scuola

Formazione docenti,
il Regolamento passerà l’esame dei decreti?

Fabrizio Foschi il Sussidiario, 7.2.2011

In tempi in cui con una certa fatica, a causa di un retroterra ancora fortemente centralistico e sindacal-politicizzato, la scuola italiana tenta di reagire alla sfida educativa che proviene dalla nuova domanda dei giovani (conoscenze non svincolate dalle ragioni che rendono significativo e utile l’apprendimento) acquista una maggiore consistenza la prospettiva della formazione iniziale dei docenti connessa ad un nuovo percorso di laurea magistrale e ad un periodo di tirocinio svolto nella scuola.

È stato infatti pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il Regolamento sulla formazione iniziale degli insegnanti della scuola dell’infanzia, della scuola primaria e della scuola secondaria di primo e secondo grado: un passo che rappresenta, se non la fase conclusiva di un itinerario già lungo, quantomeno l’attestazione della volontà di chiudere una preoccupante fase di vuoto legislativo (le SSIS sono sospese dal 2008-2009) e di procedere a disegnare un sistema che conferisce oltre a formazione anche abilitazione alla professione.

Formazione, abilitazione, reclutamento, valorizzazione della professione docente: sono questi i nodi che, sul versante della soggettività docente (quella che i contratti definiscono, riducendone la portata e il significato professionale, la “funzione docente”), la politica scolastica è chiamata ad affrontare, sollecitata da stimoli interni ed esterni al sistema di istruzione. Tali sono le ricorrenti valutazioni internazionali e nazionali sugli apprendimenti degli studenti che impegnano la scuola italiana a ripensare il nesso tra insegnamento e apprendimento; tali sono le richieste, magari non sempre espresse chiaramente ma percepibili, provenienti dai giovani e dalle famiglie, di una scuola che non sia solo ambito di integrazione e socializzazione, ma anche di sviluppo di conoscenze personali e orientate al gusto della scoperta del nesso tra il proprio io e la realtà tutta intera.

Su formazione e abilitazione è stato dato un colpo alla macchina, mentre su reclutamento e sviluppo professionale del docente ancora poco è stato scritto, sperimentazione sulla valutazione dei docenti a parte (in partenza indebolita, comunque vada, da una impostazione che fa perno sulla logica premiante tramite incentivi piuttosto che su articolazioni della professione da riconoscere).

Ad ogni modo, del Regolamento sulla formazione iniziale, ora approdato dopo un parto piuttosto lungo sulle pagine della Gazzetta, si dovrà continuare a discutere. Non tanto per intervenire sulla struttura di fondo, che è definita sostanzialmente dai tre blocchi: percorso formativo abilitante quinquennale per gli insegnanti della scuola dell’infanzia e primaria; percorso magistrale con anno di tirocinio formativo attivo (Tfa) abilitante per gli insegnanti della scuola secondaria di I e II grado; percorso abilitante costituito dal solo Tfa di un anno per tutti i laureati o insegnanti privi di abilitazione che posseggono i requisiti per entrare in questo gruppo all’atto dell’entrata in vigore del Regolamento (cioè il prossimo 15 febbraio). Quanto piuttosto per chiarire determinati aspetti concernenti la messa in pratica delle norme, sia nell’ottica della impostazione dei vari intrecci tra le istituzioni implicate, sia in quella della organizzazione dei nuovi itinerari formativi, nonché delle concrete modalità applicative del Tfa nel periodo transitorio.

La filosofia del Regolamento poggia su una distinzione tra formazione disciplinare del nuovo docente, che si acquisisce in università, e abilitazione all’esercizio della professione, cui si perviene rispettivamente mediante un tirocinio di 600 ore (24 cfu), compreso nei cinque anni di corso di laurea dei futuri insegnanti dell’infanzia e della primaria, e di un anno di tirocinio svolto in collaborazione con le scuole del servizio nazionale di istruzione (comprensivo di 475 ore a contatto diretto con l’attività scolastica, pari a 19 cfu), per i futuri insegnanti della scuola secondaria, media e superiore.

La preparazione dei futuri maestri sarà marcatamente disciplinare e si svilupperà in prevalenza nell’università (al tirocinio vanno appunto 24 cfu a fronte dei restanti 276, distribuiti tra ambiti disciplinari, insegnamenti per l’accoglienza degli studenti disabili e laboratori). Sarà questo livello, quello della formazione primaria, a dover essere guardato con particolare attenzione, a maggior ragione proprio nella sua fase applicativa. Al maestro elementare si chiede molto: possedere conoscenze specifiche, essere in grado di articolarle in funzione dell’età dei bambini, avere la capacità di scegliere strumenti didattici diversi a seconda delle situazioni, essere in grado di partecipare alla gestione della scuola, ecc.

Evidentemente, come il dibattito dei mesi scorsi ha dimostrato, si ritiene che la scuola primaria debba recuperare su questo fronte, quello degli insegnamenti disciplinari. Non siamo del tutto convinti che sia questo l’unico problema, perché la riforma Gelmini della scuola elementare imperniata sul maestro prevalente, che ha comportato numerose complicazioni di carattere organizzativo, richiama anche la capacità degli insegnanti (e dei dirigenti) di gestire e organizzare tempi e spazi entro i quali trasmettere conoscenze e impostare attività educative per i bambini. I futuri maestri dovranno imparare a trasmettere le loro numerose conoscenze facendone punti di aggregazione di interessi da parte degli alunni più piccoli, negli spazi di tempo e di luogo che sapranno anche conquistarsi. Da questo punto di vista, nei percorsi di formazione primaria, sarà prezioso il dialogo tra università e scuola, non solo all’atto del tirocinio, ma anche nel punto genetico stesso delle conoscenze disciplinari che solo se diventano patrimonio personale del docente possono costituire avventura umana e intellettuale dell’alunno. Si vedrà.

Non è, d’altra parte, quello della scuola primaria, l’unico ambito rispetto al quale è lecito, nella fase attuativa che adesso subentra, attendersi da parte dei soggetti istituzionali cui spetta la realizzazione del progetto quella elasticità e buon senso che possano rendere funzionale, con gradualità ma anche con decisione, la normativa allo scopo per cui è stata predisposta, ovvero la formazione di docenti preparati ma anche capaci di integrarsi con la scuola attiva.

È sufficiente porre attenzione alle implicazioni che si rendono necessarie per tradurre in pratica il Regolamento appena pubblicato per cogliere quanto sia impellente questa esigenza.

Sul versante accademico, il Miur dovrà agire nei confronti delle università per verificare il possesso dei requisiti (già definiti dal DM 270/2004 e che ora dovranno conformarsi alla recente legge di riforma dell’università) utili sia per istituire i corsi di laurea magistrale a numero programmato per l’insegnamento nella scuola secondaria di I e II grado, sia per avviare la fase transitoria di tirocinio formativo attivo; in seconda battuta le università (una o più facoltà; facoltà di più atenei) potranno consorziarsi per rendere operanti i medesimi corsi.

Sul versante della scuola, ed in particolare delle operazioni indispensabili per far partire da subito la fase transitoria del tirocinio formativo attivo (comprensivo delle 475 ore nella scuola), sono essenziali altre azioni che dovranno essere regolamentate, quali: numero dei posti annualmente disponibili per l’accesso al Tfa; attivazione dei percorsi di Tfa da parte degli atenei; stipula delle convenzioni per lo svolgimento delle attività di tirocinio tra le università e le istituzioni scolastiche del sistema nazionale dell’istruzione, sino alla predisposizione degli elenchi di cui all’articolo 12 del testo appena registrato; predisposizione da parte del Miur della prova preliminare (test nazionale) e indicazione della data di svolgimento della prova; predisposizione delle prove successive da parte degli atenei.

Si può facilmente intuire che questa decretazione ulteriore rispetto al Regolamento, che richiede di certo tempi non brevi, non è meno importante del testo base perché definisce nel concreto le condizioni e gli spazi imprescindibili per avere docenti che nella scuola superiore sappiano assumersi mediante ciò che insegnano una vera responsabilità educativa, non perché eruditi in pedagogia o psicologia, ma perché a loro volta mossi da maestri.