Prof all'estero,
solito concorso all'italiana
Quasi duemila candidati per la prova di francese
Per i posti nelle scuole all’estero 36 mila domande.
Dalle 8 a notte: errori, polemiche e libri trafugati
Flavia Amabile La Stampa,
2.12.2011
roma
Un concorso, dateci un concorso, dicono tutti, e finalmente
risolveremo i problemi di personale nelle scuole e in altri settori
del pubblico impiego. Piace ai sindacati, ai lavoratori, agli uffici
studi, e pure alle amministrazioni. Poi, però, dopo anni di silenzio
ne vengono banditi due grandi, importanti, nel mondo della scuola, e
ci si trova davanti al repertorio di sempre: una miscela diabolica
di approssimazione, mancanza cronica di fondi, estenuazione, rinvii,
paralisi di un sistema che sembra destinato a finire sempre e solo
in vicoli ciechi e a produrre ricorsi e ingolfamenti di tribunali
invece di nuovi assunti.
È persino difficile chiamarlo un concorso quello che si è svolto
ieri per selezionare professori, bidelli e amministrativi disposti a
andare a lavorare nelle scuole all’estero. Per svolgere due prove si
è andati avanti fino alle nove e mezza di sera e per tutto il giorno
migliaia di professori sono stati tenuti ad aspettare nella
confusione più totale, rinviando di ora in ora fino a sera l’inizio
della loro prova senza alcuna certezza mentre una parte di loro se
ne stava accampata lungo la via Aurelia a Roma con un librone in
mano trafugato o ottenuto da chi aveva già finito la prova, a
tentare di studiare in poche ore migliaia di pagine. Fra i vari
momenti topici della giornata non è mancato nemmeno il mistero del
librone usato effettivamente per i test: è stato sostituito al volo
o è stato usato quello compulsato con ansia da chi era riuscito a
metterci le mani sopra? Più che altro sembrava uno dei peggiori
incubi mai vissuti in un Paese che comunque sui concorsi mal
organizzati vanta una lunga esperienza.
Alle 8 di mattina tutti puntuali all’Hotel Ergife, lungo la via
Aurelia. Sono arrivate 36 mila domande, sono quasi duemila solo i
prof in attesa di iniziare la prova di francese, la prima di quattro
da tenersi nell’arco della giornata. Si dovrebbe proseguire con
tedesco, inglese e spagnolo ma nessuno ancora immagina l’odissea che
li aspetta.
Mentre la commissione illustra le modalità del concorso si alza uno
dei professori presenti in aula. Si chiama Daniele, viene da
Monreale ed è molto arrabbiato. Parla a voce ferma, scandisce bene,
è l’inizio della rivolta. Pone diversi problemi: solo ora vengono a
sapere di dover trovare 40 numeri corrispondenti a 40 quesiti in un
librone di 4mila test con tutte le lingue delle prove della
giornata. Solo ora sono stati informati che vi sono anche quattro
brani non inclusi nei 2 mila test resi pubblici un mese e mezzo fa.
E quindi chiede un po’ di tempo in più dei 45 minuti previsti,
almeno dieci minuti, e chiede alla commissione di riunirsi per
approvare la sua richiesta.
La commissione si rifiuta, e rifiuta anche di verbalizzare subito le
sue parole. Ma a quel punto Daniele non è più solo. Decine di prof
si alzano, altri applaudono. Alla fine la commissione chiama i
carabinieri. Daniele ed altri tre che avevano dato il via alla
protesta vengono presi da parte e la loro posizione viene messa nero
su bianco. E’ a questo punto però che si crea la vera confusione. La
commissione annuncia che la prova è stata annullata, ma una parte
dei libri con i test erano già stati distribuiti, qualcuno inizia ad
aprirli. Qualcun altro li mette in borsa. In tanti vanno via. Quando
la commissione ci ripensa e decide che la prova si terrà comunque ma
a fine giornata, molti prof sono già in strada e stanno sfogliando
il librone dei test.
«È una vergogna», commenta Barbara Gizzi, 45 anni, professoressa al
liceo scientifico di Monterotondo. Barbara ha dato tutto il suo
sostegno a Daniele e agli altri tre prof ribelli. Ma ha parole dure
anche per i suoi colleghi «furbetti» che «si sono portati via i
libroni pensando di fregare il prossimo (la gente seria e onesta,
che ha solo studiato investendo tempo e denaro per questo
concorso)». Li invita a «non chiedere più ai loro studenti di non
copiare durante le verifiche».
Quando è pomeriggio inoltrato nessuno sa ancora che cosa ne sarà
delle prove. Ci sono professori arrivati dall’estero come Alessandra
Centurelli che insegna italiano in Argentina. «Siamo arrivati questa
mattina in aereo a Fiumicino e siamo venuti direttamente all’Ergife
– racconta – è impossibile svolgere una prova del genere in 40
minuti, si finisce per valutare chi è più veloce a sfogliare le
pagine non chi conosce davvero una lingua straniera». Ci sono
professori arrivati da tutt’Italia che non sanno se potranno andare
a insegnare il giorno dopo né se dovranno trovare un alloggio per la
notte a Roma e soprattutto non sanno nemmeno se ne vale la pena.
La confusione è tale che quando finalmente appare una forma di
comunicazione ufficiale viene immediatamente smentita dai fatti. E’
sera infatti quando i ministeri degli Affari Esteri e
dell’Istruzione comunica di aver saputo dalle commissioni che le
prove si terranno secondo l’ordine indicato nel calendario
pubblicato il 15 novembre. Il bilancio è molto diverso: vengono
completate due prove su quattro. Per tutti gli altri il rinvio è a
martedì. Per quel che resta della dignità il rinvio è a data da
destinarsi.
Il problema sono le pensioni di anzianità, insomma?
«Sono una stortura, un problema aperto».
Il governo sta studiando un aumento delle quote
età/contributi e soprattutto si sta andando verso lo sfondamento del
tetto dei 40 anni di contributi come soglia minima. I sindacati
protestano.
«Chi ha iniziato a lavorare presto andrà in pensione prima dei 60
anni. Non possiamo più permetterci un sistema che prescinda
dall’età, queste persone stanno rubando futuro ai giovani».
Ma andare in pensione con 41-42 o 43 anni di contributi
senza correttivi significherebbe lavorare gratis dal quarantesimo
anno in poi.
«E’ vero, è un problema che si può affrontare però. Si possono
prevedere dei bonus, la Confindustria aveva proposto la
valorizzazione contributiva. Tutto è possibile. Qualcosa di simile
era già stato ipotizzato da Maroni. Quando era ministro al Welfare
aveva previsto un aumento delle pensioni per chi lavorava oltre i 40
anni. Il ministero del Tesoro l’aveva bocciato ma era un tentativo
in questo senso e quello che conta è che non vadano in pensione
persone che hanno meno di 60 anni. Ormai la stragrande maggioranza
di chi ottiene una pensione di anzianità lo fa usando la strada dei
40 anni di contributi. Spesso basta riscattare gli anni di
formazione e di università e si raggiunge la soglia minima: non
possiamo più permettercelo».
Arrivarci con il riscatto sarà un lusso ma chi ne avrà
diritto lo paga caro.
«Sì, è vero, ma è stato sbagliato non porsi il problema prima».
Come chiedere agli operai di lavorare più di 40 anni?
«Gli operai vanno salvaguardati, lo stesso vale per quelli che sono
in mobilità o in cassa integrazione».
Il governo interverrà con decisione anche sulle donne.
«In questo caso non parliamo di pensione di anzianità, che è un
privilegio maschile. Le donne prendono soprattutto la pensione di
vecchiaia. Sarebbe necessaria una certa gradualità nell’arrivare ai
65 anni di cui si parla. Hanno una storia lavorativa molto più
frammentata di quella degli uomini. L’Inps infatti nel 2010 ha
erogato 84mila nuovi trattamenti di anzianità (76%) contro i 27 mila
alle donne( (24%). Nel lavoro autonomo rispettivamente 51 mila (80%)
contro 13mila (20%)».
La disparità è evidente. L’aumento dell’età pensionabile per
le donne aggiungerà soltanto una nuova discriminazione senza
cambiare nulla.
«Forse bisognerebbe prevedere riforme che abbiano a che vedere con
il lavoro Non si può scaricare tutto sulle pensioni. Solo agendo
sulla previdenza con misure concrete già da lunedì il governo potrà
fare cassa rapidamente convincendo anche gli operatori
internazionali».
|