LA VISITA

Il flop degli studenti online
«In classe si impara di più»

Indietro in matematica, la metà fatica nella lettura

Alessandra Farkas Il Corriere della Sera, 15.12.2011

NEW YORK — All'ora di pranzo Noah Schnacky non ha voglia di fare gli esercizi di algebra. Seduto sul letto della sua camera, il 15enne della Florida scorre sul monitor del PC la lista di lezioni che deve completare entro il fine settimana, soffermandosi sul corso di geografia. Ma invece di leggere il lungo articolo sulla scarsità di materie prime, decide di saltare subito al quiz a scelta multipla, finché, annoiato e distratto, non scende in cucina a prepararsi uno spuntino. La sua scuola, — tre ore al giorno di liceo online — può aspettare.

Grazie alle leggi varate in una trentina di stati — dalla Virginia al Tennessee — oggi in America ci sono oltre 250mila ciber-scolari come Noah: un incremento del 40% in soli tre anni. È un esercito di studenti che trascorrono l'intero arco scolastico, dal kindergarten alla maturità, senza mai mettere piede in una classe, parlare con un compagno o giocare in una palestra. In Georgia una nuova app permette addirittura di seguire i corsi sull'iPhone.

Ma nonostante l'inarrestabile boom, il bilancio di queste «scuole» senza banchi e lavagne destinate soprattutto ai poveri delle zone rurali è devastante. Secondo uno studio del National Education Policy Center il 60% dei ciber-studenti è indietro in matematica rispetto ai loro coetanei delle scuole tradizionali e il 50% fatica nella lettura. Un terzo non si diploma in tempo; moltissimi si ritirano dopo solo pochi mesi dall'iscrizione.

La condanna corale dei media — dal New York Times al Washington Post al Wall Street Journal — non scoraggia però i suoi artefici. «Il nostro obiettivo è rendere questo tipo di scuola pubblica alla portata di ogni bimbo in America», dichiara Ronald Packard, il 48enne ex banchiere di Goldman Sachs che con Michael Milken, (il Junk Bond King simbolo della avidità di Wall Street negli anni '80) nel 2000 ha fondato la più grande ditta privata di corsi online: K12.

Per assicurarsi l'appoggio di governatori e politici repubblicani (necessario visto che queste scuole online sono pubbliche e dipendono dai finanziamenti statali) Packard ha nominato come presidente William Bennett, ministro dell'educazione con Ronald Reagan. Il risultato è un business da 522 milioni di dollari l'anno (+36% dal 2010) e uno stipendio da 5 milioni di dollari per Packard.

«I bambini valgono soldi», ironizza il New York Times, «siamo di fronte a un vero business che ruba ai contribuenti i finanziamenti destinati all'istruzione pubblica, sovraccarica gli insegnanti di lavoro e abbassa la qualità degli standard educativi». Secondo il quotidiano, per ogni studente il K12 riceve dallo stato fino a 10mila dollari l'anno.

I più arrabbiati sono i ciber-insegnanti. «Spesso abbiamo 250 studenti a lezione e ciò ci costringe a essere meno rigorosi ed esigenti», protestano. Ma all'eccessivo carico di lavoro corrispondono stipendi bassissimi e l'impossibilità di verificare i brogli, diffusissimi, a dar retta agli addetti ai lavori. «Le campagne di reclutamento di K12 sono a dir poco aggressive», punta il dito Jim Buckheit, Direttore Esecutivo dell'Associazione Insegnanti della Pennsylvania, «i loro spot pubblicitari hanno ormai invaso radio e tv e le persone del loro ufficio reclutamento sono pagate in base al numero delle iscrizioni».

Alex Molnar, docente all'Università del Colorado parla di «mercificazione dell'istruzione pubblica». «Queste ditte», teorizza Molnar, «stanno alla scuola tradizionale come le banche americane alle nostre case, durante la crisi dei mutui».