Quali motivi per rifiutare Genitori di studenti di Bologna*, 21.4.2011 Da anni ormai sentiamo parlare di test INVALSI e almeno una volta i nostri figli ne sono stati coinvolti senza che noi riuscissimo a capire esattamente di cosa si trattasse. Anche quest’anno le prove attendono al varco gli alunni e le alunne di seconda e quinta elementare, prima media e, per la prima volta, della seconda superiore, nelle giornate del 10-11-12-13 maggio. Per questo abbiamo cercato di approfondirne la conoscenza a livello personale, ci siamo confrontati e abbiamo deciso di evidenziare il nostro punto di vista critico di genitori che si rivolgono soprattutto ad altri genitori.
Nessuna informazione alle famiglie. Il primo eclatante punto critico è l’assoluta mancanza di informazione alle famiglie: dei test non ci sono mai stati comunicati il contenuto, le modalità esecutive e le finalità, al contrario di quanto avviene normalmente per tutte le attività programmate dagli insegnanti e dalla scuola. Gli insegnanti stesse si sono presentate come semplici esecutori di compiti prescritti dall’esterno. Negli anni passati abbiamo appreso che il momento della “somministrazione” (già il termine ci colpisce, non fa parte delle parole utilizzate a scuola, sembra alludere a una medicina o ad un esperimento) fosse strutturato nel dettaglio in modo molto rigido da un apposito manuale (peggio di un concorso) arrivando ad impedire l’accesso al bagno anche ai bambini di seconda elementare durante lo svolgimento delle prove. Niente di più estraneo - per fortuna - alla normale pratica scolastica, tesa ovviamente a favorire il benessere e la serenità dei bambini durante lo svolgimento delle attività. Come è stato possibile che ciò avvenisse senza che nessuno sentisse il dovere o l’esigenza di informarci? Cosa accadrebbe normalmente se i nostri bambini in seconda elementare ci dicessero che le maestre non li fanno uscire per andare in bagno?
Nessuna richiesta di autorizzazione dei genitori, e nessuna tutela della privacy. I test riguardano gli apprendimenti di italiano e matematica, ma sono affiancati da un questionario in parte compilato dalle segreterie in parte sottoposto direttamente agli studenti. Vengono raccolte informazioni su nazionalità, livello di istruzione e occupazione dei genitori, orario settimanale della classe frequentata, frequenza o meno dell’asilo nido e della scuola dell’infanzia ecc, ma anche, chiedendolo direttamente agli studenti, sulle risorse disponibili in famiglia – numerosità di libri, disponibilità di un aiuto nei compiti per casa, lingua parlata a casa. Tali domande possono porre i bambini e ragazzi in situazione di difficoltà e mirano a delineare un profilo dello status sociale dell'individuo che comporta una invasione da parte dell'Amministrazione nella sfera della vita privata della persona. E’ davvero incredibile che ci venga chiesta l’autorizzazione per qualsiasi tipo di attività proposta dalla scuola, anche una foto di classe, e poi, nel giorno delle prove invalsi gli alunni già dalla scuola primaria siano sottoposti a questionari sulla loro vita familiare senza che i genitori ne siano preventivamente informati. Nessuno di noi poi sa quali siano le modalità di trattamento e conservazione dei dati raccolti né le misure di sicurezza adottate, ma soprattutto siamo privati della facoltà di non aderire all’iniziativa perché veniamo semplicemente scavalcati. I bambini hanno il diritto di essere tutelati dalle interferenze tipiche dei questionari, nessun dirigente o insegnante si permetterebbe di sottoporre gli studenti a questionari senza autorizzazione dei genitori, ma per i test INVALSI ciò avviene e gli stessi dirigenti lo accettano. Nella giornata dei test le normali regole non vengono più utilizzate, nella scuola subentra una entità esterna che detta le nuove regole e sembrerebbe avere l’autorità di zittire tutti dirigenti, insegnanti e genitori. Noi siamo ovviamente l’ultimo anello della catena, quello cui nessuno ritiene doveroso fornire neppure un qualche tipo di informazione.
La scuola dei quiz Nel merito delle prove abbiamo potuto constatare che si tratta di prove standardizzate elaborate quasi interamente sotto forma di domande a risposta chiusa. Per ammissione degli stessi esperti dell’ Invalsi, si limitano a valutare competenze operative semplici, tralasciando le abilità complesse come l’esposizione orale, l’elaborazione di un testo scritto, le capacità critiche, la organizzazione logica dei propri pensieri, la capacità di stabilire relazioni tra conoscenze di ambiti diversi, le capacità creative. La pretesa di valutare in modo oggettivo i risultati di apprendimento finisce così per restringere drasticamente il campo dei comportamenti cognitivi che abitualmente sono invece oggetto di osservazione, potenziamento e valutazione nella vita scolastica. Noi siamo contrari a questo immiserimento dell’esperienza scolastica. I test sono del tutto indipendenti dal contesto didattico-educativo e proprio per questo non tengono conto dei percorsi di programmazione personalizzata pensati in relazione alle esigenze specifiche dei singoli alunni. Che valore possono avere le valutazioni “oggettive” se misurano una porzione così ridotta dell’esperienza dell’apprendimento peraltro senza tenere in alcun conto le differenze di contesto tra scuole e alunni diversi (lo stesso test di matematica ad esempio sarà proposto ad alunni degli istituti professionali e del liceo scientifico)?
Come si valuta una buona scuola? L’Invalsi è un ente autonomo che ha come finalità quella di “valutare l’efficacia ed efficienza del sistema scolastico”. La valutazione dell’operato dei docenti e delle scuole viene spesso recepita dalle famiglie e propagandata dai media come una istanza di trasparenza e giustizia, ma sarebbe opportuno chiederci di cosa stiamo parlando. Proprio le esperienze più apprezzabili e significative dell’insegnamento quali i laboratori, le uscite didattiche, gli approfondimenti disciplinari nonché il quotidiano e oscuro lavoro di ascolto e sperimentazione degli specifici stili di apprendimento di ogni alunno, delle sue potenzialità specifiche, delle sue passioni e motivazioni, la capacità di coinvolgere e motivare, tutto ciò che per un genitore risulta essenziale per valutare la scuola è assente dal campo di indagine. Al contrario lo spazio del giudizio viene interamente occupato da prove standardizzate per misurare saperi standardizzati. Non è su questo che vogliamo valutare le scuole e gli insegnanti. Noi vogliamo vedere cosa viene proposto ai nostri figli, come vivono la scuola e cosa imparano, vogliamo valutare la concreta esperienza di apprendimento nel senso più largo e ricco possibile, non ci interesse conoscere l’esito di astratti test standardizzati. Ogni insegnante segue uno stile di insegnamento personale e svolge le attività che ritiene più opportune ed efficaci, la ricchezza della scuola sta proprio in questa diversificazione delle esperienze e nella collaborazione tra insegnanti, non vorremmo davvero che in nome della valutazione e dei quiz la ricchezza dei diversi approcci personali scomparisse per una pratica di insegnamento uniformata, ripetitiva e tecnico-nozionistica. Prove standard, insegnamento standard. Se la scuola viene valutata attraverso questi strumenti siamo piuttosto preoccupati che essa si trasformi in un campo di addestramento per il superamento dei test. Se questa è la valutazione della qualità che ci è proposta molto meglio evitarla e magari pensare alle risorse che garantiscono realmente la qualità. Tutte le volte che ci parlano di valutazione e merito invece arrivano solo tagli, in questi anni in cui il progetto Invalsi è continuato ad andare avanti abbiamo assistito ad una gigantesca riduzione della spesa destinata alla scuola, riduzione del tempo scuola, delle compresenze, dei laboratori, della possibilità di mettere in atto quella diversificazione di proposte didattiche che fa la qualità della scuola. Siamo noi genitori a saperlo, anche se nessun istituto nazionale di valutazione se ne interessa.
A cosa servono i test Invalsi? La domanda sorge spontanea. Se non appare credibile che tali test misurino veramente la qualità della scuola perché si spendono soldi per farli? Abbiamo appreso che il Ministero ha lanciato in autunno il “progetto sperimentale di valutazione delle scuole” in alcune province italiane. La sperimentazione prevede di utilizzare l’esito dei test per stilare una graduatoria tra scuole assegnando un premio di 70.000 euro a quelle risultate migliori . Tale progetto indica in modo inequivocabile quale sia l’utilizzo previsto dei test invalsi e il modello di scuola che si vuole introdurre. Le scuole migliori avranno premi e in prospettiva più iscritti, mentre le altre verranno lasciate nell’abbandono. La concorrenza economica diventerà il cuore del sistema scolastico e ci saranno le scuole di serie A e B. Altro che valutare il sistema! Questa è piuttosto una sovversione del principio che la scuola pubblica deve garantire a tutti, in qualsiasi luogo e condizione, le stesse opportunità e la stessa qualità. Assegnare premi a quelle con i risultati migliori costituisce proprio il contrario di ciò che una scuola democratica dovrebbe fare. Non va, inoltre, dimenticato che gli stessi contenuti dei test possono essere usati per manipolare e/o veicolare ben precise ideologie; le domande (per i contenuti scelti, per come sono poste, per la qualità delle risposte proposte), possono indirizzare verso ben precisi modelli culturali (come già avvenuto negli anni scorsi con un testo sconcertante in cui il modello patriarcale veniva proposto come caratteristica biologica che differenzia mammiferi e insetti). Ci sembra che la possibilità di preparare test arbitrari, da sottoporre contemporaneamente a decine di migliaia di studenti su tutto il territorio nazionale, possa rappresentare un accentramento di potere troppo forte, poco trasparente e sicuramente non in linea con il modello di scuola che abbiamo in testa, una scuola che favorisca lo sviluppo delle capacità critiche e la capacità di leggere il mondo da soli.
Tante buone ragioni per cercare di opporci nei giorni dei test Se i test costituiscono il metro per valutare le scuole e assegnare premi l’effetto non potrà che essere quello di sollecitare le scuole ad adeguarsi al modello proposto, la finalità sarà quindi ottenere risultati buoni per avere più finanziamenti e farsi un nome. Come potremo aspettarci che gli insegnanti facciano scrivere i nostri figli, se la scrittura non è oggetto di valutazione dei test? Dobbiamo rassegnarci alla didattica delle crocette? Dobbiamo far finta di non vedere che essa è la più “economica” per chi deve correggere così come per chi deve eseguire? Dobbiamo far finta di non vedere che elaborare ed esprimere un pensiero è a qualsiasi livello una operazione diversa dalla risposta a una domanda in forma di quiz? A quando la richiesta che gli alunni in difficoltà stiano a casa il giorno delle prove o l’intervento diretto degli insegnanti per migliorare la performance della scuola e ottenere più fondi? La scuola che ci aspetta sarà comunque una scuola peggiore per tutti, tarata su obiettivi bassi. La procedura di sottoporre tutti gli studenti a questi test per gestire i dati di una gigantesca anagrafe che permetta di distinguere scuole e magari anche insegnanti di serie A o B è un attacco alla scuola pubblica democratica, alla scuola pubblica aperta e pluralista dove tutti abbiano gli stessi diritti e ciascuno possa sperimentare il suo personale percorso di apprendimento: la scuola di tutti e di ciascuno. Dietro l’ideologia della valutazione e del merito vediamo affermarsi qualcosa che non ha nulla a che fare con il nostro criterio di giudicare ciò che si fa a scuola. Non sarebbero certo le scuole e gli insegnanti per noi migliori ad essere premiati, magari avverrebbe il contrario. I test servono per introdurre un modello privatistico e competitivo, dove le scuole e magari anche gli insegnanti si faranno la guerra anziché cooperare. E’ già successo che singole scuole abbiano usato i risultati dei test per farsi pubblicità sui giornali, vorremmo sperare di non dover scegliere in futuro la scuola per i nostri figli come si compra un prodotto in un supermercato.
Nei giorni previsti in tutta Italia per la “somministrazione” – 10,11,12,13 maggio – poteremmo anche noi dare il nostro segnale di dissenso dichiarare che non autorizziamo i nostri figli a partecipare ai test e chiedere che venga svolta la normale attività didattica.
Alcuni genitori di studenti che frequentano le scuole pubbliche “di ogni ordine e grado” di Bologna (GenitoriNOinvalsi@gmail.com)
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