Voucher, scuole pubbliche e molto altro
Perché la Gelmini non valuta di Giorgio Israel l'Occidentale, 26.4.2011 Pochi giorni fa è stato annunciato un nuovo programma del Presidente americano Obama che prevede “buoni-scuola” (o “voucher”) per le famiglie di Washington che vogliono mandare i loro figli negli istituti privati - soprattutto di ispirazione religiosa - anziché in quelli pubblici. È stata una concessione ai repubblicani (in maggioranza alla Camera) che difatti hanno considerato questa come una importante vittoria simbolica, mentre i democratici si sono infuriati. Difatti, dietro questa faccenda si cela anche una battaglia ideologica. Il conflitto ha poco a che fare con la qualità, in quanto le scuole private accessibili con i voucher (che non possono superare il contributo federale di 7500 dollari) risultano alla pari, nelle valutazioni, con quelle pubbliche. In realtà, mentre i repubblicani preferiscono gli istituti privati, inclusi quelli religiosi, i democratici hanno più simpatia per le scuole pubbliche, i cui insegnanti sono in maggioranza progressisti e sindacalizzati. Ricorda qualcosa tutto ciò, pensando ai fatti di casa nostra? Ma il nuovo guru dell’istruzione, l’ingegnere Roger Abravanel, in un esilarante video disponibile sul sito del Corriere della Sera (http://video.corriere.it/voucher-pagarsi-scuola-serve-o-no/37f586e4-69da-11e0-890a-a1e6d714ad88: meglio vederlo prima che venga eliminato), spiega che non abbiamo capito un acca. Alla domanda del perché il Presidente del Consiglio Berlusconi abbia parlato di concedere voucher per consentire alle famiglie di accedere alle scuole private, ha spiegato che i voucher non si danno per andare nelle scuole private («quelle uno se le paga di tasca propria», ha osservato), bensì per scegliere tra le scuole pubbliche… Sì, avete sentito bene. L’esimio esperto dell’istruzione non sa che le scuole statali sono gratuite e quindi una famiglia italiana di un voucher non saprebbe cosa farsene. Tutt’al più si potrebbero eliminare del tutto i vincoli territoriali, che già sono largamente allentati, ma l’idea di un genitore che si presentasse con un voucher di 3000 euro per iscrivere il figlio nel tale liceo classico anziché in un altro potrebbe essere materia di una barzelletta per i libretti di Geronimo Stilton. Ma l’ingegnere insiste. La sua idea è questa: la famiglia scopre che nel tale istituto la matematica si fa bene – in quanto i test dell’ingegnere l’hanno rivelato – e allora va a “spendersi” il voucher in quella scuola… Non solo: ha aggiunto che all’estero fanno tutti così… Si vede che Obama si è rimbecillito per le troppe telefonate con Berlusconi. Ma come mai Berlusconi ha avuto l’idea tanto balzana dei voucher da spendere nella scuola privata? Perché – spiega l’ingegnere con un sorrisino allusivo – le scuole pubbliche sono tutte di sinistra e poi non sono di orientamento cattolico, e quindi… Ma qual è il vero problema? È che gli italiani, come Berlusconi, sono rimasti a un’idea primordiale, e cioè che i figli «si mandano a scuola per imparare le idee degli altri». Ma questa – dice sempre il Nostro – è roba di cinquant’anni fa. Oggi la scuola non serve più a imparare le idee degli altri, ma a insegnare ai giovani a ragionare con la propria testa e a produrre le proprie idee. «Questa rivoluzione è cambiata», ha proclamato (voleva dire “è avvenuta”, un classico lapsus freudiano), ma noi qui in Italia siamo rimasti ai tempi di Checco e Nina. Invece, l’ingegnere – cui lo sforzo di una simile pensata rischia di produrre calvizie – ci spiega che la storia dell’umanità ha subito una rivoluzione epocale. Platone e Aristotele, dopo aver appreso le idee degli altri – è noto che Platone altro non era che il megafono di Socrate – le trasmettevano ai poveri studenti delle loro accademie che le imparavano a memoria. Cartesio era soltanto in apparenza il filosofo del metodo – non vi ingannate – bensì un cervello riempito con l’imbuto che riempiva le idee degli altri. E così Galileo e Newton. Per non dire di Einstein, che frequentò ignobili scuole trasmissive e, difatti, si limitò a ripetere le idee altrui. Per secoli, dalle università medioevali alle scuole pubbliche della riforma Ferry, generazioni di pappagalli hanno afflitto l’umanità. Ma ora, come aveva già proclamato l’ingegnere, profeta della scuola del futuro, «non conta più imparare le idee di un altro, ma esser capaci di avere proprie idee», del che nessuno è stato mai finora reso capace. Già, nell’occasione di quella dichiarazione, commentai trattarsi di una sciocchezza talmente grande, una manifestazione così clamorosa di ignoranza della storia della cultura e della scienza da non meritare commenti. Chi l’ha detta dovrebbe per primo sottoporsi a valutazione meritocratica, e di certo il risultato sarebbe devastante. Casomai, si dovrebbe concluderne che questa è un’epoca di singolare incapacità di avere idee originali e sensate se siamo costretti a prendere sul serio affermazioni simili. Ma torniamo al nostro video, perché l’ingegnere non si è fermato qui, bensì ha spiegato anche che cosa sia una scuola eccellente. È una scuola i cui insegnanti sono eccellenti, e questa eccellenza si rileva con i test, quelli che lui ha suggerito di somministrare alla scuola italiana e che presto mostreranno se siamo andati avanti o indietro (non dubito che dopo il 10 maggio ci sentiremo dire che la cura Abravanel ha già prodotto i suoi effetti positivi). Dei test ci occuperemo a parte. Ma, per ora, dobbiamo rilevare che il nostro rivoluzionario qui inciampa vistosamente. La sua rivoluzione rimane a metà ed egli appare non sapere quel che noi – miseri reazionari gentiliani dalla testa a forma di imbuto a due canne, una per l’entrata e una per l’uscita – sappiamo da un pezzo: e cioè che l’eccellenza proprio nel senso da lui predicato, non la fanno gli insegnanti. Anzi! Per realizzare l’autoformazione, la capacità di pensare con la propria testa, gli studenti debbono essere assistiti da un “facilitatore” e non da un “insegnante”, tanto meno da un insegnante eccellente, che di certo avrà il vizio di inculcare le proprie idee, magari a memoria. Perciò, sfugge all’ingegnere un comandamento fondamentale della teoria dell’autoformazione, e del paradigma delle “teste ben fatte e non ben piene”: l’insegnante deve essere sostituito da un facilitatore e, come proclamò un teorico di questa pedagogia, «la parola insegnare deve essere cancellata dal vocabolario». Concludiamo con un’osservazione “politica”. Questa vicenda è un paradigma di due aspetti: la miseria culturale di un certo mondo confindustriale e il modo di governare del centrodestra. Quanto al primo aspetto, è desolante che quel mondo confindustriale pretenda di dettare legge circa il modo di riformare l’intero sistema dell’istruzione e poi si affidi a simili “esperti”, patrocinandoli presso il governo. Per parte sua, il governo li recluta supinamente e si mette nella posizione incomoda di realizzare le loro sgangherate ricette e di subirne le conseguenze. Il peggio del peggio è che questi “esperti” non soltanto non hanno alcuna prossimità o simpatia politica con il governo che generosamente conferisce loro posizioni di controllo, ma sono veri e propri nemici. Si guardi quel video, prima che qualcuno lo cancelli – per parte mia, l’ho prudentemente registrato, casomai si dicesse che quelle parole non sono state mai pronunciate –, e si osservi tutta la prosopopea antigovernativa che esso esala, assieme a un disprezzo supremo per l’imbecillità di quei milioni di italiani che seguono il governo e che credono che i voucher si diano per scegliere le scuole private e che si pongono miserabili questioni di orientamento culturale o religioso. Gli americani questi errori non li fanno mai: sono pura razionalità. Dobbiamo piuttosto essere felici di aver avuto il dono di “esperti” venuti a raddrizzare le gambe di questo paese disgraziato a base di test, di voucher per le scuole statali e della rivoluzione epocale del pensar con la testa propria. |