I maestri dai piedi scalzi Il movimento creato da Celestin Freinet ha avuto un ruolo fondamentale per la scuola italiana:per rilanciarlo ora bisogna aggiornarlo Goffredo Fofi l'Unità, 6.2.2011 Tutto cominciò, come spesso accade nelle biografie dei grandi novatori, nel tempo di una lunga convalescenza. Ferito ai polmoni nella prima guerra mondiale, il maestro elementare Célestin Freinet, ebbe modo di pensare a come usare della sua esistenza una volta guarito. Nato nelle Alpi Marittime in una famiglia di contadini con otto figli, reinventò – tra mille difficoltà e ostilità – la scuola elementare e le tecniche di un insegnamento che permetteva infine al bambino di essere attivo, non supino alle lezioni del maestro ma partecipe della creazione di percorsi comuni – di classe – e singolari, sbaraccando la rigidità delle aule, uscendo dalla classe, imparando a leggere e scrivere con la fabbricazione di una piccola tipografia scolastica e la fattura di un giornalino da comporre lettera per lettera con caratteri di legno, stabilendo una corrispondenza tra bambini di più classi e paesi e perfino nazioni, accostando alla natura con erbari di classe e ambienti in cui poter osservare la vita di piccoli animali, e infine in lunghe scorribande di gruppo per campi e per boschi. (Per questo chiamarono la sua scuola école buissonnière – tra i cespugli; e si intitolò così un bel film su Freinet del 1949 dove Freinet era interpretato da un giovane Bernard Blier.) Freinet fondò con la moglie Elise un movimento laico per la scuola libera che si chiamò più tardi Movimento di cooperazione educativa e che ha avuto nell’Italia del secondo dopoguerra una grande importanza nel rinnovamento della nostra scuola elementare, svecchiando i metodi di insegnamento con la cosiddetta “scuola attiva”. Il Movimento (intendo la parte italiana, sorta nell’Italia centrale e poi altrove), ha avuto una storia bellissima, dandoci insegnanti formidabili come Tamagnini, Ciari, Lodi, Idana Pescioli e mille altri che sperimentarono le nuove tecniche didattiche freinetiane arricchendole, e portando nella scuola pubblica le acquisizioni dei seminari e corsi in cui il movimento cresceva e sperimentava. Anche grazie a loro, la scuola elementare italiana è stata fino a tempi recenti, eun po’ fino a oggi, la parte più viva della nostra scuola, almeno in chi ha resistito alla gragnola dei decreti ministeriali e alle aride e odiose tendenze (che qualcuno ha chiamato “neo-fordiste”) della pedagogia ufficiale, ovviamente “di sinistra” ed “emiliana” degli ultimi decenni, di tutto preoccupata fuorché di contribuire alla crescita di individualità pensanti e responsabili, di cittadini pensanti e responsabili. Lo stato della nostra scuola è quello che è, il disastro è compiuto da tempo e ha tanti responsabili sono, e a me sembra un miracolo che nelle elementari – quasi solo lì, perché non si diventa maestri elementari se quel lavoro non ti piace, mentre negli altri ordini di scuola vige la norma del “rifugio” per chi non ce la fa altrove, e di vocazione è abusivo parlare. Il fatto che l’Mce esista ancora, e che esistano ancora i Cemea (Centri di esercitazione ai metodi dell’educazione attiva) a esso collegati – cercate su Internet i loro siti e le notizie sulle attività – è qualcosa di cui rallegrarsi. Ma c’è un punto su cui oggi mi pare giusto insistere. Tanti anni fa, ci furono dibattiti intensissimi tra i maestri e maestre elementari delle minoranze più solide, anticonfessionali, rinnovatrici, e cioè tra i freinetiani e i comunisti, e ricordo bene le dispute tra “quelli del metodo” e “quelli del contenuto”. Nel Mce attuale l’insistenza sul metodo si è fatta forse eccessiva e trascura l’allargamento della riflessione e dell’intervento a discorsi più vasti, dei quali c’è invece sommo bisogno. Questi non sono tempi normali, e se è fondamentale precisare il metodo, in rapporto alle esigenze e al rispetto dei bambini, è però indispensabile occuparsi anche d’altro e di più. L’infanzia ha nemici mastodontici nel “sistema” di vita corrente, dominato dalle logiche di un mercato che ha conquistato le famiglie, supine ai ricatti della pubblicità, incapaci di occuparsi non istericamente dei loro figli. Oggi è indispensabile allargare il discorso, e parlare di scuola e di metodo in rapporto alla svolta di civiltà in cui ci hanno e siamo piombati, e dovremmo, credo, considerarci, come il Freinet degli anni di guerra, convalescenti da batoste che ci hanno leso il cervello, e pensare al tipo di scuola utile a una società migliore di questa, che ha possibilità più distruttive e più subdole di quella in cui ha operato il meraviglioso maestro Freinet, e sul suo esempio i nostri “maestri dai piedi scalzi” degli anni cinquanta, tra le persone più belle delle molte che ho avuto la fortuna di frequentare. |