A proposito di quei
«furbetti del sostegno» 

Continua a far discutere l'articolo sull'insegnamento di sostegno pubblicato qualche giorno fa dal noto opinionista del «Corriere della Sera» Gian Antonio Stella, e ripreso anche dal nostro sito. «Il suo argomentare - dichiara Evelina Chiocca, presidente del CIIS (Coordinamento Italiano Insegnanti di Sostegno), rivolgendosi a Stella - pare più preoccupato alla ricerca della nota che può produrre indignazione e scalpore, piuttosto che indagare sui meccanismi reali che compromettono l'inclusione scolastica e il successo formativo degli alunni con disabilità». E risponde punto per punto a una serie di rilievi, prospettando un'Italia che in ambito di inclusione scolastica si trova letteralmente «davanti al bivio». Dura la conclusione: «L'etichetta che ci viene incollata ci sta ancor più relegando negli anfratti della scuola, con addosso il peso del processo inclusivo come nostra esclusiva pertinenza. Ci fanno intravedere come apprezzabile il ritorno delle classi differenziali o delle scuole speciali per ritornare nelle aule: ma, e qui sarà la differenza, saranno aule frequentate unicamente dalla parte più fragile della popolazione scolastica»

di Evelina Chiocca* da Superando 9.9.2010

Egregio dottor Stella, Le scrivo a nome del CIIS, il Coordinamento Italiano degli Insegnanti di Sostegno. Siamo insegnanti che per lo più si sono specializzati frequentando Corsi Biennali Universitari e che operano nella scuola da molti anni.

Siamo consapevoli che l’inclusione scolastica e sociale degli alunni con disabilità è prima di tutto un processo per la cui realizzazione deve mobilitarsi l'intera società civile e, nella scuola, tutta la comunità scolastica.

Da anni, grazie alla nostra formazione e alla nostra esperienza, abbiamo acquisito la consapevolezza che l’inclusione non può essere affidata a una sola persona e che la partita o la si gioca insieme, uniti, o è persa in partenza. Per questo - da quando la nostra Associazione è operativa - non ci siamo mai stancati di chiedere alle Istituzioni preposte di intervenire sulla formazione del personale docente e dirigente, sia nella fase iniziale che in servizio.

Siamo profondamente convinti che "seri percorsi formativi", adeguati e curati da personale competente (Università), siano assolutamente indispensabili, pena la dequalificazione di un sistema che, come Lei ha ricordato, è «un fiore all’occhiello» per la sua legislazione. La scuola italiana si è contraddistinta per aver scelto la via dell'inclusione delle persone con disabilità: un segno di civiltà esportabile, riproponibile, irrinunciabile. Scelta che ha dato il via a un processo che dovrebbe distinguersi per la sua irreversibilità, ma che per motivazioni di varia natura, non ultima quella economica, avverte su di sé il rischio dell’estinzione.

Ma vede, dottor Stella, anche Lei è incappato nell'ovvietà, nella banalità, nelle frasi fatte. Anche Lei, come i nostri amministratori, si è fatto paravento di una serie di cifre, vincolando il complesso processo inclusivo alla logica dei numeri.

Logica che da anni accompagna le scelte ministeriali e governative e che per noi sono fonte di grande preoccupazione (se ne legga ad esempio cliccando qui), in quanto prevale netta la sensazione che del processo scolastico inclusivo l'Italia voglia decisamente fare a meno; ma non sa bene come liberarsene...

E allora?… Allora succede come nel passato. Si comincia con una campagna denigratoria, giocata al ribasso, una campagna che disegni una realtà caratterizzata dalla negatività. E l’opinione pubblica, nutrita da questi messaggi, in un futuro che si fa sempre più presente, accoglierà senza opporsi le scelte che, in tal modo, risulteranno paradossalmente coerenti: il ritorno delle scuole speciali (già le classi pseudo-differenziali pullulano, ahimè, in molte scuole con il beneplacito di troppe connivenze. Ma su questo nessuno punta il dito!) sarà salutato come una scelta "necessaria", "migliore", addirittura "equa"… così i "furbetti" smetteranno di transitare da una cattedra all’altra!

Oppure, altra ipotesi non così utopistica, potrebbe prevalere la logica di chi tanto si sta dando da fare perché in Italia si attivino classi di concorso sul sostegno "specifiche": una per ciascun tipo di disabilità. Magari introducendo anche "scuole speciali specifiche": una per ciascuna tipologia di disabilità. Orientamento perverso, ignominioso, ex-clusivo, che mira a trasformare definitivamente gli alunni con disabilità in "fuori-classe", facendoli "uscire" per sempre dalle classi comuni.

Il Suo articolo, pubblicato dal «Corriere della Sera» [il 31 agosto 2010, ripreso anche da Superando, con il titolo I «furbetti del sostegno» che truffano sui disabili, disponibile cliccando qui, N.d.R.], apre un contraddittorio e induce a una riflessione "oltre il déjà vu", oltre "le parole stesse". Se l’inchiesta di «Tuttoscuola» da Lei citata consente di riportare l’attenzione su uno specifico tema, espone però al rischio della strumentalizzazione, soprattutto quando, nel mettere in risalto un aspetto, mette a rischio l'intero sistema.

Il Suo argomentare, per altro, pare più preoccupato al proliferare delle questioni, alla ricerca della nota che può produrre indignazione e scalpore, piuttosto che indagare sui meccanismi reali che compromettono l’inclusione scolastica e il successo formativo degli alunni con disabilità. Il sistema scuola è complesso, articolato e peculiare e non può essere ridotto in paradossi preconfezionati o in stereotipi prêt-à-porter.

Per questo vorrei confrontarmi con Lei su alcuni temi affrontati nel Suo articolo, che sollecitano quantomeno un approfondimento.

1. La formazione del personale docente. Nel Suo intervento Lei richiama i corsi semestrali universitari di 400 ore, trascurando che questi sono successivi o a un corso di laurea magistrale o a un biennio universitario abilitante (anche questo post-laurea magistrale). Convengo con Lei che il percorso di specializzazione sia eccessivamente breve (per altro procrastina la formazione per le minorazioni sensoriali agli anni del servizio), ma esso è "legale" ed è l'unica formazione prevista per il conseguimento della specializzazione per le attività di sostegno (le SSIS [Scuole di Specializzazione per l'Inegnamento Secondario, N.d.R.], ora, sono in via di chiusura).
Quello che andrebbe detto in questo caso è che i Ministri - oggi la Gelmini, ieri Fioroni e ancor prima la Moratti - sono per legge i responsabili della formazione: l’articolo 14 della Legge 104/92 affida infatti al Ministro «la formazione e l’aggiornamento del personale docente per l'acquisizione di conoscenze in materia di integrazione scolastica degli studenti handicappati»!

2. Non basta! Nonostante le ripetute richieste di migliorare e ampliare i percorsi formativi inoltrate dalle Associazioni degli Insegnanti e delle Famiglie delle Persone con Disabilità, l’attuale Ministro - nella stesura della bozza del provvedimento sulla formazione iniziale dei docenti - insiste nel riproporre un percorso analogo a quello in via di dismissione (le attuali 400 ore), aumentando il numero delle ore di tirocinio. La specializzazione, in questo caso, non prevede un rinvio alla formazione in servizio sulle minorazioni sensoriali, ma la comprende. Avrà notato anche Lei che, con il passare del tempo, a una maggiore spendibilità del titolo corrisponde un minore investimento formativo.
Ma occorre dire le cose come stanno e non lasciar trasparire l’idea che gli insegnanti che si sono formati con i corsi di 400 ore siano correi, perché furbescamente si sono presi il titolo. Questi docenti hanno seguito un corso di studi, ripeto, legale e istituito dagli organi preposti. Non è adeguato? Allora anche Lei, come noi, indirizzi i Suoi sforzi nell’esigere una formazione professionalmente più competente per gli aspiranti docenti e dirigenti, insieme a una formazione in servizio obbligatoria per tutti (docenti e dirigenti).

3. La formazione in servizio, in Italia, pare una chimera e sembra impossibile per qualunque Ministro pensare di obbligare i docenti e i dirigenti scolastici in servizio a formarsi e/o ad aggiornarsi sui temi dell’inclusione, nonostante i reiterati richiami alla "qualità" (specchietto per le allodole).
In questa realtà, il passaggio di cattedra degli insegnanti specializzati - da Lei stigmatizzato senza appello - assicura alla scuola una professionalità a servizio dell'inclusione, perché questi insegnanti lavorano in classi dove "ci sono anche gli alunni con disabilità" e, di conseguenza, mettono a disposizione della scuola la loro "competenza inclusiva" anche nelle ore in cui il docente specializzato non è in servizio (non dimentichiamo che, giustamente, le ore di sostegno coprono solo una parte del tempo-scuola).

4. Il personale di sostegno impegnato nella scuola è - più o meno - metà di ruolo e metà precario. Più della meta del personale totale è privo di specializzazione. Dove sono gli insegnanti specializzati che Lei cita? Invece... lo sa che i docenti di ruolo perdenti posto vengono "inviati" su posto di sostegno, seppur privi di titolo, anche in presenza di personale specializzato? Questo lo trova corretto nei confronti degli alunni? Di questo non ci scandalizziamo?

5. Lei afferma che nella scuola vi è un insegnante ogni due alunni con disabilità: anche Lei, nella fretta, ha letto alcune righe e ha tratto le sue conclusioni. Ci sono due paroline, però che fanno la differenza, un'enorme differenza. Il rapporto uno a due, da Lei citato, fa riferimento a una "media matematica" nazionale. Non mi fermerò a spiegare come si calcola. Dico semplicemente che, tradotto in pratica, questo significa che ad alcune classi - in cui sono presenti alunni certificati - vengono assegnate tre ore di sostegno didattico settimanali. Facendo poi la media di tutte le situazioni, il rapporto nazionale diventa di 1 a 2.

6. Sembra tuttavia che nascere disabile sia "una colpa", tanto che il giornale dove è stato pubblicato il suo articolo [«Corriere della Sera.it» cit., 31 agosto 2010, N.d.R.], nella sezione Primo Piano pone sulla sinistra una pagina intera per ricordare che gli studenti plusdotati, i "geni dell’apprendimento", sono penalizzati da una normativa italiana che… non c’è. Forse perché le risorse sono indirizzate ai disabili? È forse questo il meta-messaggio?

7. Tutto il Suo articolo è interpretabile alla luce di messaggi che trapelano oltre le parole: i disabili che portano via risorse, che sono scarsamente seguiti, che aumentano troppo, che "servono" per creare posti di lavoro. Non "una parola", non uno sguardo pedagogicamente attento al loro percorso inclusivo nella scuola pubblica o alla loro esclusione da molte scuole paritarie, "pubbliche" per le élite.

8. L'aumento degli alunni certificati nelle scuole è da interpretarsi come un segnale positivo. Significa che le famiglie si sentono maggiormente accolte, tanto da essere sempre più portate a indirizzare i figli alla frequenza delle scuole superiori. Anche l’innalzamento dell’obbligo scolastico ha avuto qualche effetto, penso che concorderà su questo.
Se l’inclusione è una componente della nostra società, allora non dovremmo neppure fermarci a fare "la conta". Ci sono: sono cittadini a tutti gli effetti e stanno esercitando un loro sacrosanto diritto. L’istruzione e l’educazione è riservata a tutti, anche agli alunni con disabilità.

9. Più alunni certificati al Sud che al Nord: mi auguro che in Italia non diventi una discriminante nascere in una Regione anziché in un'altra. Fermo restando che la certificazione è di stretta competenza medica e che - in base alle nuove norme - spetta alla famiglia e unicamente a questa fare richiesta di riconoscere il figlio come "studente con disabilità". Non voglio credere che le famiglie corrano a cuor leggero alle ASL a far certificare i figli come disabili.
Perché, allora, far emergere la questione delle cattedre quale "conseguenza della disabilità"? L’attivazione delle cattedre è coerente con la politica di inclusione attivata dallo Stato italiano. E tale deve restare. Chi nasce a Ragusa non deve avere riconosciuti meno diritti di chi nasce a Milano. Se poi le certificazioni non sono "reali", dopo anni di proclami di lotta ai cosiddetti "falsi invalidi", si orienti il ragionamento lontano dalle cattedre e dalla scuola, perché la scuola, in questo, Le assicuro, non ha competenza alcuna.

10. L’Italia è a un bivio: allineandosi con alcuni Stati europei, spinge forzatamente e con falsa delicatezza i disabili fuori dalle classi. E in questa operazione coinvolge anche le famiglie, lasciando credere loro che troppe realtà nella scuola pubblica siano a svantaggio dei loro figli.
Sulla formazione si procede verso un'ulteriore riduzione di contenuti. Sull’attribuzione delle risorse si blocca il numero di insegnanti di sostegno (l’organico degli insegnanti per il sostegno è anche per quest’anno lo stesso dell’anno scolastico 2008-2009), trascurando il fatto che gli alunni con disabilità sono aumentati: questo significa che un insegnante si trova ad operare in due, tre o più classi. E ancora, il numero degli alunni per classe ha subito un innalzamento tale da registrare classi che sfiorano i 40 alunni e, contestualmente, il numero degli alunni disabili per classe è privo di regolamentazione; in una classe possono essere ospitati, per legge, un numero non definito di alunni con disabilità (sono stati registrati anche 7 alunni con disabilità nella stessa classe!).
Il sistema, insomma, tende sempre più a peggiorare, mentre l’informazione ufficiale si orienta a dissacrare "populisticamente", evitando di volgere lo sguardo alle responsabilità del manovratore.

Nonostante ciò, noi ci ostiniamo a lavorare con serietà. La maggior parte di noi opera con passione, impegno e, soprattutto, professionalità. Non lo facciamo per vocazione né per missione. Ci reputiamo lavoratori della scuola, in grado di far fronte al compito affidatoci. Ma da troppo tempo ci sentiamo attaccati e accusati, vilipesi e derisi, denigrati e insultati. Dal "fannulloni", pronunciato dal ministro Brunetta ai "furbetti del sostegnino", la strada si fa sempre più ardua: l’etichetta che ci viene incollata ci sta ancor più relegando negli anfratti della scuola, con addosso il peso del processo inclusivo come nostra esclusiva pertinenza.

Ci fanno intravedere come apprezzabile il ritorno delle classi differenziali o delle scuole speciali per ritornare nelle aule: ma, e qui sarà la differenza, saranno aule frequentate unicamente dalla parte più fragile della popolazione scolastica.

I furbetti, quelli veramente furbetti, gireranno il mondo per raccontare come l’Italia sia benevola e accogliente nei confronti di tutti. Anche degli alunni con disabilità. Ma non è questa l’Italia per la quale ogni giorno entriamo nelle nostre classi. Non è questo il motivo del nostro impegno.

Il nostro sogno è la costruzione di una società in cui tutti e ciascuno si riconoscano partecipi e destinatari, nonché fruitori, dei diritti e dei doveri di cittadinanza. Per questo prendiamo le distanze da accuse generiche. E invitiamo coloro che vogliono parlare ancora di scuola e di inclusione scolastica a "entrare nelle nostre aule", toccando da vicino un mondo dove il sogno può concretamente tradursi in realtà; se, naturalmente, ciascuno di noi è disposto a mettersi seriamente in gioco.
 

 

* Presidente del CIIS (Coordinamento Italiano Insegnanti di Sostegno).