1) Un necessario preambolo
Sgombriamo
preliminarmente il campo da fuorvianti equivoci: una valutazione
rigorosa del sistema scolastico italiano, finalizzata al
miglioramento della sua qualità e al potenziamento degli strumenti
che consentano l’assolvimento del suo mandato costituzionale, è
auspicata, oggi più che mai, non solo dai rappresentanti delle
istituzioni italiane e europee, ma da ogni singolo cittadino che
abbia a cuore il presente e il futuro del nostro paese, primi fra
tutti gli insegnanti.
2) Breve storia di un’idea
In Italia si è
cominciato a parlare di valutazione di sistema circa venti anni fa
e, da allora, tutti i ministri con i loro esperti, e tutti i
responsabili delle scelte di politica scolastica a livello
istituzionale e amministrativo, con perfetto spirito bipartisan e
con uno sconcertante furor burocraticus, hanno prodotto leggi,
decreti, direttive, circolari, lettere con cui hanno varato,
trasformato, modificato, cancellato e riesumato, sempre dalla stessa
costola ministeriale, una pletora di sistemi, enti, istituti,
agenzie, servizi preposti alla valutazione nazionale, tutt’altro che
autonomi, che non solo non hanno valutato e valorizzato il sistema
scolastico italiano ma hanno generato disinformazione,
disorientamento, diffidenza (1).
Quand’è che l’idea comincia a prendere corpo? Nel 2008/09, l’Invalsi
parte con la rilevazione degli apprendimenti nella scuola primaria,
poi nel 2009/10 si prosegue nella scuola media (dove addirittura i
test nazionali si sovrappongono alle prime due prove scritte
previste dall’Esame di Stato) ed infine nel 2010/11 si passa alla
scuola secondaria di II grado, con la rilevazione degli
apprendimenti degli studenti del II anno, esattamente in
contemporanea con la realizzazione del piano programmatico attuativo
dell’art. 64 della legge 133/2008 che realizzerà in quello stesso
triennio il più massiccio disinvestimento economico, sociale e
culturale mai abbattutosi sulla scuola statale nella storia
dell’Italia repubblicana.
In estrema sintesi, possiamo dunque dire che la valutazione
del sistema scolastico italiano, messa faticosamente a punto in sede
ministeriale e parlamentare nell’arco di un ventennio con notevole
dispendio di risorse economiche e umane, si configura oggi per il
MIUR come la mera rilevazione degli apprendimenti degli alunni in
italiano e matematica attraverso test standardizzati.
3) Il valore aggiunto come indicatore
unico per l’accountability delle scuole
E’ l’assunto pedagogico
che sottende l’intera operazione: i test misurano il valore aggiunto
(o sottratto) dalle scuole alla formazione delle competenze degli
studenti (2).
Mette appena conto osservare che, nell’ambito dei sistemi educativi,
il dibattito sui significati del termine ‘competenze’ (mutuato da
modelli di organizzazione aziendale centrati sulla valutazione delle
capacità lavorative degli individui), sul loro grado di effettiva
misurabilità e sull’individuazione dei relativi strumenti di
misurazione, è ricchissimo, controverso e ancora aperto (3).
La compilazione di un questionario sociometrico con una
scheda-raccolta delle informazioni di contesto (dati personali e
familiari, corredati, per gli alunni più grandi, da scarse
informazioni psicoattitudinali sulle modalità di studio e di
apprendimento) permetterebbe di individuare ciò che, nelle risposte
degli alunni, non può essere attribuito alla scuola.
Si assume dunque che, attraverso complesse metodologie
tecnico-statistiche di elaborazione di una trentina di risposte in
italiano e matematica, alla luce di una quantità risibile di dati
extrascolastici, si possano calcolare i guadagni cognitivi netti
degli studenti (cioè epurati di tutte le variabili di contesto
personale, familiare e sociale) e che questo permetterebbe una
trasparente operazione di accountability finalizzata, come
millantato ai cittadini italiani e alle istituzioni europee, a
migliorare il sistema, premiando o punendo docenti e scuole.
Sentiamo, a questo
proposito, cosa scrive chi ha già fatto questa esperienza, in
America.
Così Diane Ravicth (4), nel suo “The death and the life of the great
american school system. How testing and choise are underminig
education”, Basic Books 2010:
“Il problema dell’uso dei test per prendere importanti decisioni in
merito alla vita delle persone è che i test standardizzati non sono
strumenti precisi. Sfortunatamente molti funzionari eletti non lo
capiscono, sicuramente non lo capisce l’opinione pubblica. Le
persone credono che i test abbiano validità scientifica, come un
termometro o un barometro, e che essi siano obiettivi, non offuscati
dal fallibile giudizio umano. Ma i punteggi dei test non sono
paragonabili a pesi o a misure standard; essi non hanno la
precisione di una scala o di un parametro medico. I test variano
nella loro qualità, e anche i migliori possono a volte essere
soggetti a errori, a causa di errori umani o di errori tecnici.
Difficilmente una tornata di test passa senza episodi di cantonate
da parte delle principali società che elaborano i test. Talvolta le
domande sono malamente espresse. Talvolta alle risposte viene
attribuito un punteggio sbagliato. Talvolta la risposta che si
suppone giusta è sbagliata o ambigua. Talvolta due delle quattro
risposte a una domanda a risposta multipla sono egualmente
corrette.” (5)
E ancora: “La Commissione sull’uso appropriato dei test del National
Research Council stabilì in un autorevole report nel 1999 che “i
test non sono perfetti” e che “il punteggio di un test non
costituisce una misura esatta delle conoscenze o delle capacità di
uno studente”.
Infine: “Un problema con l’accountability basata sui test, come
attualmente definita e praticata, è che rimuove tutta la
responsabilità dagli studenti e dalle loro famiglie in merito alla
performance scolastica. [….] C’è qualcosa di sbagliato in questo.
C’è qualcosa di profondamente sbagliato in un sistema di
accountability che trascura i numerosi fattori che influenzano la
performance di uno studente in un test annuale, inclusi gli sforzi
personali dello studente stesso, eccetto quello che un insegnante fa
in classe per un’ora al giorno.” (6)
E’ ancora possibile affermare, come fanno alcuni tra i più
strenui sostenitori dell’Invalsi, che “se Mario Rossi ha fatto il
test della terza media meglio del 60% degli studenti del suo anno e
il test della quinta elementare meglio del 40% degli studenti del
suo anno, la differenza di 20 punti percentuali può essere
considerata come misura del valore aggiunto che lo studente ha
ricevuto dalla sua scuola media” (7), senza considerare la volontà e
gli sforzi di Mario Rossi, la sua determinazione ad apprendere, la
sua crescita personale, il suo sviluppo cognitivo autonomo,
l’impegno e le risorse messe in campo dalla sua famiglia,
l’influenza del gruppo dei pari (la classe, gli amici), il ruolo
degli apprendimenti informali?
Ed è possibile che i nostri decisori politici, gli esperti, gli
accademici più autorevoli, i rappresentanti delle istituzioni e i
membri del Governo possano imporre oggi al sistema scolastico
italiano quello che è stato apertamente dichiarato fallito negli
Stati Uniti proprio da chi l’ha teorizzato e implementato?
Se una delle definizioni di competenza è, secondo Guy Le Boterf, “un
insieme, riconosciuto e provato, delle rappresentazioni, conoscenze,
capacità e comportamenti mobilizzati e combinati in maniera
pertinente in un contesto dato” (8), è mai possibile che la
conoscenza e la capacità di riflettere sull’esperienza di una
soluzione sbagliata al problema dell’efficacia dei sistemi
scolastici non suggeriscano ai nostri esponenti
politico-istituzionali un’onesta retromarcia per non reiterare
l’errore e le sue pesantissime conseguenze?
4) Proposta per una valutazione del sistema scolastico
italiano
Proviamo a utilizzare
una definizione ampiamente condivisa come punto di partenza:
Una valutazione di sistema consiste nella formulazione di un
giudizio di valore espresso su più dimensioni (formative e
organizzative) del contesto scolastico, con l'indicazione della loro
distanza da livelli definiti come ottimali. La valutazione di
sistema ha una natura funzionale e serve principalmente ad orientare
le decisioni di politica scolastica e a regolare l'interno del
sistema.
Bene, se questa definizione è corretta e la assumiamo, occorre:
a) individuare e
definire con chiarezza le attuali dimensioni formative e
organizzative del contesto scolastico italiano, in relazione al
quadro giuridico multidimensionale (stato, regione, enti locali e
autonomia) che lo caratterizza
b) individuare e definire con chiarezza i suoi livelli ottimali, in
termini gestionali e organizzativi, in termini di curriculum e di
obiettivi di apprendimento significativi, in termini di
partecipazione collettiva agli organi collegiali e decisionali
c) individuare e definire con chiarezza le risorse da allocare alle
scuole, tenendo presente dati quantitativi e qualitativi che
garantiscano, a ciascuna secondo i propri bisogni, il raggiungimento
di tutti gli standard di prestazione, organizzativi e formativi
d) individuare e definire con chiarezza gli indicatori e i parametri
che segnaleranno gli scarti
e) individuare e definire con chiarezza le misure compensative atte
a ridurre quella distanza.
I test Invalsi, che continuano ad
essere dolosamente sbandierati in Italia e in Europa come unità di
misura degli apprendimenti da cui sarebbe possibile desumere la
qualità del sistema, la qualità della singola scuola, la qualità
degli insegnamenti, la qualità dei docenti, vanno semplicemente
ridimensionati e relativizzati.
Essi sono uno strumento di rilevazione esterno alla scuola, che può
avere una sua ragion d’essere, in un quadro complessivo di
valutazione di sistema, solo se “i risultati delle prove
standardizzate” saranno “confrontati con la performance degli
studenti così come tradizionalmente misurata dai voti assegnati
dagli insegnanti nel corso dell’anno e negli esami di fine d’anno. I
risultati dovranno altresì essere confrontati con opportune prove
non standardizzate, come già avviene nei test OCSE-PISA. Ciò allo
scopo di effettuare una valutazione basata su più dimensioni che
consenta di non perdere alcuni aspetti fondamentali della nostra
"cultura" scolastica non rilevabili attraverso l’esclusiva
somministrazione di prove standardizzate, quali ad esempio la
verifica della capacità di esposizione orale o di composizione di un
testo, la capacità di esposizione critica e sistematica del proprio
pensiero, la capacità di cogliere ed esprimere i nessi fra più
discipline, la capacità di "produrre" opere complesse.” (9)
E solo se, vorrei aggiungere, insieme alla rilevazione degli
apprendimenti fatta attraverso una pluralità di strumenti diversi,
si promuova una forma di responsabilizzazione e di rendicontazione
sociale delle scuole (basata in primis sull’autovalutazione) che non
generi meccanismi di selezione e competizione tra docenti e tra
scuole (fortemente condizionabili da comportamenti opportunistici,
da nuove forme di discriminazione sociale, da una didattica
finalizzata all’addestramento) ma che riconosca e valorizzi tutti i
processi cooperativi dell’attività educativa, dall’organizzazione
delle attività scolastiche allo svolgimento dell’attività didattica,
al rapporto con le famiglie e con le istituzioni culturali e
sociali. (10)
Una valutazione di
sistema che miri a innalzare il livello generale dell’istruzione e
che abbia come obiettivo reale, e non come puro slogan demagogico,
la valorizzazione del capitale umano deve essere sostenuta da
politiche scolastiche di investimento sulla scuola (e questa è sì
una fondamentale raccomandazione della Comunità Europea, che
definisce l’investimento in istruzione e formazione “un indicatore
globale”), sulla formazione continua degli insegnanti (disciplinare,
pedagogica, psicologica, didattica) e sull’apprendimento permanente
dei cittadini, “essenziale, non solo per la competitività, l'occupabilità
e la prosperità economica, ma anche per l'inclusione sociale, la
cittadinanza attiva e la realizzazione personale delle persone che
vivono e lavorano nell'economia della conoscenza.” (11)
In Italia, il livello di istruzione va incrementato con
l’innalzamento dell’obbligo scolastico e non formativo, anche
attraverso l’introduzione di un biennio unitario (con uno zoccolo
duro di insegnamenti linguistici, umanistici, scientifici e
artistici) e con la riduzione del numero degli alunni nelle classi
più numerose; con la promozione e il finanziamento dell’educazione
prescolastica; con la promozione e il finanziamento del tempo pieno
nella scuola primaria; con la promozione e il finanziamento delle
attività di recupero dei debiti formativi nella scuola secondaria;
con la promozione e il finanziamento delle attività didattiche per
gli alunni disabili o con bisogni speciali; con la promozione e il
finanziamento delle attività didattiche finalizzate alla prevenzione
della dispersione scolastica nelle aree a rischio (12).
Concludendo:
“Se vogliamo migliorare l’istruzione, dobbiamo prima di tutto avere
una visione di cosa sia una buona istruzione […..] Chiunque abbia a
che fare con l’istruzione dei ragazzi deve chiedersi perché noi
educhiamo. In che cosa consiste una persona ben istruita? Quali
conoscenze deve aver conseguito? Cosa ci aspettiamo quando mandiamo
i nostri figli a scuola? Cosa vogliamo che loro imparino e
conquistino durante la loro permanenza a scuola fino al diploma?
Certamente noi vogliamo che imparino a leggere, a scrivere e a far
di conto. Queste sono le abilità di base su cui poggiano tutti gli
altri apprendimenti. Ma non è tutto. Noi vogliamo prepararli ad una
vita sensata. Noi vogliamo che siano in grado di pensare con la
propria testa quando sono nel mondo da soli. Noi vogliamo che
abbiano una bella personalità e che sappiano prendere decisioni
sulla loro vita, il loro lavoro, la loro salute. Noi vogliamo che
affrontino le gioie e le difficoltà della vita con coraggio e con
humor. Noi speriamo che essi siano gentili e compassionevoli nei
loro comportamenti con gli altri. Noi vogliamo che abbiano il senso
della giustizia e della bellezza. Noi vogliamo che capiscano la loro
nazione e il mondo e le sfide che abbiamo di fronte. Noi vogliamo
che siano cittadini attivi e responsabili, preparati a formulare
proposte con attenzione, ad ascoltare differenti punti di vista e a
prendere decisioni razionalmente. Noi vogliamo che loro imparino
scienze e matematica per capire i problemi della vita moderna e
partecipare alla ricerca delle soluzioni. Noi vogliamo che essi
apprezzino il patrimonio artistico e culturale della nostra e delle
altre società.
Ognuno di noi potrebbe allungare sempre di più la lista dei
risultati sperati, ma un punto deve essere chiaro.
Se questi sono i nostri obiettivi, l’attuale,
angusta focalizzazione sul nostro regime nazionale di test non è
sufficiente per raggiungere nessuno di essi .” (13)
Roma, 3 dicembre 2011
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Note
(1) Si legga, al riguardo, la
lettera di M. Tiriticco, “Della valutazione di sistema: come e
perché”, 19/11/2011, in rete.
(2) Roberto Ricci, “La misurazione
del valore aggiunto nella scuola”, in Programma Education Fondazione
Giovanni Agnelli, Working Paper n. 9 (12/2008)
(3) Tra i tanti contributi
sull’argomento, si segnalano Nico Hirtt, “A proposito dell’approccio
attraverso le competenze. Abbiamo bisogno di lavoratori competenti o
di cittadini critici?”, in Solidarietà, anno 4, n. 25, 2003 e
Giorgio Israel, “Sulla questione delle competenze”, in Scuola
Democratica, n. 2 della nuova serie, giugno 2011
(4) Diane Ravitch è Research
Professor of Education alla New York University e storica
dell’educazione, nonché Adjunct Professor of History and Education
alla Columbia University. Dal 1991 al 1993 è stata responsabile
dell’Office of Educational Research and Improvement in the U.S.
Department of Education, sotto la presidenza di George H.W Bush. Dal
1997 al 2004 è stata membro del National Assessment Governing Board,
che sovrintende il National Assessment of Educational Progress, il
programma federale di testing. Sotto la presidenza di Bill Clinton
ha collaborato con il responsabile del Dipartimento dell’Educazione.
Nel 1999 è stata uno dei membri fondatori della Koret Task Force
della Hoover Institution presso la Stanford University: la Task
Force supporta le riforme dell’istruzione basate sul principio dell’accountability.
Nell’aprile 2009 si è dimessa dall’incarico.
(5)
Mi
permetto di rinviare, a questo proposito, alle mie riflessioni sul
test Invalsi d’italiano 2011 per le classi seconde della scuola
secondaria di secondo grado (“Finzioni”, maggio 2011, in rete)
(6) Dal testo originale, non ancora
tradotto in italiano, pp. 152-53 e 163
(7) D. Checchi, A. Ichino,
G.Vittadini, Un sistema di misurazione degli apprendimenti per la
valutazione delle scuole: finalità e aspetti metodologici, proposta
elaborata per l’Invalsi, 2008
(8) Guy Le Boterf, De la compétence:
Essai sur un attracteur étrange, 1990, Les Ed. de l’Organisation.
(9) D. Checchi, A. Ichino,
G.Vittadini, op. cit.
(10)
Angelo
Paletta, La scuola socialmente responsabile. Ripensare i meccanismi
di
accountability nella prospettiva del Bilancio Sociale, Rivista
dell’Istruzione, 6/2007, Maggioli Editore, Rimini
(11) Commissione delle comunità
europee, Un quadro coerente di indicatori e
parametri
di riferimento per monitorare i progressi nella realizzazione degli
obiettivi di Lisbona in materia di istruzione e formazione, 2007
(12) Si leggano, al proposito, la
lucida analisi e la proposta di riforma del sistema scolastico
italiano di Marina Boscaino, Un programma per la scuola, in
Micromega, 7/2011
(11) Diane Ravitch, op. cit,
pp.230-31