ISTRUZIONE E ASSISTENZIALISMO

Perché nella scuola dei nostri figli
deve finire «l' Età dei Precari»

Nessuno potrà mai assumere tutti coloro
che aspirerebbero all' insegnamento in pianta stabile

Belardelli Giovanni Il Corriere della Sera, 5.9.2010

Finirà mai, in Italia, l' Età dei Precari, cioè la stagione lunghissima, e che dura tutt' ora, in cui abbiamo di fatto identificato i problemi della scuola con la questione del collocamento in ruolo dei precari? Torneremo mai a guardare alla scuola soprattutto come al luogo in cui si educano i nostri figli e non come all' istituzione cui spetterebbe il compito di affrontare la condizione degli insegnanti senza posto fisso?

L'abnorme dimensione del precariato scolastico ha molte cause e certamente è stata favorita, come ha scritto Luigi La Spina sulla Stampa, dall' incontro tra corporativismo dei sindacati della scuola e politiche clientelari più o meno comuni a tutti i governi. Quell' incontro ha portato alla nascita di uno «pseudowelfare assistenziale» destinato ad alimentare in migliaia di aspiranti docenti l' illusione di un impiego per tutti; bastava saper aspettare e tener duro. In realtà una tale possibilità non ci potrà essere, come si è cominciato a riconoscere in questi giorni anche da parte di commentatori pure non favorevoli, per il resto, alla politica scolastica del governo. Dopo anni e anni in cui il problema della scuola è stato anzitutto il problema dei precari sembra forse venuto il momento di riconoscere, dunque, che non può più essere così: perché nessuno potrà mai assumere tutti coloro che aspirerebbero all' insegnamento in pianta stabile; ma anche perché la finalità della scuola è altra dal problema sociale di farsi carico dei precari. Questo problema, come è del tutto evidente, esiste e ha dimensioni drammatiche poiché coinvolge migliaia di persone che si trovano a vivere in condizioni di costante insicurezza pur dopo essere passate per anni e anni di sacrifici (sedi disagiate, stipendi bassi, mancata continuità nel servizio prestato). Sui giornali leggiamo le storie personali di insegnanti precari che danno conto di grandi sofferenze private, che descrivono famiglie senza un futuro certo, che riferiscono di proteste estreme come lo sciopero della fame.

Sono vicende che non possono lasciarci indifferenti. Tuttavia, ecco un punto che non dovremmo dimenticare più a differenza di ciò che abbiamo fatto per decenni, non si vede perché debba essere il nostro sistema scolastico a farsene carico. Avremmo bisogno insomma di riconoscere tutti che non può essere la scuola ad affrontare un problema sociale grave come quello dei docenti in eterna attesa del posto, quasi fosse non il luogo in cui si insegna e si apprende, ma una grande agenzia di collocamento. Oltretutto, quale riforma delle modalità di selezione e di accesso alla professione di insegnante si potrà mai attuare, se il nostro sistema di istruzione continua a essere schiavo del problema dei precari da assumere, sia pure in un numero sempre insufficiente rispetto alle richieste degli interessati? Onestà vorrebbe allora che si dichiarasse che nella scuola nessun giovane aspirante insegnante, nessuno che non sia passato per la trafila del precariato, verrà più assunto per dieci anni o quel che sarà; e che si gettasse nel cestino il progetto di formazione dei docenti recentemente varato da una commissione ministeriale presieduta da Giorgio Israel, che prevede soluzioni interessanti (come l' introduzione del tirocinio per gli aspiranti insegnanti) ma che, se non poniamo fine all' Età dei Precari, servirebbe solo a produrre sempre nuove schiere di precariato. Occorrerebbe insomma separare le questioni che riguardano la vita scolastica dal problema sociale dei precari, per il quale dovrebbe essere il governo - quello attuale e quelli che verranno - a trovare soluzioni, auspicabilmente senza che da parte sua l' opposizione, seguendo vecchi automatismi, ne cavalcasse la protesta. Andrebbe indicato con certezza il numero di quanti potranno trovar posto nella scuola entro un numero ragionevole di anni, parallelamente individuando, a carico della collettività e non del solo bilancio dell' Istruzione come è stato finora, forme di sostegno al reddito o di diversa destinazione lavorativa per quei precari che non potranno mai essere assunti nelle scuole. Temo che un' altra strada non vi sia: ma un Paese che ha sempre dedicato al suo sistema scolastico una svogliata attenzione, sarà davvero disposto a batterla?