Università private tra eccellenze e dubbi:
più iscritti, ma non tutte sono al top
di Alessandra Migliozzi Il Messaggero,
27.9.2010
ROMA
(27 settembre) - Chiedono una contribuzione media di 3.532 euro a
studente come tassa di iscrizione ai loro corsi, ma offrono servizi
super personalizzati e la possibilità, in alcuni casi, quando si
tratta di atenei telematici, di studiare tutto da casa e fare in
sede solo gli esami. Le università non statali sono una realtà in
crescita, ma anche una galassia sempre più complessa in cui
convivono atenei cosiddetti in presenza, fra cui spiccano, per fama
e riconoscimenti, l’università Cattolica, la Bocconi, La Luiss, e
atenei a distanza, quelli telematici spesso al centro (tranne rari
casi) di dubbi e contestazioni. In Italia le università non statali
accreditate dal ministero che hanno sedi fisiche e corsi non a
distanza sono una ventina di cui sedici hanno aderito alla Crui, la
Conferenza dei rettori.
Poi ci sono le università telematiche che sono undici. Le prime
contano 95.250 iscritti (più del 5% del totale nazionale), le
seconde 17.000 (circa l’1%). Le università statali del primo gruppo,
quelle non a distanza, ricevono ogni anno un apposito finanziamento
dal ministero, l’ultimo ammontava a 88.101.454 milioni stanziato nel
2009 con un decreto di marzo. Sono stati tredici gli atenei che
hanno potuto accedere perché alcuni sono in attesa di ottenere il
via libera per l’accesso ai contributi del Comitato nazionale di
valutazione del sistema universitario. L’Università Cattolica del
Sacro Cuore è quella che si è accaparrata la maggior parte delle
risorse.
A seguire ci sono la Bocconi di Milano, la Luiss di Roma,
legata alla Confindustria, l’Università Suor Orsola Benincasa,
l’Università Iulm di Milano. Fanalino di coda la Jean Monnet. Una
quota dei fondi è stata distribuita in base al livello qualitativo
raggiunto: anche qui l’ordine di chi prende più soldi è sempre lo
stesso, dalla Cattolica a seguire. Il Comitato nazionale di
valutazione del sistema universitario (Cnvsu), che spesso fa le
pulci alle private e alle telematiche, ha messo insieme anche i dati
sulla dispersione degli studenti che in alcuni atenei non statali
sono peggiori rispetto alle performance delle università pubbliche.
Per esempio se la media generale di dispersione di studenti fra il
primo e il secondo anno è del 6,5% nelle non statali, c’è anche chi
raggiunge punte del 32,9% come l’ateneo telematico Leonardo Da
Vinci. Alla Benincasa di Napoli la dispersione è al 22% contro, ad
esempio, il 17% della Sapienza, che è pubblica. La Kore di Enna
(privata non telematica) secondo il rapporto ha una dispersione del
32%, la San Pio V di Roma è al 60%. Mentre la privata Bocconi, ad
esempio, si ferma all’1,3%, la Cattolica al 7,9%, la Luiss al 3,4%,
la Iulm al 9,4%.
Insomma le performance anche fra gli atenei non statali sono
molto distanti. Come dimostrano anche i dati inviati dal Miur al
Parlamento sull’andamento della Programmazione triennale delle
università. Alcune tabelle raccontano i margini di miglioramento
degli atenei. A fine 2008, rispetto al triennio 2004-2006, è
l’ateneo San Raffaele di Milano a migliorare di più, seguono la
Bocconi di Milano, l’università Suor Orsola Benincasa, la Carlo
Cattaneo, la Luiss. In coda, il Campus Bio-Medico e la Jean Monnet.
Fra i punti di forza del San Raffaele, la ricerca e
l’internazionalizzazione. La Bocconi primeggia anche per i servizi
dedicati agli studenti. In termini assoluti, per livelli di qualità,
il ministero mette in cima alla classifica (i dati sono del 2007) la
Bocconi, il San Raffaele di Milano, la Libera Università di Bolzano.
Quanto al capitolo tasse, secondo il Cnvsu, è la Luiss la più
cara con 6mila euro di media per studente, seguono la Bocconi
(5.697), la Carlo Cattaneo (5.240), il San Raffaele (4.870). In coda
Napoli Benincasa (1.201), la Kore di Enna (1.013), L’università
degli studi di Aosta (547). Infine c’è l’universo parallelo delle
telematiche che lo scorso gennaio è stato al centro di una indagine
sempre del Cnvsu. Gli atenei a distanza sono 11 e offrono 74 corsi.
Dalle visite effettuate “emergono una situazione complessiva
abbastanza deludente e una serie di importanti criticità”: le
telematiche “ripetendo spesso in piccola scala ciò che avviene nelle
università convenzionali risultano pletoriche”, negli organi che
gestiscono questi atenei “si osservano fenomeni che espongono al
rischio di un intreccio di interessi”. Infine “il numero degli
studenti che seguono tali corsi, anche se il sistema non è ancora a
regime, è certamente molto modesto”.