Si chiamava diritto allo studio (a 3 anni) di Giancarlo Cerini Educazione & Scuola 24.12.2011
Una storia prestigiosa
Che succede alle scuole
considerate il nostro gioiello di famiglia? Ci riferiamo alle scuole
dell’infanzia italiane, giudicate non a torto, tra le migliori al
mondo. I tassi di frequenza sono (erano?) tra i più alti in Europa:
oltre il 97% dei bambini dai 3 ai 5 anni risulta iscritto, mentre
l’Europa si pone ancora l’obiettivo del 95% al 2020. I livelli di
qualità sono certamente differenziati (questo è il cruccio vero del
sistema educativo del nostro paese), ma in genere con uno standard
elevato, nonostante (o forse proprio perché) il settore
prescolastico sia storicamente articolato in scuole statali,
comunali, private paritarie. La sua presenza è assai capillare,
conta su una rete di oltre 24.000 (micro)strutture scolastiche, una
vera scuola di “prossimità”, molto vicina alle comunità di
riferimento. Gode di programmi didattici avanzati (gli Orientamenti
del 1991 fanno ancora testo) e di un corpo insegnante motivato verso
il proprio lavoro, disponibile a rimettersi in gioco e a curare il
proprio aggiornamento. E’ vero, la ferita dell’anticipo a 5 anni non
è stata ancora rimarginata (perché metteva in crisi un progetto
triennale apprezzato), mentre i pasticci sul fronte dell’anticipo a
2 anni[1]
non hanno consentito di far decollare, come auspicato, l’esperienza
delle sezioni primavera (per i bambini dai 2 ai 3 anni), come
servizio complementare all’asilo nido e alternativo all’anticipo[2].
Le cattive notizie
Di qui, a partire dalla
persistente immagine positiva, cominciano le cattive notizie:
- certi Comuni non
riescono più a sostituire nelle loro scuole dell’infanzia il
personale di ruolo che va in pensione, tanto che in alcune
prestigiose realtà comunali il 50% del personale è supplente! Sembra
incredibile!
- in alcune scuole
statali del sud, ci sono mamme che vanno a ritirare i bambini
all’ora della mensa, perché non possono permettersi di pagare la
retta[3];
- in tante realtà sono
tornate a fiorire le liste d’attesa, un fenomeno che era stato
superato almeno da vent’anni, grazie anche all’intervento
programmato e progressivo dello Stato nel mettere a disposizione i
posti necessari per l’espansione del servizio;
- in altri comuni
(anche questi prestigiosi) si stanno ormai esternalizzando parti del
curricolo, non meramente integrative (lo capiremmo…), ma essenziali
come il pomeriggio (non il prolungamento del tardo pomeriggio) o le
attività di sostegno;
- a volte lo Stato apre
una nuova sezione, ma assegna un solo docente (quando il modello ad
ordinamento –Dpr 89/2009- nel 91% dei casi prevede un orario a tempo
lungo, con il doppio organico), costringendo Regioni, Enti locali,
genitori a doppi e tripli salti mortali per assumere una qualche
figura avventizia per assicurare un minimo di durata del servizio;
- le risorse pubbliche
per le sezioni primavera stanno diminuendo, i tempi ed i ritardi
burocratici negli indispensabili accordi rendono difficoltosa la
prosecuzione di una esperienza promettente.
Sul piano finanziario,
i costi richiesti per frequentare una scuola dell’infanzia
(comunale, statale, o privata) stanno salendo incredibilmente,
perché mensa, servizi di scodella mento (!?), prescuola, ed altre
“accise” portano spesso la quota mensile di frequenza anche verso i
200-300 euro mensili, facendo tornare l’iscrizione alla materna un
onere “individuale” per le famiglie, piuttosto che una struttura
educativa per tutti. Ve lo immaginate se la famiglia benestante che
manda al liceo statale il proprio figliolo si sentisse richiedere
una retta annuale di 2-3.000 euro (quando oggi c’è chi mette in mora
il preside perché ha osato chiedere un contributo di 150 euro annue,
assicurazione compresa?).
Riscoprire un diritto civile
Insomma, qualcosa non
va nella nostra civilissima Italia. Se quello che fin dagli anni ’70
veniva considerato un diritto (“il diritto allo studio comincia a
tre anni” titolava un volumetto di battaglia pubblicato a quel tempo
dagli Editori Riuniti, ad opera del volitivo assessore comunale
Liliano Famigli), ma se quel diritto universale oggi è rubricato ad
un mero servizio a domanda individuale, subendone tutte le
conseguenze sul piano tariffario e del contributo chiesto ai
genitori, l’educazione della prima infanzia sta correndo serissimi
problemi, nelle aree forti e deboli del nostro paese, nel sistema
pubblico e nel sistema privato (anche lì, le risorse sono state
congelate), in controtendenza rispetto alle stesse indicazioni
europee.
Che ne sarà del motto
“Starting strong” (“partire alla grande”) che stava scritto nel
Rapporto Ocse sulla scuola dei piccoli[4],
che pure premiava il modello italiano? Come onorare l’indicatore
(Indagine Pisa 2009) che mette in correlazione la frequenza della
scuola dell’infanzia con un migliore successo negli apprendimenti a
15 anni? Come promuovere un rafforzamento della formazione nella
scuola di base (oggi rilanciata dall’idea di generalizzare gli
istituti comprensivi[5]),
che richiede di dare piena dignità e vigore al primo incontro con i
saperi, dai 3 ai 5 anni? Come superare il dislivello di offerta che
si manifesta tra i comparti 0-3 anni (gli asili nido, fermi al 15%)
e 3-5 anni (le scuole dell’infanzia, ormai al 97% ma con le
criticità che abbiamo visto)? Come essere coerenti con le
tradizioni, vecchie e nuove, della ricerca pedagogica italiana
sull’infanzia, fatta di illustri accademici ma anche di tante
“esperienze” innovative promosse sul campo?
Sono interrogativi
ineludibili, che richiedono risposte di ordine politico,
tecnico-amministrativo, legislativo, professionale.
Comune e “terzo” settore
Intanto sembra urgente
un provvedimento di legge che sfili il settore delle scuole
dell’infanzia comunali dai vincoli capestro che condizionano i
Comuni (mancata sostituzione dei pensionamenti, tetti di spesa per
le supplenze, mancato reclutamento di nuovi docenti, interventi per
il sostegno, ecc.) adottando le stesse regole vigenti nel parallelo
settore statale. Qui è a rischio la stessa sopravvivenza della terza
filiera (quella comunale) del settore infanzia, che tanto ha dato
all’intero sistema educativo italiano. Già si sentono assessori
affermare che la gestione delle scuole comunali non rientra tra le
priorità dell’ente locale, che è una situazione del tutto residuale,
che ben venga una bella “statizzazione”, così finirebbero
l’incertezza ed i problemi di bilancio. Ma in questo modo si
priverebbe il sistema di una linfa vitale (posto che si recuperino
le criticità di oggi). Servono decisioni rapide, come hanno
segnalato le neo-assessore all’infanzia dei Comuni di Napoli,
Milano, Torino e Bologna[6].
Per lo stesso motivo si
dia garanzia di contributi pubblici al settore privato (quelli
statali previsti da leggi, quelli regionali e comunali previsti da
convenzioni), ma si dica chiaramente che il privato che riceve
finanziamenti pubblici deve rispettare i criteri propri di una
scuola che ambisce svolgere una funzione pubblica. Non sempre si
accolgono utenti a prescindere da condizioni sociali, etniche,
religiose (economiche…); non sempre si coordinano le iscrizioni,
dando vita a concorrenza impropria (ad esempio, tutti dovrebbero
farsi carico della presenza di bimbi stranieri); il sistema dei
controlli è troppo evanescente. La scuola privata vorrebbe il
riconoscimento automatico di “pubblica”, ma le nostre leggi (la
62/2000 di berlingueriana memoria, detta di “parità”) pongono regole
che vanno rispettate (che dire degli allievi fuori età? dei
contratti di lavoro dei docenti? dei programmi didattici?). La
sussidiarietà non significa che lo Stato e gli Enti pubblici
abbandonano il loro dovere di dare indirizzi, standard, garanzie, a
piccoli e grandi.[7]
Gli impegni dello Stato
Ma intanto lo Stato
deve prendersi cura delle sue scuole: sono ben 13.553 scuola (56%
del comparto), 993.226 bambini (59,1% dei bambini), 81.197
insegnanti di ruolo, il settore maggioritario del comparto,
cresciuto in poco più di 40 anni (dalla mitica legge 444 del
18-3-1968, quella che fece cadere diversi Governi). Andare a scuola
a tre anni costituisce in quasi tutte le Regioni il primo impatto di
genitori e allievi con una istituzione pubblica, che rappresenta una
garanzia di uguaglianza di opportunità, di incontro con la lingua e
la cultura del nostro paese (in un ambiente sempre più plurilingue).
E’ un tassello fondamentale della cittadinanza, che va difeso con
più ostinazione di quanto facciano le leggi. Spesso, con l’alibi che
la scuola dell’infanzia non è obbligatoria, si deve registrare il
disimpegno delle istituzioni, non si provvede di fronte a domande
effettive di scolarizzazione, il servizio non viene garantito nella
sua universalità. Riteniamo che la scuola dai 3 ai 5 anni possa
continuare a non essere obbligatoria, per non omologarla o
“anticiparla” rispetto a compiti formativi che sono successivi, ma
che il suo “status” giuridico debba essere quella di una istituzione
educativa da garantire con certezza.
Oggi c’è una richiesta
pressante di servizi educativi, ma bisogna seguire meglio le
dinamiche demografiche e le nuove zone di insediamento, facendo
fronte alle aree di criticità (detto in altre parole: occorre
predisporre uno stock di sezioni aggiuntive e di insegnanti ogni
anno, per rispondere alle richieste inevase). Occorre rilanciare la
formazione e la ricerca didattica tra il personale (e l’approccio al
monitoraggio delle Indicazioni è una risposta tardiva e al momento
insufficiente)[8],
soprattutto per trasmettere sapere e passione ai nuovi insegnanti,
valorizzando le competenze di quegli insegnanti magari vicini alla
(o già in) pensione, che hanno dato molto in questa direzione.
Sezioni ed insegnanti
non sono le uniche condizioni che fanno qualità. Pensiamo al
personale ausiliario (questione che non si può liquidare con
l’infelice battuta che non servono i carabinieri a scuola) perché
l’assistenza educativa a 3 anni significa autonomia, corpo,
sicurezza, benessere, identità. Pensiamo ai cosiddetti “servizi” (il
trasporto, la mensa, ecc.) perchè non sono un optional e “fanno
qualità” e quindi le quote di partecipazione finanziaria degli
utenti devono essere calmierate e rese sostenibili.
Una “survey” per la “materna”
Sono dunque molti i
punti di attenzione che dovremo riservare a questo delicato ma
decisivo segmento del nostro sistema educativo, non solo per
mantenere e confermare le nostre buone posizioni, ma per rilanciare
l’idea di una scuola dell’infanzia di qualità, plurale nella sua
gestione, ma accomunata nella ricerca di standard educativi di
elevato spessore.
Si ricostituisca al
centro un nucleo pensante, un osservatorio (che potrà essere
posizionato al MIUR, ma che dovrebbe aprirsi ad una logica
inter-ministeriale e inter-istituzionale), che veda le diverse
iniziative che si possono “cantierare” per salvaguardare la qualità
(e la quantità) delle nostre scuole dell’infanzia. Serve una
“survey” sul sistema educativo 3-5 anni che aiuti a capire meglio
quali sono le condizioni che possono favorire il persistere della
buona scuola dell’infanzia italiana.
[1] Vedi l’interessante pronuncia del CNPI sulle sezioni primavera, espresso nella seduta del 23 novembre 2011 (Documento di contributo sulla situazione e sul monitoraggio relativi alle sezioni aggregate alle scuole dell’infanzia per i bambini da 24 a 36 mesi.). Esiste in proposito un dettagliato rapporto del MIUR con i dati più significativi di una esperienza avviata nell’a.s. 2007/08 e che ha portato a costruire un nuovo segmento di servizio all’infanzia, che interessa circa 20.000 bambini. Proprio per questo – scrive il CNPI nella sua pronuncia - le sezioni primavera, all’interno di un quadro complessivo che deve essere prioritariamente assicurato con risorse certe per il rilancio di tutta la scuola dell’infanzia e più in generale di rafforzamento dei servizi educativi per la fascia di età 0-6, meritano di essere seguite con attenzione per correggerne e migliorarne l’impianto attraverso una efficace azione di formazione e di supporto agli operatori impegnati.
[2]
Secondo i dati forniti dal MIUR sarebbero circa 85.000 i bambini che
frequentano in anticipo la scuola dell’infanzia (51.000 nelle scuole
statali, 34.000 nelle scuole paritarie), pari al 15% della leva di
età. Un decimo degli anticipatari risulterebbero nati dopo il 30
aprile, quindi o “fuori norma” oppure inseriti nei “piccoli gruppi
misti” previsti dal Dpr 89/2009 come terza tipologia di anticipo
(anticipo vero e proprio, sezione primavera, piccoli gruppi).
[3]
L’atlante dell’infanzia a rischio, pubblicato nel 2011
dall’associazione “Save the Children”, rivela che il 18,2% dei
bambini in Italia vive al di sotto della soglia di povertà, rispetto
al 14,5% in Europa. I dati sono fortemente differenziati tra le
regioni, con punte elevatissime in Campania, Sicilia e Basilicata.
Vedi:
http://atlante.savethechildren.it/ . E’ un argomento su cui più volte è intervenuto il neo-sottosegretario all’Istruzione Marco Rossi Doria: http://marcorossidoria.blogspot.com/2011/11/giornata-mondiale-dei-diritti-dei.html [4] Reggio Children, Associazione Treellle (in collaborazione con OCSE), La scuola dell’infanzia, Seminario n. 7, settembre 2006. Una sintesi del seminario: http://archiviostorico.corriere.it/2006/settembre/22/Pochi_fondi_alle_materne_Italia_ co_9_060922016.shtml [5] G.Cerini, Toh, chi si rivede… gli istituti comprensivi, in edscuola.it: http://www.edscuola.it/archivio/riformeonline/toh_chi_si_rivede.html [6] http://www3.lastampa.it/torino/sezioni/cronaca/articolo/lstp/430739/ [7] Si legga l’ultimo libro di Sabino Cassese per averne conferma: Una società senza Stato? Il Mulino, 2011 dove l’autore segnala che Dopo una ricostruzione precisa delle norme di unificazione, a cavallo degli anni '60 dell'ottocento, molto efficace è l'analisi dei deficit di etica pubblica e di mancanza di senso dello stato. Però, cosa ha fatto lo Stato per "produrre beni collettivi: fiducia, norme che regolano la convivenza, reti associative, attitudine alla cooperazione, cultura civica. La cattiva amministrazione produce diseguaglianze e carenza di fiducia". La sussidiarietà ci vuole, senza però rinunciare ai vantaggi di un buon "Stato" (le tasse, la pubblica amministrazione...). [8] Un articolato documento sul monitoraggio delle Indicazioni (avviato sulla base della CM 101/2011) è stato predisposto dal Cidi, Centro di Iniziativa Democratica degli Insegnanti: http://www.cidi.it/documenti/Monitoraggio22nov11.pdf |