Il ‘brunettismo’ applicato ai prof

Marina Boscaino Il Fatto Quotidiano, 6.2.2011

Qual è il rapporto tra blocco dei contratti, annullamento dell’integrazione degli “scatti” salariali, peggioramento parossistico delle condizioni di lavoro dei docenti e avvio della “meritocrazia”? Nessuno. Persino se si tratta di una meritocrazia di facciata, dal respiro breve e senza risorse, come quella contenuta nella bozza di decreto sulla valutazione degli insegnanti ideato al Miur, il contrasto tra frequente mancanza di requisiti indispensabili per lavorare con dignità e demagogia del progetto di premiare il merito a costo zero è eclatante.

È ormai noto a tutti il fallimento della “sperimentazione” sulla valutazione: la straordinaria compattezza dei collegi docenti ha bocciato il tentativo di lusingare comprensibili (dati i salari) appetiti economici. Non così urgenti, però, da approvare un piano mercantilistico basato su consenso delle famiglie, progetti attuati, giudizio di comitati impreparati, istigazione a creare cordate e guerre tra poveri, alla faccia della collegialità; e del contratto nazionale che, anche se si ostinano a non tenerne conto, è valido fino a dicembre 2011. Invece di ammettere la débâcle e studiare (attività che né Gelmini né i suoi scriba conoscono e praticano) un problema complesso come la valutazione, ecco la soluzione dall’alto.

Farraginosa, come sempre, poiché neanche i sindacati hanno un testo ufficiale: Gelmini, Brunetta e Tremonti (triade che la scuola pubblica non dimenticherà) hanno non consegnato (come vorrebbero relazioni sindacali corrette), ma solo illustrato la bozza di decreto che – indifferente al no della scuola – attuerà anche da noi la riforma Brunetta per misurare il merito nel pubblico impiego. Una procedura al solito indifferente al confronto su materie fondamentali e delicatissime, che può diventare tramonto di un’idea democratica di scuola o cappio a cui il governo rischia di impiccarsi: un ricordo per tutti, il concorsone di Berlinguer. Sedici articoli, a premiare solo il 75 per cento dei docenti di una scuola. Trasparenza di premio e premiati, con apposite documentazioni sui futuribili siti istituzionali, in attesa di un provvedimento ad hoc del ministero relativamente a “fasi, tempi, modalità, soggetti e responsabilità del processo di misurazione e valutazione della performance, nonché di monitoraggio e verifica” del suo andamento. Vengono definiti in modo perentorio procedure e principi (senza entrare nel merito del “cosa” valutare), sottolineando in maniera inequivocabile la pericolosissima operazione culturale e politica del governo: ridurre la scuola – che ha natura inconfutabilmente autonoma, proprio per le caratteristiche del proprio mandato – a logiche del pubblico impiego.

Misurare performance (sic!) di postini o impiegati ministeriali è altro da valutare attività di insegnamento, sottoposte a variabili tanto imprevedibili quanto le condizioni di contesto. Individuare modalità premianti formali significa ignorare (volontariamente) la centralità educativa propria della scuola. E dimostrare che la “sperimentazione” – sulla scia di tante tristi analoghe operazioni dei governi di centrodestra, di cui sono stati sapientemente occultati i risultati – è l’ennesima manipolazione mediatica cui tante volte abbiamo assistito. Lanciare e imporre il merito a prescindere dai risultati e persino dall’avvio di sperimentazioni che – come molti sospettavano – sono pura propaganda, è operazione autoritaria e demagogica. Le scuole possono ancora provare a ribadire il proprio no.