Non confondiamo merito e ricchezza

di Gianfranco Viesti La Gazzetta del Mezzogiorno 17.2.2011

Premiare il merito. E’ una frase di moda, oggi in Italia. Ed è un bene. Perché quando le risorse, in primo luogo pubbliche, sono scarse (come sono e saranno a lungo), è indispensabile destinarle a chi è capace di utilizzarle meglio. Perché il premio al merito è un incentivo per tutti per fare meglio. Perché può consentire di distinguere fra comportamenti e risultati, evitare luoghi comuni (“la pubblica amministrazione non funziona”) che nascondono la realtà e impediscono di capire cosa si può fare per migliorare. L’idea che occorra premiare il merito si va diffondendo nel settore pubblico. Ve ne sono elementi nella legge sul federalismo fiscale. Si tenta da tempo di applicarla alle politiche di investimento pubblico, in particolare nel Mezzogiorno. Si cerca di introdurla nell’attività corrente delle amministrazioni a tutti i livelli. Vi sono però rischi evidenti: che l’idea si scontri con una sua concreta applicazione superficiale e arraffazzonata; che possa coprire decisioni già prese; che criteri e metodi di valutazione possono essere piegati a convenienze del momento.

RICCHEZZA - Vi è un rischio ulteriore nella situazione italiana contemporanea. Quello di confondere il merito con la ricchezza. Il merito è la capacità di raggiungere risultati apprezzabili, per date condizioni di partenza e date disponibilità di risorse; ha merito sia chi è già in una situazione avanzata, e migliora ulteriormente; sia, a maggior ragione, chi è in una situazione difficile e fa progressi. Il merito va misurato in relazione a comportamenti e risultati che sono nelle possibilità di chi viene valutato. Il merito, cioè, non può attenere solo al risultato in sé. Basti pensare a come sarebbe assurdo, ad esempio, stabilire il merito fra le amministrazioni regionali in relazione al livello di reddito degli abitanti. La Lombardia è più brava perché è più ricca? Stabilire premi al merito deve funzionare come un incentivo a tutti per migliorare. Ma perché sussista questo incentivo, tutti coloro che partecipano alla “gara”, devono essere convinti che vi è la possibilità di raggiungere i risultati, indipendentemente dal livello di partenza. Un sistema di premi al merito deve essere basato su indicatori semplici, legati ai comportamenti di chi deve essere valutato e non a condizioni esterne, conosciuti e condivisi da tutti all’inizio del processo. Meccanismi di valutazione e premio, o sanzione, non possono essere improvvisati. Per chiarire il tema un esempio. I criteri di merito impostati dalla Ministra Gelmini per il finanziamento delle Università. Rappresentano molto bene tutto quello che non bisognerebbe fare. In altre parole: se si vuole costruire un sistema di premi al merito l’esperienza Gelmini è molto interessante: fornisce una interessante traccia di tutto quello che non va fatto. Vediamo perché. I criteri di valutazione delle Università vengono stabiliti dal Ministero, con un decreto, senza una preventiva consultazione degli interessati, o quantomeno senza una discussione pubblica; sono, semplicemente, imposti dall’a l t o. In secondo luogo, la scelta dei tempi. I criteri in base ai quali le Università vengono valutate per il 2010 sono stati resi noti alla fine di dicembre 2010. No, non è un refuso. I criteri per il 2010 sono stati resi noti alla fine dello stesso 2010: quindi le Università hanno avuto alcune ore per modificare i propri comportamenti e raggiungere migliori risultati per poter accedere a risorse premiali, o evitare sanzioni.

CRITERI - Si dirà: ma tanto lo sapevano, i criteri saranno stati uguali a quelli del passato. Per quanto sembri assurdo, non è così. I criteri 2010 sono diversi da quelli 2009. Il lettore interessato agli aspetti tecnici può vedere un confronto sistematico realizzato dal prof. Daniele Checchi, recentemente pubblicato su www.lavoce.info.it . I criteri poi non tengono minimamente conto della situazione e delle risorse disponibili nelle diverse realtà: premiano chi raggiunge i risultati più alti in assoluto, e non chi fa meglio data la sua realtà; la loro specifica scelta è poi assai discutibile. A che serve tutto questo, allora? A due importanti risultati. Il primo è di distogliere l’attenzione dal fatto che il finanziamento totale per il sistema universitario italiano viene tagliato: i premi consistono in minori tagli, ma per l’opinione pubblica è più difficile rendersene conto. Il secondo è di potere avere discrezionalità politica, scegliendo gli indicatori ogni anno diversi, e a cose fatte, per poter indirizzare risorse verso questo o quel tipo di Università. I criteri 2009 erano stati disegnati, ad esempio, per premiare le Università più piccole, del Nord, a maggior contenuto scientifico. La ministra Gelmini cioè sta facendo tutto quello che non dovrebbe caratterizzare un vero sistema premiale. Non è una cosa seria: è una lotteria.