"Test Invalsi? Ecco i veri limiti" Perché la valutazione dell'Invalsi può e deve essere sottoposta alla critica di Cinzia Gubbini il manifesto, 23.8.2011
Domenico Chiesa è
presidente del Forum regionale per l’educazione e la scuola del
Piemonte, un’associazione che raccoglie le 13 più importanti
associazioni professionali di insegnanti, dirigenti e scuole che
operano in regione. Inoltre coordina il servizio della provincia di
Torino “laboratorio del biennio”. L’ obiettivo è sostenere le scuole
superiori nell’assolvimento dell’obbligo scolastico fino a 16 anni,
e tra i settori di lavoro c’è quello del fornire strumenti per la
documentazione, il monitoraggio e la valutazione degli interventi
migliorativi messi in atto nella scuola superiore. E’ con lui che
parliamo dei test Invalsi, quest’anno proposti anche nelle scuole
superiori e che tante proteste hanno suscitato nel mondo della
scuola. Un dibattito interessante quello che si sta sviluppando,
macchiato però da chiusure, paure, ideologie contrapposte. La
questione della valutazione, invece, è un elemento cruciale per
rimettere in moto un processo positivo nella scuola italiana. Ma i
limiti dei test Invalsi sono certamente molteplici, e Chiesa propone
in questa intervista di aprire un dibattito e una riflessione
approfondita su questi limiti proprio per cercare di avviare un
ragionamento sulla valutazione scolastica
A mio avviso il problema
principale è che la valutazione non può mai essere slegata da uno
scopo specifico. Se voglio valutare qualcosa devo sapere cosa voglio
valutare e dotarmi degli strumenti coerenti. La valutazione,
insomma, non può essere uno scopo in sé. Per questo motivo non può
essere valutata indipendentemente dallo scopo.
Questo è il problema: non
è affatto chiaro. Nella scuola, infatti, esistono tre scopi per
valutare e ognuno di questi ha una strumentazione e una procedura
propri che sono coerenti con lo scopo prefissato.
Il primo livello è la
valutazione dell’apprendimento degli studenti. Esatto, direi che è
questo lo scopo dei test Invalsi. Ma allora non sono prove adatte a
valutare queste competenze, né nei contenuti né nel metodo.
Questo tipo di
valutazione deve necessariamente essere interna al processo di
insegnamento- apprendimento. Deve essere totalmente condivisa da
studenti e insegnanti. L’insegnante, come professionista, è quello
che organizza i tempi e i modi di questa valutazione, ma c’è un
pieno coinvolgimento da parte dello studente che è interessato al
suo apprendimento. E’ una scuola malata quella che fa della
valutazione lo spauracchio o la ricerca della copiatura.
Anche io la penso così.
Mi sono trovato di fronte a delle prove di matematica molto belle,
che richiedevano un altissimo livello di ragionamento, di fronte
alle quali, forse, anche un adulto colto avrebbe avuto delle
difficoltà. Faccio un esempio: si chiedeva la somma di 10 elevato
alla 37 con 10 elevato alla 38 (somma di due potenze con la stessa
base e diversi esponenti). Ora, per risolvere questo problema è
necessario mettere in atto un ragionamento sulle potenze cogliendo e
traendo conseguenze dal fatto che i due esponenti sono numeri
successivi e quindi… Bisognerebbe approfondire valutando quanto
questo ragionamento sia una vera competenza di cittadinanza o la
capacità di utilizzare la formalizzazione matematica rimanendo però
in ambito disciplinare.
Certo che lo è, ma si
tratta di ragionamenti che dovrebbero essere svolti in classe, che
richiedono la possibilità di avere un’interlocuzione con
l’insegnante, che non possono essere utilizzate come “metro di
misura” delle competenze di ragazzi che frequentano professionali e
licei, in periferia e nel centro città. La valutazione sarebbe,
senza dubbio, minata alla base. Quando si valuta qualcosa bisogna
utilizzare uno strumento adatto a quella misurazione. Devo sapere
che la corrente non si misura con il metro. Diverso è il caso se
quelle prove venissero spedite all’inizio dell’anno nelle scuole e
rappresentassero un modello con cui confrontarsi nel processo di
apprendimento. Questo lo troverei senza dubbio utile, e un elemento
di stimolo importante per i professionisti dell’insegnamento, cioè
gli insegnanti.
Lo scopo di questo
secondo livello è la valutazione dell’unità scolastica. E questa
valutazione è condivisa da tutti gli operatori della scuola, dagli
insegnanti al dirigente, agli operatori scolastici.
E’ l’insieme delle
variabili che determinano i risultati dell’apprendimento. E che
c’entrano gli operatori scolastici, cioè i bidelli? E’ semplice: una
scuola in cui funzionano tutti i supporti alla didattica lavora
molto meglio e tutti i soggetti che operano nella scuola hanno una
funzione educativa. Ridurre il numero di operatori scolastici, ad
esempio, non è un fatto puramente economico. Ha delle ricadute sulla
qualità della didattica. Quindi si tratta di una valutazione del
funzionamento, non dell’apprendimento… No, si valutano tutte le
variabili legate all’insegnamento/apprendimento: la qualità del
curricolo, la qualità delle relazioni umane, e terzo la qualità del
contesto ambientale in cui avviene l’insegnamento-apprendimento, che
coinvolge l’intero assetto organizzativo dello spazio, del tempo,
delle strutture che rappresentano evidentemente il contenitore non
neutro entro cui l’insegnante insegna e lo studente apprende.
La scuola stessa. Una
valutazione di questo genere dovrebbe stare dentro il piano
dell’offerta formativa: sarebbe giusto che la scuola a partire dalla
valutazione della sua unità, si ponesse, e li dichiarasse, degli
obiettivi da raggiungere e mettesse in campo dei processi per
raggiungerli. La scuola, se ritiene il caso, può dotarsi anche di
competenze esterne per supportare la valutazione, ma si tratta di
una questione che fa parte del patto che la scuola fa con il
territorio di riferimento. In questo caso la valutazione ha uno
scopo preciso: migliorare la qualità dell’unità scolastica.
E’ la valutazione di
sistema. Questo è ciò che indubbiamente è di responsabilità
sovrascolastica, a livello regionale, nazionale, internazionale: si
valuta la scuola a livello di sistema. Rettifico, dire che è questo
l’obiettivo dell’Invalsi. E invece no: perché l’Invalsi mescola
questi tre piani. Non si capisce bene fino a che punto sia una
valutazione dello studente, delle scuole o del sistema scolastico e
sulla base di questa mancata chiarezza non utilizza strumenti
coerenti.
Non sono un esperto del
settore, ma per quanto ne so, la prima caratteristica di uno studio
di sistema è che tale valutazione avvenga su un campione e non
sull’universo. Perché? Proprio per evitare di mescolarsi con gli
altri livelli di valutazione. Per esempio le indagini Ocse-Pisa sono
a campione? Esattamente, sì, sono a campione. Quali sono gli aspetti
positivi di un’indagine a campione applicata a un sistema? Che
risulta chiaro lo scopo: sto valutando un sistema, non sto valutando
un’unità scolastica, né uno studente. Si tratta di un criterio
fondamentale. L’invalsi è anche un istituto che serve ad aiutare le
scuole a fornirsi di strumenti, di fornire un aiuto scientifico, per
costruire dei sistemi di valutazione. Se l’Invalsi vuole valutare il
sistema deve trovare degli strumenti e delle procedure adatti a
questo specifico scopo. Valutare insieme l’apprendimento dello
studente, il processo di miglioramento di una unità scolastica e
l’insieme del sistema, non va bene. Come sempre in Italia si parla
delle cose in modo confuso e non si capisce l’obiettivo e la
sostanza di ciò di cui si sta discutendo. Si sollevano soltanto
polveroni.
Il risultato è che non ci
sarà mai un confronto vero sul tema della valutazione e sarà sempre
più difficile attuare interventi di valutazione coerenti. Il
problema della scuola italiana non è nella mancanza di una
valutazione come fatto esterno e risolutivo. Quanto piuttosto
nell’avvio di un processo di innovazione che migliori i risultati e
che preveda anche le necessarie e adeguate forme di valutazione.
Si fa operando sulle
variabili che sono coerenti con il risultato, che riguardano
curricolo, relazione e contesto. La valutazione, in ognuno dei tre
livelli che abbiamo descritto, può e deve svolgere un ruolo nello
stimolo alla condivisione al raggiungimento di un miglioramento. Lei
insiste tanto sulla condivisione, non capisco se è un atteggiamento
“buonista”, un auspicio perché le cose vadano meglio, oppure un
preciso elemento affinché la valutazione funzioni. Lo dico
scientificamente: stiamo misurando un oggetto sociale, non stiamo
misurando un dato fisico. Stiamo misurando delle cose che sono
soggetto di valutazione e allo stesso tempo attori di miglioramento.
Se una scuola bara non è in un processo di miglioramento. Perché gli
studenti chiedono di copiare i test e gli insegnanti glielo
permettono? Perché evidentemente vivono quello strumento come un
nemico e non come una cosa utile al proprio apprendimento.
La soluzione è che
bisogna tornare a mettere in atto un miglioramento della scuola che
riparta dal processo di insegnamento e di apprendimento in classe,
il che vuol dire che ovviamente ci sono dei soggetti che sono
competenti e responsabili di questo miglioramento: dagli insegnanti,
alla struttura della singola scuola, al sistema nazionale. Ma serve
anche un’altra cultura della scuola che responsabilizzi gli
studenti, le famiglie e la società. Questo processo è indubbiamente
interrotto: non c’è investimento, ma soprattutto non c’è il
riconoscimento che questo è il problema della scuola. In questo
quadro di problemi, io credo che chi vuole riattivare questo
processo di innovazione debba pretendere che venga messa in atto
anche la dimensione valutativa nella direzione che dicevo prima,
come fatto condiviso e attraverso uno strumento chiaro, specifico
per raggiungere lo scopo ai vari livelli. Non ci sono amici o nemici
della valutazione. Metterla così significa ridurre di nuovo tutto a
comportamenti, manichei, ideologici e infruttuosi. Si tratta di
superare un livello di banalizzazione, superficialità e
banalizzazione che è in atto. Chiaro che anche io, in questa
chiacchierata, ho banalizzato, schematizzato. Ci sarebbe da
discutere giornate intere, riempire di contenuti queste indicazioni
di lavoro. E, forse, cogliere un segnale molto triste che ci viene
dalle proteste in atto. Che molti insegnanti vivono con fastidio la valutazione, come un esercizio di potere, perché in effetti, oggi, la valutazione all’interno della scuola è un esercizio di potere. Raramente si tratta di uno strumento che viene inserito all’interno del processo di insegnamento-apprendimento. Tutto viene ridotto al voto, in una contrapposizione studente-docente. Raramente, ripeto, la valutazione viene riconosciuta come una prova che serve sia al docente che allo studente per capire a che punto si è arrivati e come occorre andare avanti. Questa sì sarebbe un’altra scuola. |