Il rispetto che meritano gli insegnanti Sofia Toselli - Presidente CIDI l'Unità, 17.4.2011 A volte tornano e si ripetono. Berlusconi ha detto, anzi questa volta ha scritto, che gli insegnanti della scuola pubblica, ovvero dello Stato, “inculcano” le loro idee agli alunni, contravvenendo ai valori delle famiglie. Detto in altro modo, il premier esorta a diffidare degli insegnanti perché sono tutti, tranne probabilmente quelli delle scuole private, pericolosi sovversivi, post-sessantottini e comunisti. Peccato però che una ricerca del Cidi «Gli insegnanti italiani e la scuola della Costituzione» smentisca la convinzione del premier e della sua maggioranza. L’indagine ci dice che solo il 30% degli insegnanti si colloca a sinistra. Non solo, sono proprio i docenti di sinistra che intendono la professione «come una funzione pubblica con gli obblighi e i diritti dei dipendenti dello Stato». Si smetta perciò di lanciare ingiurie e si accetti il fatto che i docenti italiani sono lontani da ogni ideologia. Si dica piuttosto che sono i meno pagati d’Europa, che lavorano tra mille ostacoli, in scuole spesso fatiscenti, prive di risorse, con scarsi laboratori e insufficiente organico. Una volta per tutte si riconosca che fanno un lavoro faticoso e difficile che avrebbe bisogno di grande considerazione. Oggi non basta più insegnare a leggere, scrivere e far di conto. Bisogna formare persone capaci di muoversi nell’intero spazio culturale tra saperi nuovi e nuove tecnologie, tra tradizione e modernità, tra norme e creatività. E bisogna saper riconoscere la diversità dei caratteri, degli stili e dei tempi di apprendimento di ciascuno. Trovando di volta in volta i modi per valorizzarne potenzialità, per suscitare interessi, dubbi e curiosità. Per abituare ad alzare lo sguardo e a ragionare con la propria testa. Gli insegnanti sanno che la loro azione è positiva solo se produce conoscenza, se induce processi mentali, se spinge verso comportamenti più maturi. Magari più maturi di quelli dei padri. Ci si interroghi su che cosa voglia dire fare scuola a bambini soddisfatti nei desideri materiali, ma lasciati soli di fronte all’irrompere di sentimenti ed emozioni. A ragazzi martellati dal consumismo, dalle mode omologanti, da bisogni indotti, che vivono in una società che li spinge a considerare altri luoghi più desiderabili della scuola, altre cose più appaganti dello studio. E si ammetta che gli insegnanti sono rimasti soli ad affermare i valori della cultura, del rispetto, dell’onestà, del giusto e del bello. A fronte di una società paralizzata dall’incapacità di trovare una via d’uscita al degrado civile ed etico in cui è intrappolata. Basta allora parlare di insegnanti con l’arroganza di chi pensa di sapere tutto, anche di che cosa si fa a scuola. |