Pensioni cinque condizioni
per una riforma

Walter Passerini La Stampa, 1.12.2011

Il gioco del cerino è finito e ora che il gioco si fa duro tutti devono giocare. E' dal 1996, con l'avvento della riforma Dini delle pensioni, che è scattato un gioco irresponsabile, quello di trasferire sulle legislature e sulle generazioni future la patata bollente. Ma ora il gioco è cambiato e non c’è più tempo per miopi calcoli elettorali.

Dal mese di gennaio di quell’anno sarebbe dovuta partire una campagna di comunicazione trasparente, che avrebbe dovuto dire a tutti i cittadini che il mondo era cambiato: le pensioni sarebbero state calcolate con il metodo contributivo, molto meno generoso del metodo retributivo. Non solo da allora non vi sono state informazioni adeguate, ma non è stato introdotto uno strumento, come la busta arancione, che avrebbe potuto chiarire ai cittadini il nuovo scenario pensionistico. E’ l’estratto conto individuale dei contributi versati e la simulazione della pensione futura.

Ora, sull’onda dell’emergenza, è obbligatorio correre ai ripari, per evitare il crac, lo sbilancio tra entrate e uscite. Il vizio genetico della riforma pensionistica è quindi l'asimmetria informativa, che se gestita avrebbe innescato un processo trasparente e graduale per una maggiore consapevolezza. Per non cadere in vizi peggiori, è necessario ora affermare che il metodo contributivo deve valere per tutti, ma ad alcune condizioni. La prima è non considerare il debito pensionistico solo dal lato delle uscite ma anche da quello delle entrate. Solo un contabile disonesto può cercare di convincere che tamponando le uscite, trattenendo più a lungo le persone sul posto di lavoro e spostando l’asticella sempre più in là, il problema verrà risolto. Se è vero che non si può fare cassa con le pensioni, allora bisogna fare in modo che i risparmi di una maggiore permanenza al lavoro possano andare a favorire l’ingresso nel mercato di nuove risorse oggi penalizzate, soprattutto i giovani. Solo favorendo nuove assunzioni incentivate di giovani si alimentano nuove risorse, altrimenti i nuovi provvedimenti non avrebbero effetti sul lungo periodo.

La seconda è la guerra ai privilegi, in primo luogo le iniquità del sistema retributivo, che ha permesso a chi meno versava di avere assegni sostanziosi. Non solo i politici, quindi, che versando l’8% prendono il 100%; ma anche gli autonomi, che versando meno del 20% non possono più prendere l’80%. I dipendenti versano il 33% dello stipendio in contributi e questa sarà la base della loro prossima pensione, che dimezzerà il valore dell’assegno. Metodo contributivo per tutti significa incentivare, ed è la terza condizione, la previdenza complementare. Se la pensione pubblica si dimezzerà, si dovrà favorire l’iscrizione ai fondi chiusi categoriali. E chi avrà ulteriore capacità di risparmio, oggi per la verità falcidiato dall’inflazione, integrerà. La quarta condizione è che la riforma delle pensioni è strettamente legata alla riforma del lavoro. E’ necessario disboscare le troppe formule contrattuali che hanno creato il dualismo del mercato del lavoro, tra precari e non. Urge rendere maggioritaria, se non unica, la formula del contratto a tutele crescenti, in cui da subito maturano i contributi. Altrimenti le troppe carriere discontinue e intermittenti non permetteranno di arrivare alla fatidica, e ora messa in discussione, soglia dei 40 anni di contributi, che ha sinora affrancato carriere precoci. Per amor di giustizia su questo punto si vedrà come andrà a finire lo sconto dei tre anni per i cosiddetti lavori usuranti, che nonostante la tribolata legge rischiano di non concretizzare nemmeno questa volta il beneficio. La quinta condizione riguarda le donne. L’allungamento della loro età pensionabile a 65 anni è in corso per il pubblico impiego. La stessa sorte toccherà alle donne del settore privato. Ma anche qui attenzione a far cassa con le pensioni. Già vi è stato lo «scippo» per le donne del pubblico impiego. Ora, i risparmi ottenuti dall’allungamento dell’età pensionabile devono trasformarsi in servizi e agevolazioni per le stesse donne e non andare a tappare i buchi del bilancio. Altrimenti, la fiducia e il consenso necessari quando si chiedono i sacrifici rischiano di incrinarsi.