A proposito di INVALSI:
lettera aperta di risposta a Maurizio Tiriticco.

Anna Angelucci*, 21.4.2011

Tra "le bordate della destra berlusconiana" e quelle "dell'ultrasinistra che vede in quelle prove la mano del demonio" ci sono decine di migliaia di insegnanti lucidi, equilibrati e raziocinanti che, in queste ultime settimane, stanno esprimendo parere negativo nei confronti delle prove INVALSI, sia sul piano giuridico-formale, sia sul piano pedagogico-culturale.

Le prove INVALSI per la valutazione degli apprendimenti degli studenti della seconda e quinta classe della scuola primaria, della prima e terza classe della scuola secondaria di I grado e della seconda classe della scuola secondaria di II grado sono obbligatorie per l'INVALSI che, dunque, deve provvedere autonomamente alla loro concreta somministrazione, al controllo del loro svolgimento e alla loro correzione in tutte le scuole accreditate, ad eccezione della terza classe della scuola secondaria di I grado dove le prove INVALSI sono parte integrante dell'Esame di Stato, in virtù della legge 176/2007.

Tuttavia, la nota ministeriale 3813 del 30/12/2010 sottolinea la necessità della collaborazione dei docenti "in tutte le diverse fasi della procedura" e il Presidente dell'INVALSI, Cipollone, in una lettera inviata ai dirigenti lo scorso 10 gennaio, specifica che nelle classi prive di osservatore esterno saranno i docenti a "provvedere direttamente alla correzione delle prove, riportando gli esiti su un foglio risposta", aggiungendo altresì che "non vanno tra l'altro trascurati i connessi risparmi finanziari".

Quindi, ricapitolando, l'INVALSI deve obbligatoriamente rilevare gli apprendimenti degli studenti, ma non disponendo di risorse umane e finanziarie adeguate chiede ai docenti, che non sono affatto obbligati a rilevare gli apprendimenti dei loro alunni attraverso le prove INVALSI, di farlo e di farlo gratis o, tuttalpiù, con un piccolo obolo strappato all'ultimo momento dai magrissimi bilanci delle singole scuole. Tutto questo non ci sorprende: la stima del costo complessivo dell'intera operazione, se condotta tutta dall'INVALSI nel triennio 2009 -2011 (materiali stampa e spedizione, somministrazione e correzione), variava da 31 a 81 milioni di euro; i costi di una rilevazione graduale, censuaria, campionaria, quindi con la collaborazione volontaria del personale delle scuole, arriva complessivamente intorno ai 20 milioni di euro: decisamente un bel risparmio! Del resto al MIUR, e quindi per estensione a tutte le sue diramazioni, INVALSI compreso, negli ultimi anni si sono abituati a considerare le spese per l'istruzione solo come uno spreco, e le remunerazioni dei docenti (fannulloni e comunisti) un optional!

Sarà dunque legittimo che i docenti riflettano attentamente sulla questione, che si pongano il problema dell'opportunità della collaborazione richiesta e che formalizzino un loro parere, che a mio avviso non può essere che negativo, in una mozione del Collegio dei docenti, visto che l'intera operazione viene "allocata" internamente alle istituzioni scolastiche?

E ancora.

Che le prove INVALSI per la valutazione degli apprendimenti degli studenti siano uno degli strumenti di valutazione delle scuole (ergo, per metonimia, dei docenti) è un dato di fatto.

E' scritto nella legge 53/2003 e nel d. lgs. 286/2004 che hanno definito il profilo dell'lNVALSI, nonché nelle direttive triennali 74/2008 e 67/2010; è spiegato molto chiaramente nel documento di Checchi, Ichino, Vittaddini (non a caso intitolato "Un sistema di misurazione degli apprendimenti per la valutazione delle scuole: finalità e aspetti metodologici"); è ribadito nei progetti di sperimentazione della valutazione del merito delle scuole proposti quest'anno dal Ministero.

Esse si fondano sul concetto di "valore aggiunto", ovvero sul quid che nella performance dello studente può essere attribuito specificatamente alla scuola e ai suoi insegnanti (al netto del contesto socioeconomico e culturale in cui lo studente vive e di ciò che può essere attribuito allo studente stesso) considerato un indicatore di efficacia.

Il "valore aggiunto" delle scuole superiori si misura dunque su un prodotto parziale, costituito da alcune competenze dell'alunno, di base e disciplinari, attraverso prove oggettive standardizzate, ascrivibili alla modalità del testing e del problem solving, costituite da domande a risposta chiusa e aperta, corrette sulla base di un protocollo pubblico, indipendentemente dal tipo di scuola e dall'indirizzo di studio frequentato o da come e dove si è assolto l'obbligo formativo (sic!).

Tralascio ogni riflessione pedagogica, didattica, professionale e di politica culturale che questa operazione induce!

Dico semplicemente che i risultati delle indagini pedagogiche italiane e internazionali più recenti invitano alla cautela.

Nelle loro analisi sul "valore aggiunto", esse rilevano differenze significative di efficacia tra classi, non tra istituti. Rilevano inoltre una forte correlazione tra rendimento e status socio-culturale e addirittura l'incremento delle differenze di rendimento tra studenti con opposte caratteristiche socio-culturali, il che significa che le scuole inserite in contesti svantaggiati sono già in partenza penalizzate. Mette appena conto notare che nel progetto di valutazione delle scuole proposto dal MIUR l'erogazione del "premio" veniva garantita a una percentuale predefinita di scuole cosiddette "migliori", dunque con una logica esattamente opposta a quella che il semplice buon senso (e l'art. 3 della Costituzione) suggeriscono: dare più risorse alle scuole in difficoltà.

In un sistema di accountability (che la scuola come istituzione, e non come servizio variamente declinabile sul territorio, non può che rigettare), il "valore aggiunto" appare dunque come un indicatore non solo scarsamente informativo ma, direi, fuorviante e iniquo.

Ma la finalità ultima del Governo non è quella di valorizzare e promuovere l'attività didattica nelle scuole, bensì, come è chiaramente espresso nei titoli II e III del d. lgs. 150/2009, attivare un meccanismo punitivo/premiante della performance dei docenti, oggi ancora inapplicato in assenza del previsto decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri.

Del resto, nell'Introduzione alla proposta del MIUR di progetto sperimentale per premiare gli insegnanti si dice esplicitamente che "le azioni del Ministero sono in coerenza con i principi del d.lgs. 150/2009, con particolare riferimento ai sistemi di misurazione della performance".

I nostri sforzi per ricondurre la questione in una cornice pedagogica e culturale appaiono dunque, di fronte a questo, del tutto inappropriati.

Queste sono le ragioni logiche, prima che sindacali, che legano il rifiuto pressochè unanime delle sperimentazioni per la valutazione del merito delle scuole e dei docenti e, oggi, la somministrazione delle prove INVALSI per la valutazione degli apprendimenti degli studenti, obbligatorie per tutti solo negli esami di III media in virtù di una legge, la 176/2007.

E sono tante, generali e particolari. Di metodo e di merito.

Con la sua politica economica e con le sue iniziative legislative questo governo sta distruggendo la scuola statale, sta azzerando il "valore aggiunto" che l'istituzione-scuola ha avuto nel contesto storico-sociale italiano dal dopoguerra a oggi, con un drenaggio di risorse umane e finanziarie che appare irreversibile e che inficia radicalmente le condizioni per la costruzione di qualunque possibile forma di insegnamento/apprendimento dignitosa, articolata, ricca, profonda ed efficace.

Attraverso la progressiva dismissione di un'istituzione garantita dalla Costituzione, si sta violando il principio fondamentale della garanzia delle pari opportunità, del superamento degli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della personalità umana, della possibilità per i giovani di esercitare una cittadinanza attiva e partecipativa e di concorrere al progresso materiale e spirituale della società.

Non possiamo accogliere alcuna proposta di sperimentazione del merito nè di valutazione del sistema che non sia condotta attraverso forme e criteri condivisi e costruiti con i docenti, con le famiglie e con gli studenti; che non sia preceduta da seri investimenti sulla sicurezza degli edifici scolastici e dalla creazione di nuove scuole; che non sia accompagnata da seri investimenti sulle attività didattiche dei bambini e degli adolescenti normodotati e disabili, o non italofoni, o con bisogni speciali, da una drastica riduzione del numero degli alunni per classe e dalla creazione di un organico stabile e funzionale in ogni singola scuola.

Il governo restituisca alle scuole tutto il denaro che ha sottratto con la legge 133 del 2008. Abroghi tutte le riforme, fatte solo per esigenze di bilancio, senza nessuna reale valutazione pedagogica e didattica, che hanno cancellato le migliori esperienze di tutti i segmenti della pubblica istruzione. Rimetta gli enti locali in condizione di provvedere alla sicurezza degli studenti e dei lavoratori e di garantire il diritto allo studio. Respinga i privati nel mercato, fuori da un’istituzione sancita dalla Costituzione.

Poi, quando tutto questo sarà stato fatto, potremo finalmente chiarire di cosa parliamo quando parliamo di valutazione e merito.

Cordialmente
 

*
Anna Angelucci – Coordinamento scuole secondarie di Roma - 21 aprile 2011


Scuola statale a rischio. M. Tiriticco ScuolaOggi, 18.4.2011