IL CASO

Licei vs. istruzione tecnica,
smontare il centralismo in 6 mosse

Sergio Bianchini il Sussidiario 10.12.2011

Caro direttore,

Il lavoro e la formazione dei giovani è il titolo dell’ultimo libro (editrice La Scuola) di Giuseppe Bertagna, docente in varie università ma noto ai più come il principale consigliere di Letizia Moratti nei cinque anni del suo ruolo di ministro della Pubblica Istruzione (2001-2006). Furono cinque anni di grandi speranze per una vera riforma della scuola e nel 2006, elaborata ed attivata faticosamente sul piano legislativo, stava per andare in porto. Prevedeva la famosa costruzione del doppio canale nella scuola superiore: da un lato il sistema dei licei gestiti dallo Stato e dall’altra il sistema dell’istruzione tecnica e professionale assunto dalle regioni con pari dignità del canale statale con possibilità di interscambio e sbocco universitario. Inoltre introduceva il criterio dell’orario obbligatorio per gli alunni distinto da quello opzionale.

Ma nel 2006 il centrodestra perse le elezioni ed il governo successivo, col ministro Fioroni, azzerò il tutto ripristinando il vecchio sistema. Dopo due anni, di nuovo al potere, il centrodestra col ministero Gelmini sorprendentemente non ribalta l’impianto ristabilito da Fioroni, anzi lo stabilizza fino al punto che gli Ips, da sempre detentori di corsi triennali professionalizzanti, diventano corsi di cinque anni con dichiarato asse culturale generalista.

Il libro si legge con crescente piacere perché chiarisce il fallito tentativo Moratti di superare la italica separazione tra generalismo e addestramento nella formazione dei giovani. Utilissima anche la precisazione sulle tre fasi Moratti-Fioroni-Gelmini e la descrizione dello stato attuale della problematica con la definizione del sistema Mor-fior-mini.

Notevole la valorizzazione della valenza umanistica e formativa del lavoro, che viene fatta risalire alla Bibbia e ridiscendere nella necessità di un sistema educativo e formativo integrato dove lo studio comprenda il lavoro e viceversa. Sembrerebbero perfino cose ovvie per noi del nord, abituati fin da piccoli a questo tipo di valutazione e imbevuti della famosa “cultura del lavoro”.

L’autore individua quasi senza speranza un’anomalia italiana, perché il totale annullamento della dignità dei percorsi formativi tecnico professionali è senza eguali in Europa, ma non si pronuncia, se non genericamente, circa i fondamenti dell’anomalia. Ed essa è davvero il nocciolo del problema, che consiste – a mio modo di vedere – nella concezione, diversa tra nord e sud, di cosa sia la cultura. Questa differenza è antica ma negli ultimi decenni la concezione centro-meridionalista ha preso il sopravvento anche al nord grazie alla enorme dilatazione dello Stato.

In particolare la scuola ha finito per essere la prima vittima di questa concezione generalista- elitario-parassitaria. La quale tende a produrre avvocati, notai, giudici, docenti, attori, giornalisti e funzionari dello stato dando alle loro funzioni una iperdignità culturale e riducendo assolutamente ad uno status marginale la funzione e la dignità del lavoro produttivo ed anche manuale. Che non sono, come giustamente afferma Bertagna, un misero e malinconico prodotto della necessità ma un fenomeno divino che esprime l’umanesimo integrale e genera costantemente stimoli evolutivi, culturali e spirituali oltre che vantaggi economici.

Ma per noi è chiaro che non si tratta di una semplice problematica culturale: dietro il paravento dello scontro su ciò che è più culturale o meno in realtà il centro sud (la sua classe dirigente) che è molto attento a quantità, reddito, potere (molto più del nord) ha stabilito la preminenza di ciò che è statale su ciò che è regionale, garantendosi per altri 30 anni il monopolio dei posti di lavoro nella scuola di Stato, dalla quale quasi tutto il personale del nord è stato espulso.

Pertanto la via d’uscita dalla licealizzazione patologica (degradata dal crollo della qualità docente) crescente non sarà tanto una battaglia ideale per valorizzare la cultura del lavoro, quanto una vera lotta politica per invertire la tendenza descritta.

Secondo il punto di vista dell’Asnrf (Associazione per una Scuola Nostra Regionale e Federale) che io rappresento gli elementi per acquisire, facilmente al nord, un sostegno di massa alla indispensabile battaglia sono:

– Il lancio massiccio di esperienze e pratiche di alternanza scuola-lavoro che consentano ai nostri giovani di avere una miriade di esperienze significative e stimolanti sul piano cognitivo, culturale, spirituale ed esistenziale e di integrarsi fecondamente nel territorio in cui sono nati e cresceranno.

–  L’opposizione aperta e serrata al curricolo gigantesco che viene imposto agli alunni (al solo scopo di dilatare il numero dei docenti stipendiati) e maggiore di circa il 50 per cento rispetto a quello medio europeo, considerando sia il curricolo annuale (1.000 ore contro le 750 della media Ocse) sia quello totale e cioè i 13 anni pre-universitari anziché i 12 diffusi in Europa.

–  L’incitamento nei confronti delle regioni del nord affinché esigano l’applicazione dell’art. 117 della Costituzione ed avviino passi concreti nell’esercizio anche unilaterale del loro potere.

–  Il potenziamento dell’autonomia degli istituti scolastici, che però non devono essere gestiti da aleatori consigli di amministrazione ma da organismi fortemente ancorati al territorio ed alla sua economia, e dove comuni e province e famiglie abbiano un ruolo decisivo.

–  Il blocco assoluto del carosello sud-nord-sud dei docenti, che distrugge la qualità della funzione docente statale al nord.

–  La trasformazione del contratto di lavoro del docente statale che lo porti ai livelli della docenza regionale facendolo diventare un lavoro vero e non una mansione che può essere scelta e spesso viene scelta per dedicarsi ad altro. Quindi lavoro tutto l’anno salvo le ferie ed orario settimanale intorno alle 30 ore settimanali comprensive di docenza e non.