IL CASO

Il rebus dell’orientamento:
vocazione e lavoro possono stare insieme?

Gianni Zen il Sussidiario 15.12.2011

Tempo di orientamento scolastico per i ragazzi e le famiglie delle scuole medie, in vista della scelta della scuola superiore. Tempo delicato, sul quale è bene che studenti e genitori, anzitutto, riflettano a lungo, confrontandosi con i docenti delle scuole medie, ma, prima ancora, cercando di toccare con mano, attraverso “laboratori orientanti” e open day, indirizzi ed esperienze di vita e di conoscenza proposti dalle scuole medie superiori. Al di là dei titoli più o meno roboanti dei nuovi indirizzi e delle stesse vetrine delle scuole.

Perchè una cosa va detta, secondo verità: i ragazzi a 13/14 anni, con la scelta della scuola media superiore, scelgono il loro futuro, cioè scelgono la vita. In molti casi, da preside di liceo, parlando ai genitori li stuzzico con un noto proverbio Tuareg: “Fermati un attimo, arrivi prima”. Un invito cioè a pensarci bene, al di là di questo o quell'indirizzo, di questa o quella scuola. E' un passaggio quindi delicato, che va ben ponderato.

Eppure, gli stessi studenti e le loro famiglie sono bombardati da mille informazioni, forse troppe. Ma si conoscono realmente le concrete proposte e le reali prospettive occupazionali? Come esempio cito il dato, raccolto da Alma Laurea, il consorzio che fa capo all’Università di Bologna: il 45% dei laureati - questa la notizia che fa venire i brividi - alla domanda se rifarebbe la stessa scelta a 14 anni dichiara con coraggio l'errore di gioventù. Quanti destini personali bruciati negli anni, e quante reali opportunità di lavoro sacrificate per miopia o poca trasparenza? Perché di fronte a certe scelte, giuste o sbagliate, non si torna indietro, fatte salve rare eccezioni. E a ben poco servono le “passerelle”, cioè i passaggi da un indirizzo ad un altro.

Quanti, nello stesso mondo della scuola, stanno comprendendo la rivoluzione in atto a livello globale, con l'apertura a 360° del mercato del lavoro, tanto che i nostri giovani si troveranno in concorrenza, anche in casa nostra, con ragazzi competenti provenienti dai più diversi Paesi? Ha ancora senso una maturità a 19 anni, se in Europa la si raggiunge a 18 anni? Perché non cancellare, con un decreto condiviso, il valore legale del titolo di studio ed introdurre invece la logica della certificazione? Perché non introdurre limiti alle iscrizioni per quelle facoltà che producono solo disoccupati e code infinite nei concorsi pubblici? Perchè difendere una scuola che, più che “autonoma”, è legata al rischio dell'anarchia e dell'autoreferenza?

Cambiare la scuola, cioè il mondo più conservatore che si possa immaginare, è la prima emergenza del nostro Paese, se vogliamo dare un futuro concreto ai nostri figli. I quali devono sapere da subito che servono oggi competenze certe, spendibili, verificabili, dinamiche. E dico questo conoscendo bene il grande valore della gran parte dei nostri docenti e presidi.

Il cuore della scuola, al di là delle diverse difese corporative fatte passare come “diritti”, è l'orientamento in itinere verso scelte plausibili e cariche di futuro. Un vero servizio pubblico, con al centro lo studente. Un orientamento che superi definitivamente il vecchio pregiudizio, figlio di Leibniz, secondo il quale la cultura deve liberare dal lavoro, denigrando così il lavoro manuale, i laboratori, le officine, le botteghe artigiane, quelle che hanno reso l'Italia il secondo Paese manufatturiero dell'Ue dopo la Germania.

L'orientamento, quindi, va costruito sulla base delle attitudini e dei talenti. Perchè gli errori fatti a 13-14 anni difficilmente potranno essere corretti. Ai ragazzi e ai genitori alcune cose, però, le possiamo dire da subito. Anzitutto, che i risultati scolastici delle scuole medie non possono indicare con evidenza le capacità e l’intelligenza. Perché non sempre i ragazzi hanno incontrato docenti capaci di “entusiasmarli”, facendo emergere cioè le passioni. In secondo luogo, dobbiamo sempre ricordare che le intelligenze sono diverse, e non è detto che le didattiche adottate siano riuscite a cogliere l’“inter-esse” di tutti gli studenti, a mettere a frutto cioè i talenti comunque presenti. Pari dignità, perciò, tra le diverse forme di intelligenza, dunque tra tutti i ragazzi in quanto persone, e tra tutti gli indirizzi di studio, come tra tutte le occupazioni. Senza quelle divisioni radical chic che si continuano a registrare nei conversari e nei giudizi di presentazione di alcune scuole medie: i bravi ai licei, i meno bravi ai tecnici, e tutti gli altri ai professionali e ai cfp. A prescindere dai talenti e dalle attitudini. Snobismo smentito ogni giorno dai dati reali.

Come scegliere, e cosa scegliere, dunque? Un consiglio che mi sento di dare è questo: fare in modo che tutti gli studenti tocchino con mano, negli stages o nei momenti di “scuola aperta”, la realtà di tutte le scuole, senza badare ai pareri dei propri docenti, genitori, amici/che. Di tutte le scuole, non di alcune. Toccare con mano, dunque. Ed una volta toccate con mano, rivedere e discutere, assieme ai genitori e ai docenti, le proprie impressioni. L’importante è non seguire la moda, il vento delle opinioni altrui, idee più o meno ballerine.

Pari dignità vuol dire che tutti gli indirizzi delle scuole superiori sono buoni. E sarà compito di tutte queste scuole fare bene il proprio lavoro. Ma ciò che conta è il futuro dei nostri ragazzi. Senza dimenticare, infine, che ogni scelta andrà poi calibrata, a medio e lungo termine, con quel profilo di “occupabilità” di ogni titolo di studio che è la vera cifra europea del mondo scolastico. Perché non è pensabile che la scelta di un indirizzo di studio venga fatta al buio rispetto al possibile sbocco occupazionale.

Ma questo non deve creare timori eccessivi. Perché la formazione, in qualsiasi indirizzo di studio, implica comunque lo sviluppo delle attitudini, e la prima di queste, cioè “imparare ad imparare” secondo passione, è la migliore spinta alla continua innovazione. Il problema però è a monte: chi sbaglia la scelta a 14 anni, difficilmente tornerà sui suoi passi. Volente o nolente. Ed un 45% (tre anni fa il dato era del 50%) che dichiara che, se potesse tornare indietro, cambierebbe la scelta a 14 anni, ci dice tutta la responsabilità nei confronti dei nostri ragazzi, al di là dei lustrini delle stesse “scuole aperte” organizzate dalle superiori o dai giudizi di orientamento dei docenti delle scuole medie.