentirsi in colpa, inadeguato, sgradito. Poi abbiamo i
segnali più gravi, che riguardano le psicosi: dalle stravaganze
(“voglio far lezione con le tapparelle abbassate”), al sentirsi
spiato; deliri persecutori, aggressività fisica e verbale, sospetto
e paranoia, sentirsi “mobbizzati”, o in conflitto perenne con
l’autorità diretta e coi colleghi. Non mancano casi di
allucinazioni». «Sbagliano nell’ostinarsi a usare queste cose trasformandole in spettacolo di costume, stravaganze di folli, invece di andare al nocciolo della questione. Alimentano così un preconcetto che era anche nostro, mio e dei miei colleghi quando ancora non avevamo scoperto la gravità di queste patologie. Possibile, ci chiedevamo, che tutti gli insegnanti diventino matti? E ci rispondevamo con una battuta: no, è che solo i matti fanno gli insegnanti... Un errore di incredibile superficialità». |