Il dossier

Caccia al lavoro, studiare conviene sempre

I dati dell'ultima indagine di Almalaurea. Nonostante le difficoltà del mercato e la crisi, la laurea batte nettamente il titolo di studio superiore. Ma l'ascensore sociale funziona solo durante gli studi, poi si ferma

di Emanuele Di Nicola da Rassegna.it, 29.4.2011

In Italia appena il 19 per cento dei giovani – percentuale molto al di sotto della media europea – conseguono una laurea e appena varcata la soglia del mercato del lavoro si trovano già di fronte alle prime difficoltà: risultano poco appetibili per le aziende e mediamente hanno meno possibilità di trovare lavoro in tempi brevi. Insieme all’occupazione scendono anche gli stipendi mentre, al contrario, il lavoro nero risulta in crescita costante. Un quadro tutto negativo? Le difficoltà ci sono, naturalmente, ma resta il fatto che nel nostro paese studiare conviene sempre. L’università continua a pagare: nel tasso di occupazione complessivo il 77 per cento dei laureati ha un lavoro continuativo contro il 66 per cento dei diplomati. La laurea batte nettamente il titolo di studio superiore. È una situazione sfaccettata e complessa quella che emerge dal tredicesimo rapporto del Consorzio AlmaLaurea sulla condizione occupazionale dei laureati, pubblicato a marzo 2011.

Uno scenario in cui convergono diversi fattori: c’è il confronto con l’Europa, che vede l’Italia perdente e lontana dagli obiettivi prefissati a livello comunitario. E poi l’impatto della crisi economica, che ha solo accentuato i problemi di chi studia, ma non è stato il fattore scatenante. Quindi una serie di questioni come le differenze tra le singole facoltà e il ruolo della spesa pubblica, punto trascurato ma strategico per il futuro. Su questi temi sono molti gli equivoci e i luoghi comuni: per esempio l’assunto "laureati senza lavoro o pagati male" rischia di far passare un messaggio sbagliato. Si impone quindi la necessità di fare chiarezza, cercare di leggere tra le righe dei numeri per afferrare la situazione reale, come si evolve negli anni, quali sono i cambiamenti. E, soprattutto, come intervenire e cosa dobbiamo aspettarci domani. Il professor Andrea Cammelli, direttore di AlmaLaurea e docente di Statistica sociale all’Università di Bologna, ci ha aiutato a fare il punto della situazione.

NON È TUTTA COLPA DELLA CRISI. Per i laureati nel 2009 a un anno dal titolo la disoccupazione tocca il 16 per cento per i triennali e il 18 per gli specialistici. Le buste paga si contraggono rispettivamente del 4 e del 5 per cento. Nel 2010 più di quattro laureati brevi su dieci hanno un contratto atipico, tra gli specialistici la quota è il 46,4 per cento. Sono gli effetti della recessione? "La crisi c’entra ma non è una situazione congiunturale – esordisce il professor Cammelli –, la contrazione di occupazione, stabilità e stipendi è in atto dal 2000. Ovviamente nel 2009 si è accentuata, ma va avanti da almeno dieci anni". Il peggioramento delle condizioni come una vera e propria tendenza, dunque: "Per certi versi è molto più allarmante, perché non si lega solo alla crisi finanziaria. Speriamo di non dover usare il termine ‘inarrestabile’". In calo sono anche le iscrizioni a tutte la facoltà: -5 per cento nell’ultimo anno, -9,2 negli ultimi quattro. In questo senso, secondo Cammelli, la riforma del 3+2 non ha funzionato. "C’è stata una crescita delle immatricolazioni – spiega lo studioso –, ma tutto sommato non è stata irruenta, anzi si è rivelata abbastanza contenuta. Oggi invece le iscrizioni crollano per lo scoraggiamento e per il costo dell’istruzione
universitaria". Ma la prima causa è demografica: "Il calo della popolazione ci dice che la riduzione proseguirà anche nei prossimi anni".

MEDICINA MEGLIO DI BIOLOGIA? A prima vista la possibilità di trovare lavoro cambia a seconda della facoltà. Tra gli specialistici che risultano impiegati a tre anni dal titolo – secondo la ricerca – c’è un picco negli indirizzi medico-sanitari (98 per cento), pollice alto anche in quelli economici, statistici e ad architettura (86), esattamente come ad ingegneria (84,7). Altri invece sono in difficoltà: all’ultimo posto gli indirizzi geobiologici (47,1 per cento) insieme alla chimicafarmaceutica (48,5). Allora, meglio fare medicina che biologia? Anche questi dati sono tutti da interpretare. Così Cammelli: "In alcune facoltà c’è l’esigenza di continuare gli studi anche dopo la laurea (come negli indirizzi scientifici, ndr): alcuni ragazzi quindi non cercano lavoro semplicemente perché stanno ancora studiando". Inoltre il divario si riduce con il passare del tempo: a cinque anni dal titolo le differenze sono minori. "Esistono indirizzi più finalizzati, che riescono a realizzare prima le proprie potenzialità – in definitiva –, e poi ci sono facoltà generaliste (lettere, scienze politiche) che offrono al laureato un ventaglio molto ampio di lavori possibili. Questi hanno bisogno di tempi più lunghi per entrare sul mercato".

DIFFICILE CAMBIARE CLASSE SOCIALE. L’ascensore sociale funziona durante gli studi, poi si ferma. Sempre a cinque anni dalla laurea ha un contratto stabile il 73 per cento dei laureati da famiglie ad alto reddito ("borghesi") contro il 68 dei coetanei di nuclei meno abbienti ("operai"). La disparità è anche salariale: i borghesi hanno uno stipendio medio di 1.404 euro contro i 1.249 degli operai. La difficoltà a muoversi nel tessuto sociale, secondo il direttore di AlmaLaurea, non è però dovuta all’università, ma a quello che arriva dopo. "L’ascensore si blocca quando si entra nel mercato del lavoro – questa la sua teoria –. Un mercato dominato soprattutto dalla rete di relazioni, dove le competenze valgono ancora troppo poco". Senza contare che a quel punto una selezione è già avvenuta, dato che non è facile per le classi meno favorite arrivare in fondo al corso di studi. "All’inizio c’è già una differenza che poi si accentua negli anni, soprattutto nelle professioni liberali e nelle carriere aziendali: il vero divario di classe si manifesta in tempi lunghi". Il motivo, come sempre, è di natura monetaria: "Se appartengo a una famiglia agiata – riflette Cammelli –, ho più aspettative e capacità di attesa, posso contare sulla copertura economica fornita dal mio nucleo familiare. Se invece la mia famiglia è umile, accetterò la prima proposta di lavoro che mi viene offerta". In questo quadro va evidenziato anche il ruolo delle aziende: secondo uno studio di Bankitalia un imprenditore laureato assume laureati tre volte più degli altri. "Paghiamo il prezzo di una classe dirigente poco scolarizzata: un capo senza laurea non chiama un laureato per molti motivi, tra cui il timore di perdere il bastone del comando".

STUDIARE È L’ANTIDOTO. Come evidente, nel 2011 la situazione di chi studia nel nostro paese non è esattamente florida. Ma bisogna continuare a farlo. I numeri parlano chiaro: a cinque anni dal titolo il 67 per cento dei laureati ha un lavoro continuativo contro il 37 dei diplomati; il 37 per cento dei primi ha un contratto a tempo indeterminato contro il 18 per cento dei secondi. Anche l’esperto non ha dubbi: "I laureati continuano a lavorare e a guadagnare di più di chi si è fermato prima – dice chiaramente Cammelli –; quindi studiare resta un potente antidoto contro la disoccupazione". Tra l’altro anche il confronto diplomatolaureato cambia molto nell’arco del tempo: se a ventiquattro anni questi possono guadagnare la stessa cifra, negli anni a venire la forbice si allarga fino al 55 per cento in più a favore del laureato. Insomma, una riflessione più approfondita sul valore degli atenei italiani non nasconde certamente i problemi, ma respinge la visione solo negativa che sta passando in questi anni. La laurea avvicina comunque al mondo del lavoro. Ma c’è anche un altro aspetto, che Cammelli ci tiene a sottolineare: è la questione del metodo, l’impostazione mentale, quindi lavorativa, che può giovare ai ragazzi, alle aziende e anche alle università. "L’obiettivo primario è insegnare ad apprendere – conclude –. Se l’università fa passare questo messaggio, per tutta la vita professionale i giovani sapranno adeguarsi alle novità. E quando servirà saranno pronti a tornare in formazione".