IL CASO
Prima di accusare le medie, il Sussidiario 13.12.2011 Di recente la Fondazione Agnelli ha pubblicato un rapporto in cui si afferma che il punto debole della scuola italiana è costituito dallo snodo delle medie inferiori. Questa affermazione sarebbe suffragata da alcune evidenze empiriche che emergono dalle indagini internazionali delle organizzazioni Iea (Timss) e Ocse (Pisa), riguardanti le competenze di matematica e scienze degli studenti nei paesi aderenti a queste ricerche negli anni 2003, 2007 e 2011. a) nell’indagine Timss 2003, gli studenti italiani del IV grado di istruzione (IV elementare) si posizionano sopra la media mondiale (anche se di poco); b) quattro anni dopo (nel 2007), nella stessa indagine la medesima popolazione di studenti si posiziona ben al di sotto del livello medio mondiale degli studenti all’VIII grado di istruzione (la vecchia III media inferiore); c) nell’indagine Ocse 2009, gli studenti italiani di 15 anni si collocano sotto la media mondiale, ma non così tanto quanto nell’indagine precedente. Da tutto ciò emergerebbe che “il punto debole della scuola italiana sarebbe costituito dalla scuola media inferiore”. Purtroppo queste conclusioni risentono di alcuni gravi problemi di tipo statistico, sottovalutati fino ad oggi da tutti i commentatori, ed in particolare: 1. i paesi partecipanti a queste indagini nei diversi anni, sono molto differenti come numero e qualità: un raffronto corretto imporrebbe invece che i paesi messi a confronto fossero gli stessi; 2. l’analisi di questi dati non può essere scissa dalla considerazione dei tassi di scolarizzazione alle diverse età: se i giovani con competenze peggiori non si iscrivono al grado successivo, o sono espulsi dal sistema scolastico, vengono automaticamente esclusi; l’effetto che ne consegue, con tutta probabilità, è che il livello medio di competenze cresce grazie alla loro esclusione. Nel tentativo di mitigare i problemi derivanti dal punto 1., la tabella allegata riporta le competenze di matematica nei 12 paesi che hanno partecipato alle indagini Timss e Pisa nei tre anni indicati. Si riporta inoltre, per ogni paese, l’indice Cpi (Corruption Perceptions Index) che, purtroppo, mostra una forte correlazione con il livelli di apprendimento a 15 anni (correlazione tra ranghi di Spearman pari a 0,91). Dai dati riportati in tabella si vede chiaramente che: a) i paesi dell’estremo oriente (Giappone, Hong Kong e Singapore) si collocano nelle posizioni più alte per tutti i gradi di istruzione; b) la Tunisia si colloca ai livelli più bassi per tutti i gradi di istruzione; c) paesi come Slovenia e Australia, nei quali la qualità degli studenti alle elementari e medie è relativamente bassa, si collocano invece ad elevati livelli a 15 anni: probabilmente in ragione di una forte selezione nell’accesso alla scuola media superiore?; d) paesi come Russia e Lituania, abbastanza forti nella preparazione alle elementari e medie, si collocano a livelli molto bassi a 15 anni: sarà forse l’elevato livello di studi dei genitori (formatisi ai tempi della guerra fredda, quando l’istruzione rappresentava il fiore all’occhiello dei paesi socialisti) a tenere ancora alto il livello degli apprendimenti dei figli nella scuola primaria, mentre ormai la scuola media superiore non deve più preoccuparsi di creare le ottime competenze di matematica necessarie ai tempi della guerra fredda per formare ingegneri e fisici nucleari?;
Per quanto riguarda l’Italia, il dato più rilevante è che questa si colloca in posizione inferiore alla media mondiale per tutti i gradi di istruzione. In effetti qualche preoccupazione in più per la media inferiore può trovare giustificazione nella perdita di posizione (il rango del nostro paese passa da 4 a 2) tra la IV elementare e la III media. Ma il fatto che a 15 anni si risalga a rango 4 non appare elemento decisivo per una condanna della sola media inferiore. La “risalita” di rango dei 15enni può dipendere semplicemente dal fatto che gli studenti che escono con scarse competenze dalla media inferiore tendono a non iscriversi alle medie superiori, nonostante l’obbligatorietà, o ad abbandonare precocemente gli studi. In sostanza, è tutta la scuola italiana che ha grossi problemi di qualità, collocandosi sotto la media mondiale in tutti e tre i gradi di istruzione considerati, per i 12 paesi partecipanti a tutte e tre le indagini. Concentrare l’attenzione sulla scuola media inferiore, rilevando che la primaria sarebbe indenne da problemi di qualità, rischia pertanto di lanciare messaggi che coprono la reale gravità della situazione. La questione della crisi del sistema di istruzione italiano è probabilmente ben più profonda, e assume risvolti di natura etica, politica e culturale: si è infatti di fronte ad un “clima” a dir poco “sfavorevole” per l’apprendimento ed il merito (misurati in maniera oggettiva), mentre tutta l’attenzione è portata verso il conseguimento del titolo di studio, quale mero pezzo di carta, da conseguire a tutti i costi, anche truffaldini. E questo a tutti i livelli, università compresa: basti pensare che il “18 politico”, faticosamente bandito dalle università dopo la sbornia del ’68, è stato da tempo riesumato, con il bene placet di docenti e studenti, sotto forma di “18 Ffo” (più esami positivi si registrano... maggiori finanziamenti si ottengono dal Fondo di Finanziamento Ordinario), con effetti sugli apprendimenti a livello universitario ancora tutti da indagare. Una conferma che il problema della scuola è insieme etico, politico e culturale e non semplicemente di cattiva gestione di un suo particolare comparto (la media inferiore), sta proprio nella forte correlazione tra il grado di corruzione di un paese e le competenze di matematica a 15 anni. Tale evidenza empirica non è stata fino ad ora sottolineata da altri autori, a quanto ci risulta. A questo scopo la tabella riporta, per ogni paese, l’indice Cpi (Corruption Perceptions Index) costruito dall’organizzazione Transparency International: tale indice, purtroppo, mostra una forte correlazione con il livelli di apprendimento a 15 anni (correlazione tra ranghi di Spearman pari a -0,91)(1): questo ci dice molto semplicemente che là dove c’è maggiore corruzione i giovani conoscono meno matematica, e probabilmente non solo quella. Si tratterà di una correlazione “spuria” (cioè non indotta da meccanismi di causa-effetto, ndr)? Non crediamo sia così. Il meccanismo causa-effetto è semplice e perverso: se per raggiungere obiettivi sociali ed economici, singoli o collettivi, non servono conoscenze-competenze, ma raccomandazioni (purché si disponga del titolo di studio adeguato) o, peggio ancora, altro... a che serve studiare matematica? In questo modo, pur restando alto l’interesse per il conseguimento di un pezzo di carta, l’impegno nello studio e nella scuola perde quell’importanza, anche morale, che invece è forte e ben radicata nelle civiltà dell’estremo oriente, guarda caso tra le meno corrotte. Che fare per cambiare la situazione? In attesa che il Paese cambi radicalmente sotto il profilo etico, politico e culturale, molti sono ormai d’accordo sull’opportunità di favorire tale cambiamento con politiche dell’istruzione basate su meccanismi incentivanti. Le recenti riforme ne sono una testimonianza. Ma qui sorge spontanea una domanda: meccanismi incentivanti che non siano fortemente incentrati sull’acquisizione di elevati livelli di conoscenze-competenze (misurate ovviamente in maniera “oggettiva” e non semplicemente certificate da giudizi soggettivi come il voto scolastico o quello negli esami universitari) cosa incentivano di fatto? La crescita delle conoscenze-competenze... o della corruzione? A parer nostro si è di fronte a un problema simile a quello che dovettero affrontare Giovanni senza Terra e Federico II per modernizzare, razionalizzare e ridurre il grado di corruzione nelle rispettive realtà e periodi storici: non a caso uno dei loro provvedimenti fu proprio l’introduzione di unità di misura oggettive. Allora si trattava di birra e di grano, oggi... di conoscenze. Le potenzialità derivanti dallo sviluppo di misure oggettive delle competenze-conoscenze per i diversi livelli di istruzione (università compresa) sono ancora tutte da indagare, ma in questo senso Gori e Vittadini ne hanno già indicate alcune: tra queste il diretto coinvolgimento delle famiglie, in funzione sussidiaria all’attività di controllo della qualità delle scuole, in modo da superare i limiti degli organi di controllo e di valutazione nazionali ed internazionali che, purtroppo, sono destinati ad arrivare sempre troppo tardi rispetto alle reali esigenze del singolo studente, specie di quello che resta indietro e dovrebbe essere riportato prontamente sulla strada della crescita delle conoscenze attraverso interventi mirati e legati alla sua “zona di sviluppo prossimale”. Ma questo apre problemi di natura psico-pedagogica ed organizzativa troppo vasti 2), sui quali non appare opportuno soffermarsi in questa sede, e sui quali si spera possa svilupparsi in futuro un dibattito libero da pregiudizi.
(1) Al di là dei dati relativi ai 12 paesi della tabella, se si mettono in correlazione le misure di conoscenza dell’Ocse rilevate nelle ricerche Pisa, da un lato, con l’indice Cpi si scopre una correlazione molto elevata a livello mondiale (superiore a -0,60), e se si calcola la correlazione tra ranghi a livello dei soli paesi europei, si arriva a totalizzare un -0,90: con Italia e Grecia (guarda caso) agli ultimi posti per la matematica ed ai primi per corruzione. (2) Ad esempio sul problema della composizione ottimale delle classi in funzione degli obiettivi dell’apprendimento: meglio classi omogenee o classi eterogenee? Meglio classi “fisse” come composizione o classi che si formano, di volta in volta anche durante l’anno, in funzione delle esigenze di apprendimento e sviluppo dei diversi gruppi di studenti e del loro livello?
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