Nuova scuola e riserve cattolici

Marcello Sorgi La Stampa, 4.9.2010

All'indomani dell'annuncio della linea dura del governo contro i precari della scuola, le critiche del giornale dei vescovi «Avvenire» (pur formalmente ridimensionate dalla direzione del giornale) alla ministra dell'Istruzione Gelmini confermano le riserve che nel corso dell'ultimo anno la Cei ha espresso sulla vita pubblica italiana.

Rivolto a una personalità cattolica e cresciuta in una famiglia democristiana, com'è appunto la Gelmini, il giudizio ha anche un'altra valenza. In discussione è, in generale, l'approccio rigoroso alla questione dei conti dello Stato, che in un settore enorme come quello della scuola pubblica produrrà pesanti conseguenze sociali, in termini di emarginazione di persone che si vedono escluse dopo aver già dedicato al precariato nell'istruzione anni di sacrifici, sottratti spesso agli impegni familiari. Inoltre la contrazione del comparto statale potrebbe spingere verso gli istituti cattolici i figli di genitori più abbienti, tendendo a trasformarli in «scuole per ricchi», laddove la Chiesa esige che la scelta verso un tipo di istruzione o un'altra sia sempre libera e consapevole.

Tra le righe s'intuisce anche una presa di distanza dal modello di severità, che la Gelmini vorrebbe implementare, e a cui ha dedicato una parte della conferenza stampa di inaugurazione dell'anno scolastico. Voti al posto dei giudizi, condotta più formale e adesso anche la bocciatura per chi supera i 50 giorni di assenza obbediscono certamente a un progetto di risanamento della scuola statale, da troppo tempo abbandonata a un lassismo insopportabile.

Ma nello stesso tempo delineano un modello competitivo per gli studenti che, puntando dichiaratamente all'affermazione del merito, collide con quello classico dell'istruzione italiana, come ha funzionato per decenni dalla nascita della Repubblica e quasi esclusivamente sotto il controllo di ministri cattolici. Un insieme basato sulla solidarietà e sul recupero degli ultimi, tra gli studenti, piuttosto che sull'incentivazione dei più bravi. E' anche questa trasformazione - contro la quale tuttavia la protesta dei precari è solo un'anticipazione delle reazioni che verranno dalla pancia dell'apparato scolastico - che i vescovi mostrano di temere, perché la immaginano foriera di nuove divisioni, nuove emarginazioni, in una società che, trasformandosi, rischia di sfuggirgli di mano.