Gelmini e il precariato.
Senza governo

di Paolo Repetto Inviato Speciale, 6.9.2010

Se venerdì i due lavoratori precari della scuola in sciopero della fame e in presidio davanti a Montecitorio, Caterina Altamore e Giacomo Russo, hanno deciso di interrompere lo sciopero della fame, ciò non significa che si stia allentando la tensione attorno al mondo della scuola.

Gli interessati hanno anzi rinfocolato la polemica, spiegando che “la nostra non è una resa: abbiamo bisogno di recuperare le forze per parlare alla gente e organizzare una protesta nazionale”.

La rabbia deriva dalla situazione pre-esistente, bollata come insostenibile dagli interessati, e dal tenore delle risposte del ministro Gelmini ritenuto spesso offensivo. La responsabile del dicastero dell’Istruzione ha infatti denunciato il tentativo di strumentalizzazione da parte di alcuni settori dell’opposizione parlamentare, aggiungendo che “chi protesta non sa ancora di essere stato escluso dalle supplenze, questo si vedrà fra qualche settimana e non voglio aggiungere altre tensioni proprio in avvio dell’anno scolastico”. In realtà, simili dichiarazioni hanno favorito eccome l’acuirsi ulteriore delle tensioni, tanto è vero che la disponibilità a un incontro con gli precari della scuola è vincolato, secondo la ministra, “alla giusta considerazione della nostra azione”.

Mentre il governo ha fatto quadrato a sostegno di Gelmini e l’opposizione ha duramente attaccato un esecutivo che continuerebbe imperterrito nell’opera di distruzione della scuola, il giornale della Cei, ‘Avvenire’, ha lanciato l’altro ieri l’allarme sul tentativo della politica di utilizzare il tema-istruzioni per fini tutt’altro che nobili, e tra le righe si è colta la dura critica nei confronti dello stesso governo: “Nell’anno scolastico che sta per cominciare – si legge nell’editoriale – non si guardi ad altri interessi che non siano quelli dei ragazzi, non si sfrutti il loro nome per richieste e pretese, per quanto comprensibili. Non si faccia carriera sulla loro pelle. Il che vale per il ministro, e per ogni adulto che ha una funzione nella scuola”. “La signora ministro – continua l’articolo – ha affrontato con gagliarda e, dunque, controversa volontà riformatrice sia l’Università che la scuola. Una partita personale e politica su cui sta scommettendo molto”.

E “nonostante gli sforzi e i molti problemi lasciati per strada – osserva ancora ‘Avvenire’ – anche quest’anno il panorama dell’avvio del nuovo anno scolastico appare confuso e pieno di ombre. Speriamo che prevalga in tutte le parti la buona volontà di salvaguardare l’essenziale e di evitare, anche e soprattutto là dove le condizioni non sono buone, che si esacerbi il tutto, ma si faccia in modo che i bambini e i ragazzi non patiscano maggiore disagio”.

Il giornale dei vescovi ha fatto esplicito riferimento ad “un sacco di furbastri che campano sulla e nella scuola e però dei ragazzi gliene interessa assai meno del giusto”. Mentre “trattare male la scuola è il reato più grave oggi in Italia”, i cui responsabili meriterebbero di comparire davanti ad un “plotone di esecuzione” di ragazzi armati di “pistole ad acqua, elastici, schioppi di legno o mitragliette con i suoni elettronici”.

Dalla sede ministeriale di viale Trastevere sono subito partite telefonate di fuoco all’indirizzo del quotidiano cattolico, e il direttore Tarquinio ha così diffuso una nota per deplorare le interpretazioni antigovernative dell’editoriale. In realtà, se la situazione è grave spicca il disimpegno del governo, che pochi giorni fa – il 2 settembre – aveva fatto sapere per bocca della stessa ministra che non c’è posto in aula per i 200mila precari della scuola italiana.

Così appare davvero appropriata la risposta indiretta della precaria Caterina che, ripercorrendo per iscritto la sua storia e prima di interrompere lo sciopero della fame, ha ben reso la situazione drammatica di uno spaccato di società: “Sono figlia di un agricoltore e ho l’orgoglio di essere diventata maestra elementare. Ai miei tre figli ho insegnato il rispetto e la passione per la scuola, ho lavorato nei quartieri a rischio di Palermo, dove i bambini bisognava andarli a cercare nei vicoli e nei cortili per farli entrare in classe e ‘rubarli’ alla criminalità che li assolda e li sfrutta. Pur di lavorare ho accettato di lasciare mio marito e i miei tre figli e di andare al Nord, in una scuola di Brescia, vivevo in una stanza d’albergo, cucinavo in un angolino, dei 1300 euro di stipendio non rimaneva nulla, ma non importa, ripartirei domani… E adesso questi 14 anni di precariato vengono cancellati, calpestati da un ministro che si rifiuta anche di incontrarci. Sì, lo so, corro un grave rischio a continuare lo sciopero della fame, soffro del morbo di Crohn e i medici sono stati chiari. Ma qui in gioco c’è il futuro di migliaia di famiglie, dei nostri figli e della scuola pubblica. Come può questo governo essere così cieco e sordo?”.

E a chi accusa i precari meridionali di immobilismo figlio delle logiche assistenzialistiche, Caterina ha replicato “che non è vero che la gente del Sud non si muove, non si sposta. A Brescia l’esperienza è stata bella e importante, lì ci sono ricchezza, strutture, ma il taglio di fondi sta demolendo anche quel mondo. Un anno di viaggi e di valige, di nostalgia, e meno male che a casa c’erano mia madre e mia suocera… Ma non ho mai saltato una supplenza, ogni volta che mi è stato dato un incarico l’ho portato fino in fondo, e ancora oggi ho lo stesso entusiasmo, credo davvero che le cose possano cambiare, la gente se ne sta accorgendo, certo la cosa assurda è che per parlare di scuola pubblica ci voglia il gesto estremo dello sciopero della fame”.

Ora la “battaglia di civiltà” non si ferma. Per il destino dei precari e nell’interesse primario dei cittadini (anche se spesso non se ne rendono conto) che hanno diritto ad una scuola pubblica degna di questo nome.