Chi ripete l’anno è difficile
che impari la lezione

di A.G. La Tecnica della Scuola, 28.12.2011

Sarebbe molto meglio che il corpo docente attivi azioni mirate a “rimettere in pista” lo studente poco studioso o dal comportamento scorretto: a sostenerlo sono alcuni ricercatori dell'Università di Sydney (Australia), coordinati dal professor Andrew Martin. Dallo studio è emerso che la bocciatura sembrerebbe creare quasi i presupposti per reiterarla. Il motivo? Riduce l'impegno scolastico e la fiducia nelle proprie capacità.

Punire con la bocciatura uno studente poco studioso o dal comportamento fortemente scorretto non è una scelta formativa. Anzi, il ragazzo l’anno dopo avrà quasi sempre un approccio ulteriormente negativo verso i libri, un comportamento più ribelle e maggiori problemi con se stesso. A sostenerlo sono alcuni ricercatori dell'Università di Sydney (Australia), coordinati dal professor Andrew Martin, secondo cui, piuttosto che bocciare gli studenti, sarebbe meglio adottare, nei loro confronti, un approccio educativo basato su azioni mirate, che li aiuti a “rimettersi in pista”.

“Il nostro studio – ha detto il coordinatore della ricerca - dimostra che, al di la' dell'età, del sesso o delle capacità degli studenti, la bocciatura non rappresenta una strategia vincente”. Addirittura, poiché farebbe ripartire lo studente respinto in una condizione psicologica di svantaggio. La bocciatura, insomma, sembrerebbe creare quasi i presupposti per reiterarla.

Dallo studio, pubblicato sul ‘British Educational Research Journal’, è emerso chiaramente che ripetere l'anno non aiuta i ragazzi a ”imparare la lezione”: al contrario, ne riduce l'impegno scolastico e la fiducia nelle proprie capacità. Nel corso della ricerca, condotta su 3261 studenti delle scuole superiori, gli esperti hanno rilevato che non ammettere uno studenti all’anno successivo comporta quasi sempre effetti negativi sia dal punto di vista “prettamente scolastico”, sia da quello psicologico. Dall’indagine è infatti emerso che i ripetenti erano meno motivati rispetto ai compagni, mostravano un interesse minore nei confronti delle attività formative e tendevano ad assentarsi di più dalle lezioni. Inoltre, manifestavano un livello di autostima più basso.

Chissà cosa ne penseranno, di questa conclusione, i fautori delle bocciature educative: potranno continuare a sostenere che fermare un ragazzo comporta un atto di giustizia e un’opportunità di crescita, proprio a seguito dello stop forzato?