Franco Della Peruta: "Messo all'indice?
E' la prima volta"

Al suo manuale vengono contestati i giudizi su Togliatti «uomo politico
intelligente e duttile» e quello su Berlinguer: «profonda onestà morale»

di Maria Serena Palieri l'Unità, 13.4.2011

Accademico dei Lincei, considerato lo studioso maggiore del nostro Risorgimento, 87 anni a giugno, Franco Della Peruta è autore con Giorgio Chittolini e Carlo Capra de La Storia (Le Monnier), uno dei subdoli testi che sarebbero in apparenza manuali scolastici in realtà materiale agit-prop, che la pattuglia pidiellina vorrebbe far scomparire dalla scuola pubblica. Dopo un sessantennio di studi sull’amato Mazzini, su Cattaneo (letto in chiave antileghista), su donne e operai (la storia «vista dal basso») si è concesso il manuale, nel 2003, quasi a ottant’anni: «Un po’ per sollecitazione degli editori. E perché, sulla base di studi accumulati, pensavo di poter fare una cosa non indecorosa » spiega con understatement.

Professore, le era già capitato di essere messo all'indice? E che effetto le fa?

«Che io sappia è la prima volta. Resto tranquillo, come prima». Le censurano il giudizio su Togliatti «uomo politico intelligente, duttile e capace di ampie visioni generali» e su Berlinguer «uomo di profonda onestà morale e intellettuale, misurato e alieno alla retorica».

Lei, oggi, li confermerebbe?

«Parola per parola». Anche De Gasperi «statista formatosi nel clima della tradizione politica cattolica» non è gradito. «È una verità storica. Ed era una valutazione positiva». Strano che non piaccia, visto che Berlusconi stesso si è paragonato più volte a De Gasperi.

Ma veniamo al problema di fondo: lo storico può essere obiettivo?

«Può esistere un’onestà intellettuale. La realtà storica, però, è quella che si forma nella mente dello storico, quindi è soggettiva. Benedetto Croce riassumeva così, magnificamente, la questione in napoletano: “la storia è la capa dello storico che ce sta ‘rentro”.

L’obiettività assoluta non esiste, la questione è sempre quella di un equilibrio tra informazione e conoscenza». La storia è scienza?

«Sì. Non è fantasia, non è opera poetica, lirica. Poggia su documenti. Ma anche la scienza è soggettiva».

Negli ultimi anni alla scuola sono arrivate sollecitazioni crescenti perché si studiasse il Novecento. Fare storia di un’epoca che si è vissuta in prima persona crea problemi di obiettività maggiori?

«No, perché la storia è sempre narrazione di un passato. E che sia il ‘600 o il 1948 il metodo resta quello».

Dal 1994 i manuali scolastici di storia hanno ricevuto ricorrenti attacchi. Perché, a suo parere?

«Storia e scuola sono due grandi agenzie formative. Insegnare storia non è come insegnare latino o matematica: insegni un modo di ragionare, trasmetti dei parametri intellettuali. E, quindi, la politica ha per la storia un’attenzione privilegiata».