Perchè gli insegnanti tornano a fare paura L'ultimo caso è quello sui libri di testo "troppo partigiani". Ma gli attacchi all'insegnamento tolgono autonomia e centralità al sistema educativo Stefano Bartezzaghi e Maripia Veladiano la Repubblica 14.4.2011
LA CAMPAGNA di primavera contro la scuola italiana ha un bersaglio
principale: l’insegnamento e i professori. Dall’attacco
all’educazione pubblica accusata di “inculcare nei ragazzi dei
principi che sono il contrario di quelli che i genitori vogliono
inculcare ai propri figli” fino all’ultima proposta dei deputati Pdl
che invocano una Commissione parlamentare che valuti l’imparzialità
dei testi scolastici adottati perché molti, oggi, “plagiano i
giovani” è evidente che sono gli insegnanti a fare paura. E che in
questo modo si cerca di spezzare quella preziosa alleanza tra
docenti, famiglie e ragazzi che spesso ha fatto delle aule
scolastiche una sorta di laboratorio delle differenze culturali.
Così colpire la figura dell’insegnante vuol dire, paradossalmente,
enfatizzare il suo ruolo di solitario artefice della cultura,
dall’altro, implicitamente, isolarlo sotto la lente di
un’osservazione sociale e politica minuta, moltiplicata,
asfissiante. Uno sguardo che non è complice e collaborativo, ma
indagatore e giudice. Non stiamo parlando di un carrozzone parastatale, di un ente inutile. Stiamo parlando della scuola, la principale agenzia culturale della Nazione. Il suo compito è fondamentale: fornire a ogni cittadino l'attrezzatura per intendere, comprendere ed elaborare personalmente tutto quanto gli verrà detto, o già gli è stato detto altrove (in famiglia, o anche nei libri di testo). La scuola non insegna giudizi: insegna a giudicare. Senza l'autonomia da qualsiasi ordine superiore, l'insegnamento diventa quello che la destra mostra di credere sia già: una forma laica (troppo laica) di catechismo. La cultura, però, non è una dottrina: la minaccia che porta è casomai nella sua efficacia di antidoto antidottrinario. Tutti gli intellettuali, comunque votino, lo sanno: infatti gli intellettuali di destra si tengono lontani da questa questione, in cui sono sempre e soltanto i politici ad accanirsi. Da quando, era il 2000, il presidente della Regione Lazio Francesco Storace inaugurò la polemica sui libri scolastici «troppo marxisti», l'idea (molto sovietica essa stessa) di una «Commissione» che valuti l'idoneità dei testi è ritornata, per esempio in dichiarazioni di Maurizio Gasparri. Quel che rende più serio e preoccupante il suo attuale rilancio è che avviene a poco più di un mese dalla polemica contro «la scuola di Stato, dove ci sono degli insegnanti che vogliono inculcare princìpi che sono il contrario di quelli dei genitori» (Berlusconi, 28/2/2011; corsivo nostro). Data la pregnanza strategica e comunicativa di certi palleggi, non pare trascurabile la circostanza per cui il tema è stato ora sollevato da due collaudate componenti dell'inner circle berlusconiano. Prima da Gabriella Carlucci, che è membro della Commissione Cultura e Istruzione della Camera («Testi politicamente orientati, finalizzati a plagiare le nuove generazioni»), poi da Mariastella Gelmini, la ministra competente, che lo ha ripreso il giorno stesso («Il problema esiste»). Lo schema deputato-ministro ha già preannunciato diverse altre campagne, specialmente nel campo della Giustizia. Si configura, insomma, un salto di qualità. Il problema non è il prevalere di un argomento storico sull'altro, con dosaggi (per esempio tra foibe e Lager) ritoccati a ogni cambiamento di maggioranza, almeno sino a quando, in questo Paese, le maggioranze cambieranno. Il problema è l'idea stessa del dosaggio: di poterne imporre uno, o anche solo di discuterlo. Provenendo poi non da estremità propagandistiche e pirotecniche ma dall'interno delle tecnostrutture politiche impegnate nella legislazione e nell'amministrazione si può immaginare quanto maggiore effetto facciano simili affermazioni sugli interessati. Nuove prospettive si aprono a quegli studenti e a quei genitori che usano accogliere le meritate insufficienze con lo spirito di miglioramento recentemente dimostrato in altro campo da Zlatan Ibrahimovic. Non l'ha detto anche il Governo e il Parlamento, che non è giusto studiare su testi che elogiano la Resistenza o la presidenza di Oscar Luigi Scalfaro? Non è stato lo stesso Presidente del Consiglio a suggerire alla famiglia di correggere la scuola, ai genitori di controllare che i «princìpi» inculcati dai professori non siano diversi dai propri? Per rottamare la scuola come agenzia culturale basta mortificarne l'autonomia, magari dichiarando l'intento di restaurarla. Se guardiamo all'insegnamento come a una tecnica per imprimere un calco solido in una materia duttile, e così formarla (questo il significato originario del termine «inculcare»), distruggiamo il significato vero, e prezioso, della relazione di insegnamento. Sarebbe come pensare di ridurre l'eros allo stupro, la comunicazione alla propaganda, il governo al comando. |