per la scuola del merito e della responsabilità |
La professoressa di Palermo
lasciata sola dalla scuola
dal
Gruppo di Firenze per la scuola
del merito e della responsabilità, 18.2.2011
La vicenda
dell’insegnante palermitana, che, come ben riferisce tra gli altri
“Avvenire”, è stata condannata in appello a un mese di
detenzione - sospesa e condonata - per abuso di mezzi di correzione
contro un bulletto, è veramente istruttiva di come vanno spesso le
cose nella scuola e nella società del nostro paese. Istruttiva
intanto per la lunghezza di quello che certo non è un maxiprocesso:
l’episodio risale al 2006, la sentenza di primo grado è del giugno
2007 (e fu di assoluzione), ma ci sono voluti altri quattro anni per
arrivare al giudizio di appello. Il che costituisce una forma di
illegittima pena accessoria che colpisce in Italia quasi tutti gli
imputati.
Istruttiva, la vicenda, anche per il contesto strettamente
scolastico, tipico di moltissimi istituti: benché negli ultimi anni,
grazie ad alcuni provvedimenti di Fioroni e della Gelmini, l’idea
che un comportamento scorretto possa anche essere sanzionato abbia
fatto dei passi avanti, è ancora molto diffusa la convinzione che la
punizione sia più espressione di autoritarismo, di incapacità di
educare e magari di un certo sadismo, piuttosto che la naturale ed
educativa conseguenza di un comportamento scorretto, e magari
gravemente scorretto (su questa tendenza, vedi l’illuminante
commento di Maria Rita Parsi). Il logico risultato di questo
atteggiamento è spesso l’accumularsi inefficace di rimproveri e
magari di note sul registro, senza che ci si decida a fare nulla di
più. Esattamente quello che era successo nel 2006 a Palermo. Un
ragazzo con numerosi “precedenti”, incoraggiato dai troppo blandi
provvedimenti (le cronache dicono ora sette ora dodici note sul
registro), insieme a due amichetti insulta e umilia un compagno
definendolo gay e femminuccia e impedendogli di entrare nel bagno
dei maschi. La professoressa di lettere li sgrida e i due “compari”
chiedono scusa alla vittima. Lui no, la guarda storto e si rifiuta
tassativamente di scusarsi. La docente, decisa a non lasciare
impunita una grave mancanza, gli impone di scrivere cento volte
“Sono un deficiente”. Già allora scrivemmo che la frase avrebbe
potuto piuttosto essere "Mi sono comportato da deficiente", ma che
la vera domanda da farsi era: se la scuola avesse regolarmente
sanzionato le infrazioni gravi con qualche giorno di sospensione,
anziché regolarmente passarci sopra, la docente avrebbe sentito il
bisogno di inventarsi su due piedi una punizione il più possibile
adeguata alla gravità del fatto? Del resto va detto che in questo
caso molti si schierarono con la professoressa. E meritoriamente
l’Associazione radicale “Andrea Tamburi” di Firenze lanciò su nostra
proposta una sottoscrizione di solidarietà per le spese legali, che
raggiunse in poco tempo i 3529 euro. Nel comunicato stampa si
sottolineava appunto che “da molti anni gli insegnanti sono stati
lasciati colpevolmente soli alle prese con il problema della
condotta, che non di rado rende quasi impossibile il lavoro in
classe. In questa solitudine la docente palermitana ha ritenuto
necessario assumersi la responsabilità e l’onere – che sarebbe non
solo della scuola italiana, ma dell'intera collettività – di
difendere l'aggredito e punire l'aggressore.”
Da qui deriva il terzo elemento di riflessione: mentre la collega
sta pagando le conseguenze di un’assunzione di responsabilità,
quelli che alle loro responsabilità si sottraggono - per quieto
vivere o per convinta adesione al perdonismo pedagogico - non
corrono nessun rischio. Ma non esiste per gli insegnanti (e altrove)
un dovere di prendere provvedimenti, quando ce ne siano gli estremi?
La scuola dovrebbe riflettere molto sul prezzo che si paga in
termini di “diseducazione civica” delle nuove generazioni, se troppo
spesso non reagisce con fermezza ed equilibrio ai comportamenti
sbagliati di chi è affidato alle sue cure.
Da leggere sullo stesso argomento anche il
Buongiorno di Gramellini sulla “Stampa” di ieri.
Sul “Corriere della
Sera” di oggi,
Giovanni Belardelli mette a confronto Italia e Germania per come
l’opinione pubblica giudica il “copiare”.
Da segnalare infine, da
“ItaliaOggi”, i risultati di una ricerca sugli adolescenti
condotta dalla Società Italiana di Pediatria, secondo i quali c’è da
parte loro una richiesta di sentire maggiormente la guida dei
genitori e un ampio consenso verso il rispetto delle regole.
GdF