Scuola: troppe ore sui banchi, I ragazzi italiani studiano male e alla fine non trovano lavoro Maria Lombardi Il Messaggero, 7.9.2010 ROMA - Gli studenti italiani sono tra i più ”secchioni” al mondo, a contare il numero delle ore che passano a scuola. Ma non studiano più degli altri. E forse studiano peggio di prima dal momento che il numero degli alunni per classe tende ad aumentare, in controtendenza con quanto avviene altrove. E alla fine della carriera scolastica, laurea compresa, lavora meno della metà, una percentuale minima rispetto ai coetanei tedeschi, belgi, finlandesi, francesi, ungheresi, giapponesi. Anche i professori hanno di che lamentarsi, pure loro una gran quantità di tempo speso nelle aule per uno stipendio mediamente basso e che praticamente non migliora con gli anni. Non va bene il sistema istruzione italiano, sentenzia ancora una volta l’Ocse, l’organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo che ogni anno pubblica un rapporto sull’educazione (”Education at a glance”, con i dati riferiti al 2008). Solo gli studenti israeliani trascorrono più ore in classe, oltre ottomila - come gli italiani - tra i 7 e i 15 anni. Una quantità di lezioni ben al di sopra della media Ocse che è di 6.777 ore nella stessa fascia di età. E pensare che in Polonia si scende a 4.715 ore, si superano appena le cinquemila in Finlandia, uno dei paesi presi a modello per l’efficienza del sistema scolastico. Più ore non vogliono dire più studio, e lo stanno a dimostrare i test internazionali di letteratura, matematica e scienze dove i quindicenni italiani si piazzano piuttosto male. E anche le prove Invalsi che rivelano lacune gravi soprattutto in matematica e italiano. Tra i 9 e gli 11 anni, il 22% del tempo è dedicato alla lettura e alla scrittura (la media Ocse è del 23), il 17% alla matematica, poco più della media, l’8 alle scienze (la media è del 9) e il 13 alle lingue straniere. Negli anni successivi, tra i 12 e i 14, cambia sostanzialmente poco, meno italiano e matematica, un po’ più di lingue straniere. La scuola italiana è ingessata: mentre negli altri paesi la metà dei programmi cambiano (più scienze e lingue straniere, tecnologia, attività pratiche, meno letteratura), nel nostro paese, dai 9 ai 15 anni, si studiano sempre le stesse cose (i cambiamenti sfiorano appena il 5%) e si lascia troppo poco spazio alle materie facoltative. Classi di poco più numerose, dal 2000 al 2008 il numero degli alunni per aula è andato aumentando, anche se di poco. Nel resto dei paesi le classi si vanno assottigliando, l’Italia, l’Islanda e il Lussemburgo fanno eccezione. Si va dai 15 ai 25 alunni nella scuola primaria, dai 18 ai 25 nella secondaria. E gli insegnanti continuano a essere numerosi, rispetto all’estero: il rapporto, nei primi anni, è di un insegnante ogni 11 studenti, quando la media Ocse è di uno a sedici. Ma guadagnano meno che altrove. Un professore di scuola secondaria arriva al top dello stipendio dopo trent’anni di lavoro. Solo nella Repubblica ceca, in Islanda e in Italia la paga di un professore con 15 anni di esperienza è circa il 60% dello stipendio di un laureato che lavora in altri settori. Eppure non lavorano meno dei colleghi stranieri: le ore che gli insegnanti italiani trascorrono ogni anno in una scuola secondaria sono circa 700 (la media è 703). Un sistema con tante lacune che non costa poco. L’Italia spende in media circa 8.200 dollari l’anni per alunno, un poco al di sotto della media degli altri paesi. Più “care” le superiori e le primarie, mentre è decisamente più bassa rispetto all’estero la cifra che lo stato destina a ogni studente universitario. I laureati italiani non se la passano bene, al termine degli studi, in una fascia di età fino ai 29 anni, ha un’occupazione il 47,3%. Percentuale che sale al 77,15 in Germania, al 69 in Finlandia, al 69 in Francia, all’80% in Lussemburgo. Dopo tutto quel tempo passato a scuola, non è un gran risultato. |