SCUOLA
Dislessia diagnosticata a troppi bambini
Ormai lo sarebbe il 23 per cento, ma, secondo una ricerca
italiana, la quota reale non supererebbe il 4 per cento
Paola Santamaria Il
Corriere della Sera, 16.12.2011
MILANO - Attenzione a
non esagerare quando si parla di dislessia, un problema che non è
legato a deficit intellettivi. La prova? Grandi scienziati come
Leonardo da Vinci oppure moderni geni dell’animazione come Walt
Disney sono stati dislessici. È sulle cifre del fenomeno che occorre
riflettere, perché passando dall’ipotesi di un disturbo specifico
dell’apprendimento (DSA), uno dei quali è proprio la dislessia, alla
realtà dei banchi di scuola elementare negli anni scorsi il quadro
epidemiologico poteva apparire a tinte più fosche di quello che in
realtà si dipinge oggi. «Troppi bambini in Italia sono considerati
dislessici, ma in realtà hanno solo disturbi comuni» è il parere di
Federico Bianchi di Castelbianco direttore dell’Istituto Italiano di
Ortofonologia, che ha presentato a Roma un’indagine condotta
nell’ambito del progetto "Ora sì", promosso dall’associazione di
scuole “Una rete per la qualità”.
UN BAMBINO SU CINQUE - «In
Italia un bambino su cinque presenta disturbi di apprendimento ma
questo non vuol dire che sia dislessico, eppure viene ritenuto tale
ed inserito in un percorso di recupero specifico che rischia di
causargli danni notevoli, avendo in realtà solo disturbi comuni»
sottolinea l'esperto. A far riflettere sono i risultati del progetto
condotto nella capitale, che dimostrano come nelle scuole materne ed
elementari di Roma circa il 23 per cento dei bambini venga indicato
a rischio di Disturbi specifici di apprendimento (Dsa), ovvero con
significative difficoltà nella lettura, scrittura e nel ragionamento
matematico. In realtà, in questa percentuale elevata sarebbero
inseriti anche bambini con difficoltà di tipo minore, definibili
come secondarie o a basso rendimento scolastico, e non come Dsa. Se
si “rifanno i conti” con valutazione particolarmente attente,
infatti, la percentuale dei bambini a rischio cala intorno al 4 per
cento.
LE CIFRE REALI - Le cifre reali
da noi sono insomma più basse rispetto a quanto si osserva nel mondo
anglosassone, anche perché l’italiano è una lingua che meno si
presta allo sviluppo del fenomeno rispetto all’inglese. Lo studio La
ricerca si è svolta svoltasi da settembre 2010 a giugno 2011,
attraverso un’indagine un’indagine condotta su nove scuole
elementari (27 classi di prima e 27 classi di seconda) e sei scuole
materne (25 classi dell’ultimo anno), per un totale di 1.175 alunni:
1.025 delle elementari (535 di prima e 490 di seconda) e 150 delle
materne. Nelle scuole elementari su 1.025 bambini sono risultati a
rischio Dsa solo 41 alunni, contro i 239 potenzialmente individuati.
Grazie al lavoro svolto nell’ambito del progetto, con la grande
collaborazione e competenza degli insegnanti, si è passati da un
bambino su cinque a un bambino su venticinque considerato a rischio.
E solo per 41 piccoli studenti è stata prevista una terapia
specifica per problematiche organizzative e di apprendimento, presso
una struttura esterna alla scuola.
INIZIO TROPPO PRECOCE - Va
sottolineato che tra i 41 alunni c’erano anche 8 cosiddetti “anticipatari”,
cioè bambini precocemente sottoposti a stimoli scolastici in un
momento non adeguato della loro evoluzione. Non considerando questa
specifica popolazione, da 41 giovani alunni si passerebbe a 33 con
Dsa, portando il rapporto da 1 bambino su 5 ad 1 bambino su 31.
Nelle scuole materne, su 150 bambini 39 hanno meritato un’attenzione
particolare. Fortunatamente, però, alla fine dell’anno il numero si
è quasi dimezzato: 19 studenti, uno su sette su 7, hanno presentato
difficoltà organizzative, ma determinate anche da componenti emotive
e quindi recuperabili con percorsi specifici. «Segnalare come
dislessici bambini che in realtà non lo sono comporta due gravi
rischi: sono dirottati su percorsi alternativi come portatori di una
disabilità che non hanno, con oneri economici non sostenibili e
totalmente inutili, mentre il loro problema non solo non verrà
affrontato ma lascerà un vuoto di conoscenze che si ripercuoterà
pesantemente sul loro curriculum studiorum» precisa Bianchi di
Castelbianco.