Scuola e università Giovani, carini e disinformati di Paolo Balduzzi e Emanuela Rinaldi La Voce.info, 26.4.2011 L'alfabetizzazione finanziaria dei giovani è un problema serio. Ed è la scuola che se ne deve occupare. In primo luogo, perché la famiglia non appare oggi preparata a fornire alle nuove generazioni un supporto educativo completo in questo ambito. Ma anche perché si registra un crescente interesse verso l'economia e la finanza tra i ragazzi che partecipano a progetti con modalità didattiche basate sulla partecipazione attiva e su esperienze percepite come reali. I risultati di una ricerca sui preadolescenti.
Il paradigma
tradizionale economico ipotizza
consumatori informati e consapevoli delle
conseguenze delle proprie azioni. Tuttavia, da più parti si lamenta
e si documenta il
fallimento di tale
ipotesi: molti consumatori sono incapaci di valutare attentamente le
proprie scelte in tema di investimenti finanziari, consumo (con
tendenza al sovra-indebitamento), risparmio previdenziale, o anche
solo di variazione del proprio potere d'acquisto.
(1)
Questa "ignoranza finanziaria" ha evidenti ripercussioni negative
non solo sul benessere dei singoli individui coinvolti, ma
sull'efficienza di tutto il sistema economico. Si tratta insomma di
una tipica esternalità negativa che dovrebbe essere contrastata
anche da politiche pubbliche. Appare quindi indispensabile garantire a tutti i cittadini un livello minimo di alfabetizzazione finanziaria. È in questa direzione che si muovono alcune esperienze rivolte ai minori, promosse in Italia da istituzioni e associazioni pubbliche e private, che sono state opportunamente monitorate in diversi studi. (2) Illustriamo qui i risultati di una recente ricerca sul rapporto tra educazione finanziaria e preadolescenti. (3) L'indagine è stata svolta tra aprile e giugno 2010, somministrando un questionario cartaceo a 2.301 studenti delle classi 2ª e 3ª di scuole secondarie di I grado in tutta Italia (specialmente nel Centro-Nord). Il 70 per cento degli studenti aveva partecipato a un progetto di educazione finanziaria, mentre il restante 30 per cento rientrava nel gruppo di controllo, cioè non aveva seguito il programma (all'interno delle stesse scuole). I risultati più interessanti possono essere così riassunti. Anche se in entrambi i gruppi il 70 per cento degli intervistati ha dichiarato di essere concentrato su una dimensione contingente e quotidiana, solo il 25 per cento concorda con l'affermazione "ciò che mi potrà accadere in futuro mi lascia piuttosto indifferente". L'apparente contraddizione può essere ricondotta a diversi fattori (tra cui naturalmente le distorsioni legate alla scelta metodologica di utilizzare un questionario standardizzato), ma a nostro parere anche a una crescente preoccupazione che i preadolescenti esprimono nei confronti del loro futuro economico. Informazioni più precise in merito si ricavano da domande sui comportamenti di risparmio: una quota consistente (45,4 per cento) accantona una parte del denaro ricevuto come risparmio perché "bisogna sempre avere a disposizione una riserva di denaro in caso di imprevisti", seguita da un 23,9 per cento che invece dichiara "la spendo quasi sempre tutta," da un 15,3 per cento che afferma "in generale ne accantono una parte per acquisti/spese che penso di fare nei dodici mesi seguenti" e da un gruppo marginale (4,7 per cento) che ne accantona una parte per acquisti/spese che pensa di fare tra tre-cinque anni.
Se confrontiamo i
risultati con quelli di indagini precedenti svolte in Italia, pur
non trattandosi di studi longitudinali perfettamente comparabili,
sembra emergere - nei processi di socializzazione economica - la
tendenza a un'attenzione più marcata dei preadolescenti alla
dimensione della previdenza,
generata probabilmente dai media durante un periodo di crisi
finanziaria come quello che l'Italia ha affrontato dal 2008.
(4)
Si tratta ad esempio, di messaggi veicolati dalla pubblicità (gli
spot che enfatizzano il concetto di "risparmio", "tagliare i costi",
"ridurre le spese", "evitare le stangate") oppure da film e telefilm
(quelli sul precariato, sugli eterni-stagisti, sull'indebitamento -
"Immaturi", la "Generazione mille euro", "Boris", "C'è chi dice
no"...).
Il ruolo attivo e
intenzionale della famiglia e della scuola nel veicolare
informazioni di economia e finanza ai minori risulta ancora
limitato. Tuttavia, il confronto tra studenti esposti e non-esposti
al programma di educazione finanziaria, su un test di conoscenze
economiche a risposta chiusa, mostra un
effetto positivo della partecipazione: a
parità di caratteristiche socio-demografiche, i primi indicano una
percentuale significativamente maggiore di risposte corrette a
domande specifiche (tabella 1) e l'effetto distanza nel tempo del
programma risulta ridotto: su un item quale la nozione di interesse,
ad esempio, la differenza tra chi ha finito il programma "1-2
settimane fa", "1-2 mesi fa" o "3 o più mesi fa", è nel complesso
contenuta. Un ulteriore segnale incoraggiante dell'efficacia dei
programmi di educazione finanziaria, misurata secondo i parametri
proposti dall'Ocse, deriva dall'interesse verso l'economia e il
desiderio di approfondire
le proprie conoscenze economiche, sensibilmente più alti tra gli
studenti che hanno partecipato al programma. (5)
Tra questi ultimi, inoltre, si manifesta un desiderio esplicito di
approfondire il tema del "come risparmiare meglio" e del "come
guadagnare di più" (su quest'ultimo argomento i maschi sono
sensibilmente più interessati rispetto alle femmine), mentre il
funzionamento di una banca o le professioni dell'economia appaiono
più distanti dagli interessi dei preadolescenti. I dati mostrano chiaramente come l'alfabetizzazione economica dei giovani sia un problema serio. In questo scenario, riteniamo che sia la scuola a dover occuparsi della formazione economica dei minori. In primo luogo, perché la stessa famiglia - lasciata da sola - non appare oggi adeguatamente preparata a fornire alle nuove generazioni un supporto educativo completo in ambito finanziario. In secondo luogo, e si tratta di un segnale positivo, perché si registra un crescente interesse verso l'economia e la finanza tra i minori che partecipano ai programmi di alfabetizzazione finanziaria a scuola, specialmente per i progetti che prevedono più incontri e che utilizzano modalità didattiche basate sulla partecipazione attiva, sul riferimento a esperienze percepite come "reali" (ad esempio la compilazione di un budget) e anche con la partecipazione di esperti che provengono dal mondo extra-scolastico.
NOTE (1) Si vedano, per esempio, "Improving Financial Literacy: Analysis of Issues and Policies", Oecd (2005); e i contributi su questo sito di Fornero, Lusardi e Monticone (2008) [ ]; Lusardi 2009, Lusardi 2010 [); (Jappelli 2010). (2) Es.: Chionsini, G., Trifilidis, M., "Educazione finanziaria. L'utilità di una strategia unitaria", Banche e banchieri, n. 5, 2010, pp. 360-374. Traclò F., (a cura di), Le esperienze di educazione finanziaria. Indagine sulla realtà italiana nel contesto internazionale, rapporto di ricerca, Fondazione Rosselli, Torino 2010. (3) "Educazione Finanziaria. Indagine sui preadolescenti italiani", a cura di E. Rinaldi [2010] - . (4) Per studi condotti in passato vedi Dosso C., Rosci E., (2000), Gli adolescenti e l'uso del denaro, in «Supplemento a Laboratorio Iard», n. 4, dicembre; Gi.O.C. (Gioventù Operaia Cristiana), Tutto il resto. Giovani, stili di vita e consumi, rapporto di ricerca, 2006. (5) Oecd (2005), Recommendation on Principles and Good Practices for Financial Education and Awareness, www.oecd.org.
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