GRUPPO DI FIRENZE

per la scuola del merito e della responsabilità

La fabbrica degli immaturi.
Ovvero: a che età si diventa adulti in Italia?

 dal Gruppo di Firenze per la scuola del merito e della responsabilità, 13.2.2011

A conferma di quanto leggi e sentenze possano contribuire a deresponsabilizzare i giovani (vedi i post precedenti), dal servizio di copertina del “Venerdì di Repubblica”, I post bamboccioni d’Italia che portano i genitori in tribunale (ancora non disponibile in rete), apprendiamo tra l’altro che, secondo i dati dell’Associazione dei matrimonialisti italiani, “quasi il 10% delle procedure familiari italiane riguarda vertenze intentate da ultramaggiorenni contro genitori pensionati”. A incoraggiare certi figli su questa strada, ci si è messa anche una recente sentenza della Corte di Cassazione, che, contro i precedenti gradi di giudizio, ha ribadito l’obbligo di un padre di Ferrara di versare gli alimenti a una figlia laureata e sposata. E tutto questo avviene in un paese in cui l’età media di uscita dalla famiglia è di oltre 31 anni per i maschi e di 29 e mezzo per le femmine, nettamente superiore a quelle di Germania, Regno Unito e Francia, che si collocano intorno ai 25 anni.

In ogni caso, e pur tenendo conto che da anni è diventato più difficile per un giovane trovare lavoro, obbligare i genitori per legge a mantenere i figli molto oltre la maggiore età (come anche legittimare l’occupazione di una scuola) significa che il legislatore e una parte dei giudici hanno perso completamente di vista, ostacolandola gravemente, la relazione educativa. La stragrande maggioranza dei genitori, infatti, troverà del tutto naturale aiutare i figli, ma deve toccare a loro valutare se questo continua a essere opportuno. La sola possibilità di “chiudere il rubinetto” a un figlio pigro e poco responsabile, per esempio, può spingerlo a fare un passo decisivo verso l’autonomia. Viceversa, come sottolinea Gian Ettore Gassani, presidente degli avvocati matrimonialisti, in Italia, a differenza del resto d’Europa, si sta andando verso il principio del “mantenimento infinito”, e si costringono persino persone ormai nella terza età “a sobbarcarsi sacrifici economici e patrimoniali che il comune sentire stenta a comprendere.”

Commenta la sociologa Chiara Saraceno: “Ci si lamenta dei bamboccioni, ma ci si guarda bene dal cambiare la norma di legge che definisce i familiari tenuti agli alimenti, una categoria che, per numerosità delle persone (oltre ai genitori nei confronti dei figli e questi nei confronti di quelli, anche i nonni e gli zii nei confronti dei nipoti e i generi e le nuore nei confronti dei suoceri) e durata indefinita dell’obbligo, non ha pari in nessuno dei paesi sviluppati”.